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Le destre estreme producono divario in funzione delle realtà locali e crescono anche nei Paesi con alti livelli di prosperità. Milei ha incorporato molti dei discorsi di queste destre radicali globali, spesso in maniera non molto digeribile, come quando afferma che il cambiamento climatico è un’invenzione del socialismo o del “marxismo culturale” o quando segnala che viviamo sotto un neo-totalitarismo progressista. In generale, il fenomeno Milei è cresciuto dal basso verso l’alto e per molto tempo si è svolto fuori dal focus dei politologi – e delle rispettive élites politiche ed economiche – ed è riuscito a tingere il malcontento sociale di una ideologia “paleo libertaria” senza nessuna tradizione in Argentina (l’offerta ha poi creato la sua domanda). I suoi slogan “La casta ha paura” o “Viva la libertà, cazzo!” si sono mescolati a un’estetica rock che hanno allontanato Milei dall’austerità dei vecchi liberal-conservatori. Il suo discorso si è connesso a uno spirito di “que se vayan todos”, a tal punto che è riuscito a convertire questa rivendicazione, lanciata nel 2001 contro l’egemonia neoliberale, nel grido di guerra della nuova destra.

1. Javier Milei, un uomo senza esperienza politica, conosciuto per i suoi virulenti discorsi anti-keynesiani e per il disprezzo verso la “casta” politica, ha espresso, nei comizi argentini, una sorte di motivo elettorale antiprogressista. Questo processo ha, sicuramente, particolarità locali; esprime però un fenomeno più ampio e che trascende il Paese specifico che lo ha eletto. Se nelle ragioni dell’anticonformismo che hanno portato la maggioranza della popolazione a votare Milei si possono incontrare, in molti casi, fondamenti economici, l’espansione del libertario si lega anche a un fenomeno globale di emergenza delle destre alternative, con discorsi contro lo status quo che catturano il malessere sociale e il rifiuto verso le élites politiche e culturali. E non in tutti i casi il fondamento dell’espansione delle destre è economico.

2. Economista, matematico, in origine difensore di un liberalismo convenzionale, Milei si è convertito fin dal 2013 alle idee della scuola austriaca di economia nella sua versione più radicale: quella dello statunitense Murray Rothbard. La crescita politica di Milei è stata spinta dal suo stile stravagante, dal suo discorso profano contro la “casta” politica e da un insieme di idee ultraradicali identificate con l’anarcocapitalismo e sospettose della democrazia.

Dal 2016, soprattutto attraverso le sue apparizioni in televisione, presentazioni di libri, video di Youtube e lezioni pubbliche nei parchi, Milei è riuscito a generare una forte attrazione in numerosi giovani, che hanno cominciato a leggere diversi autori libertari e hanno costituito la prima base di sostegno. Dopo il suo lancio in politica nel 2021, quando è arrivato alla Camera dei Deputati, ha ottenuto un appoggio socialmente trasversale, che ha incluso i quartieri popolari. Lì il suo discorso, che sembrava uscito da La rebelión del Atlas di Ayn Rand, si è connesso con l’imprenditoria popolare e con l’ambivalenza – a volte radicale – di questi settori rispetto allo Stato. La pandemia e le misure statali di confinamento hanno alimentato le dinamiche “pro libertà” che incarna Milei.

3. L’appoggio di Mauricio Macri, ex presidente tra il 2015 e il 2019 e dirigente dell’”ala dura” della coalizione JxC (Juntos por el Cambio), è stato decisivo per Milei che ha potuto affrontare con possibilità di arrivare al ballottaggio. Con l’appoggio di Macri e Patricia Bullrich (che era rimasta al terzo posto nella prima tornata elettorale), il discorso anticasta di Milei – che sembrava avere come tetto il 30% dei voti – si è trasformato nel “kirchnerismo o libertà”, che era stato il motto di Bullrich.

La sua strategia, a partire da allora, è stata esprimere un voto antikirchnerista. Da questa base si è fatto forza per confrontarsi con il peronismo. Ma allo stesso tempo Milei è diventato enormemente dipendente da Macri. Quest’ultimo ha visto nella mancanza di struttura e di team di Milei la possibilità di recuperare dopo il fallimento del suo governo: il macrismo non solo darà un quadro al nascente mileismo, ma anche quest’ultimo dipenderà dai legislatori di Macri per ottenere un minimo di governabilità.

4. Dopo il primo turno, Milei ha lasciato da parte i suoi proclami più radicali di privatizzazione totale dello Stato, perché cozzavano con le sensibilità egualitarie e a favore dei servizi pubblici di una gran parte dell’elettorato. Domenica 19 ottobre, il candidato di La Libertà Avanza (LLA) ha ottenuto risultati impressionanti nella strategica provincia di Buenos Aires, dove è rimasto solo di un punto sotto al peronismo.

Il caso di Buenos Aires è sintomatico: per anni il peronismo ha fatto sfoggio del suo bastione politico-spirituale proprio lì. Il fatto che la differenza sia stata esigua esige un ripensamento dello storico potere territoriale del peronismo nella provincia – