Scioperi negli Stati Uniti: “Una nuova opportunità per la sinistra”

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Il 14 settembre, la United Auto Workers (UAW) ha lanciato un massiccio sciopero che interessa i tre principali produttori locali, Ford, General Motors (GM) e Stellantis. Le rivendicazioni degli scioperanti sono importanti, in particolare per quanto riguarda i salari, duramente colpiti dall’inflazione mentre i profitti delle aziende sono aumentati, ma anche per le condizioni di lavoro e i loro diritti.
Il 22 settembre, lo sciopero è stato intensificato contro GM e Stellantis, colpendo i centri di distribuzione e di produzione dei pezzi di ricambio. Per il momento, questa escalation ha risparmiato Ford, che ha fatto alcune concessioni sulle condizioni di lavoro, ma non sui salari.
Il 26 settembre, il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha visitato un picchetto nel Michigan per sostenere il movimento, una prima nella storia sociale del Paese. Va detto che questo movimento si inserisce in una costante progressione, negli ultimi due anni, del numero di conflitti lavorativi che hanno investito la più grande economia del mondo. Anche lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori e attrici di Hollywood ha evidenziato questa tendenza. Il movimento sindacale sembra riacquistare il suo peso politico, dopo un’eclissi sotto la pressione delle politiche neoliberiste.
Per capire questo movimento e le sue implicazioni, Mediapart ha parlato con Clément Petitjean, sociologo e docente all’Università di Parigi I-Panthéon-Sorbonne.

Cosa rende storici gli scioperi nell’industria automobilistica statunitense?

Per capirlo, basta richiamare un fatto straordinario. Martedì 26 settembre, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un Presidente in carica, Joe Biden, ha visitato un picchetto di sciopero nel Michigan. Lì ha dichiarato il proprio sostegno alla principale rivendicazione dei sindacati: un aumento salariale del 40%, pari a quello riconosciuto ai dirigenti delle “Big Three” (Ford, General Motors e Stellantis) negli ultimi quattro anni.

Biden ha sostenuto apertamente lo sciopero con parole come: “Le case automobilistiche stanno andando molto bene e anche voi dovreste andare bene“. Da un punto di vista simbolico, questo è molto importante.

Candidati democratici come Bill Clinton e Barack Obama hanno sostenuto i lavoratori in sciopero durante le loro campagne elettorali, prima di adottare politiche che andavano in una direzione diversa. Ma qui si tratta del Presidente in carica.

In realtà, questa non è tanto la prova che Joe Biden è il presidente dei sindacati, come ama dichiarare, quanto la prova che si sente politicamente obbligato a rendere visita ai lavoratori in sciopero.

Inoltre, i media statunitensi hanno affermato che Donald Trump si sarebbe recato in Michigan per sostenere gli scioperanti, anche se l’ex presidente aveva dichiarato di non sostenere lo sciopero, che secondo lui avrebbe favorito la delocalizzazione in Cina e che sarebbe solo il risultato di una manipolazione sindacale. In realtà, si è recato in una fabbrica non sindacalizzata, il che illustra bene il suo punto di vista. Tuttavia, anche lui si reca in questa regione perché non può farne a meno.

Perché questo sciopero è nuovo?

Io vedo tre ragioni. In primo luogo, si tratta di uno sciopero storico, in quanto coinvolge contemporaneamente le tre principali case automobilistiche, cosa mai accaduta prima. L’UAW ha voluto colpire tutti e tre i produttori in modo coordinato, con una prima ondata che ha interessato tre stabilimenti in Ohio, Michigan e Missouri e 13’000 lavoratori. Il 22 settembre, lo sciopero è stato esteso a 38 stabilimenti di ricambi Stellantis e GM, con 5’000 lavoratori in sciopero.

Il secondo elemento che rende questo movimento un potenziale punto di svolta è la sua forma. La strategia dell’UAW è stata quella di comunicare in anticipo il luogo dello sciopero, anche ai lavoratori stessi. Alcune testimonianze spiegano che i lavoratori hanno ricevuto un SMS due ore prima dell’inizio dello sciopero per comunicare che toccava a loro. Questo crea una forma di emulazione collettiva tra le fabbriche e i sindacati locali.

Soprattutto, si crea un elemento di sorpresa per i datori di lavoro, che non sanno dove si svolgerà lo sciopero e che a volte sono persino ingannati dalla diffusione di notizie false da parte dei sindacati, che preannunciano uno sciopero in una determinata fabbrica, mentre in realtà lo sciopero si svolgerà altrove. Tutto ciò impedisce loro di prendere misure preventive e disorganizza la produzione. Il giornalista specializzato Alex Press l’ha descritta come una “guerriglia sindacale“, che ha creato un incubo logistico che sta mettendo a rischio le catene di approvvigionamento dei produttori.

Infine, il terzo elemento nuovo e notevole è rappresentato dalle richieste, che sono piuttosto radicali. Come abbiamo detto, le richieste salariali si basano sulla constatazione dei livelli elevati dei profitti. Ma c’è anche la rivendicazione di una settimana di 32 ore pagate 40: era da molto tempo che non assistevamo a una rivendicazione sull’orario di lavoro in questo settore. Infine, c’è una rivendicazione più specifica legata a un sistema di “livelli” introdotto dopo la crisi del 2008 e il salvataggio statale dei produttori, che ha portato a  statuti e salari assai diversi tra il personale. L’UAW chiede di porre fine a questi diversi statuti, assumendo a titolo definitivo tutti i salariati.

Più in generale, il movimento è accompagnato da un messaggio di classe molto chiaro da parte del nuovo presidente dell’UAW, Shawn Fain. Egli ha dichiarato di non voler distruggere l’economia, ma di voler “distruggere la loro economia“, cioè quella degli ultra-ricchi, dei miliardari, che sfruttano i lavoratori, si arricchiscono alle loro spalle e distruggono il pianeta. L’oratore riprende la retorica di Bernie Sanders, che ha guadagnato popolarità dal 2016. Il 18 settembre, un’importante manifestazione a Detroit ha riunito Bernie Sanders e Shawn Fain.

Il fatto che uno dei principali sindacati del Paese faccia una dichiarazione di lotta di classe così chiara in un’industria che per lungo tempo è stata il fiore all’occhiello del “sogno americano” e del capitalismo del XX° secolo non ha precedenti.

L’UAW è stata in prima linea nelle rivendicazioni fino agli anni ’70, ma, travolto dal rullo compressore neoliberista, il sindacato era diventato molto più morbido. Come si è arrivati a questo ritorno all’offensiva?

Ci sono due livelli di risposta. Il primo è la storia stessa del sindacato. L’UAW è stato creato durante i movimenti di occupazione delle fabbriche del 1936-37 (e Shawn Fain vi fa esplicitamente riferimento oggi). È stato un sindacato molto progressista tra gli anni ’40 e ’70, finanziando in parte la lotta per i diritti civili (nonostante le ambiguità interne su questo fronte). Poi,  di fronte al rullo compressore neoliberista, ha preso piede una tendenza maggioritaria che difende la cogestione, persino la collusione con i datori di lavoro. L’UAW ha accettato il sistema di “terzietà” alla fine degli anni 2000 e la sua storia è stata poi segnata da grandi scandali di corruzione.

Nel 2019, l’UAWD (Unite All Workers for Democracy – una tendenza interna al sindacato) ha deciso di condurre una battaglia per riformare il sindacato dall’interno. Lo scorso marzo, ciò ha portato all’elezione, per la prima volta a suffragio universale diretto, di Shawn Fain, membro dell’UAWD, a capo del sindacato.

Allo stesso tempo, questo movimento si svolge in un contesto sociale particolare, segnato dall’aumento dell’inflazione e dalla diminuzione dei salari reali, ma anche dal trauma della crisi Covid che, negli Stati Uniti, è stata drammatica, con l’assenza di una politica nazionale e quasi un milione di morti. La crisi sanitaria ha creato un enorme divario tra il valore attribuito ai cosiddetti lavori essenziali e la vita quotidiana di questi lavoratori, che non si sono sentiti né tutelati né ricompensati e che quindi hanno dovuto sacrificarsi per il “bene dell’economia”. Tutto questo ha lasciato il segno.

In secondo luogo, la morte di George Floyd è importante perché è stata seguita dalle più grandi manifestazioni della storia del Paese. Per il momento, le testimonianze degli scioperanti riportate sui social network e sui media tradizionali pongono poca enfasi sulle rivendicazioni antirazziste, ma questo non significa che non siano presenti nei picchetti di sciopero e non solo.

Più in generale, questa sequenza fa parte di un movimento più lungo in cui, dal 2016 in poi, con l’emergere di Bernie Sanders, l’idea socialista è riemersa e ha riacquistato visibilità mediatica. Ciò è stato reso possibile dal movimento Occupy Wall Street dell’autunno 2011, che a sua volta era una risposta alla crisi finanziaria del 2007-2008.

Spesso si dice che questo movimento è stato un fallimento in termini di regolamentazione finanziaria, ed è vero; ma ha permesso la diffusione di un messaggio sulla disuguaglianza e sulla classe che ha reso possibile questa svolta. Allo stesso modo, dovremmo ricordare che lo sciopero degli insegnanti di Chicago del 2012 ha ridato visibilità alla pratica dello sciopero. Ancora oggi è un punto di riferimento.

Questo movimento segna l’inizio di una rinascita dello sciopero negli Stati Uniti?

Lo vedremo! Ciò che è importante notare è che esiste un divario nella società. Da un lato, la popolarità dei sindacati è molto alta. L’istituto di sondaggi Gallup ha riferito nell’agosto 2022 che la buona opinione verso i sindacati era al 71%, la più alta dal 1965. E c’è stata una chiara ripresa a partire dagli anni 2010.

D’altro canto, però, l’adesione ai sindacati rimane in declino. Il tasso di iscrizione ai sindacati è in calo da anni, attestandosi intorno al 10% della popolazione attiva, con una grande differenza tra il settore pubblico (30%) e quello privato (6%), il che rende ancora più evidente l’attuale movimento nel settore automobilistico. Nel 2021-2022 c’è stata una leggera ripresa del numero di iscritti ai sindacati, ma è ancora marginale.

Ciononostante, abbiamo assistito allo sciopero di settori non abituati alle lotte, come Starbucks. Anche se Starbucks non ha una posizione strategica nell’economia statunitense, questi scioperi e l’ondata di sindacalizzazione che ne è seguita sono stati visti come la prova che qualcosa stava accadendo.

Sulla stessa linea, potremmo citare il lungo sciopero degli sceneggiatori e quello in corso degli attori e delle attrici di Hollywood. Si tratta di settori che non sono spesso associati ad azioni di sciopero, ma che stanno portando avanti la lotta per la dignità, per condizioni di lavoro e di vita dignitose. C’è l’idea che non sia più possibile avere tassi di profitto record mentre una parte della popolazione è costretta a vivere alla giornata.

Questo divario tra la popolarità dei sindacati e la frammentazione del mondo del lavoro rimane un freno alla diffusione della lotta. La sfida del movimento sindacale non è forse quella di superare questa frammentazione?

Sì, è il momento di iniziare a fare sul serio per i sindacati, che dovranno cercare di invertire la rotta dopo quella che è già stata definita la “calda estate del lavoro“, perché il numero di scioperi in questa estate del 2023 sembra effettivamente superiore all’anno record del 2022.

Ma in Francia si dimentica spesso che gli Stati Uniti hanno un’industria antisindacale molto forte. Le aziende sono pronte ad aggirare la legge e a farsi aiutare da studi legali e consulenti.

Nel 2019, uno studio dell’Economic Policy Institute ha evidenziato che il 40% delle aziende non rispetta la legge federale quando si tratta di organizzare campagne sindacali. Abbiamo anche assistito a campagne di intimidazione molto aggressive, ad esempio presso Amazon. Le aziende giocano sulla durata dei procedimenti legali durante i quali alcuni dipendenti sindacalizzati possono dimettersi o trasferirsi in un’altra azienda…

Questo è un grosso ostacolo. La domanda è se i sindacati saranno in grado di fermare questo movimento. Ad esempio, una delle domande che si pone il potente sindacato degli autotrasportatori e dei fattorini è come ottenere un punto d’appoggio in Amazon.

C’è anche da chiedersi se ci sarà un cambiamento della legislazione a favore dei sindacati. Va benissimo che Joe Biden faccia leva sul suo sostegno ai sindacati, ma se non ci saranno maggiori tutele a livello federale per il diritto di fare sindacato e per i diritti degli iscritti ai sindacati, sarà difficile combattere la frammentazione.

E la traduzione politica del movimento?

Un ostacolo difficile da superare è il sistema bipartitico del Paese. Non abbiamo il tipo di sistema che si può immaginare in Francia, dove i democratici rappresenterebbero il PS e i repubblicani l’UMP. I democratici sono al massimo un partito centrista, chiaramente non di sinistra, e i repubblicani sono un partito di estrema destra.

C’è però un elemento interessante. A giugno, molti sindacati hanno dato il loro sostegno a Biden, che sarà in campagna elettorale per la rielezione nel 2024. Shawn Fain e l’UAW non l’hanno fatto. Hanno chiarito che il loro sostegno non sarà gratuito: Joe Biden dovrà guadagnarselo. Vedremo se altri sindacati cercheranno di introdurre un equilibrio di potere con i Democratici.

Ci sono alcuni rappresentanti eletti apertamente come socialisti o almeno chiaramente di sinistra a livello locale, in particolare a Chicago, dove questo è il caso di circa dieci consiglieri comunali su cinquanta e del nuovo sindaco, Brandon Johnson. Ma questo rimane molto limitato e il Partito Democratico, nella sua forma attuale, è molto più preoccupato di proteggere gli interessi delle grandi imprese e delle classi medie superiori e dominanti che delle classi lavoratrici.

Quindi, c’è il rischio che Trump possa di nuovo vincere?

È chiaro che c’è un rischio, non da ultimo per il modo in cui i media mainstream parlano di Trump. L’effetto Dracula non funziona per lui. Se si dice semplicemente che non difende i lavoratori, non funziona e, anzi, alimenta l’idea della persecuzione. E lo stesso vale per i suoi problemi legali o per le sue posizioni su altri temi. È quindi possibile che anche una condanna non funzioni contro di lui, ma al contrario rafforzi la sua posizione.

Ciò solleva la questione cruciale delle forme di intervento politico della sinistra e dei sindacati. Ciò che è certo è che questo apre nuove opportunità. Nel 2016, la candidatura di Sanders ha creato la stessa apertura, ma senza successo. Resta da vedere se questo movimento sociale nell’industria automobilistica riuscirà a fare meglio.

*intervista apparsa su www.mediapart.fr il 30 settembre 2023. Traduzione a cura del segretariato MPS

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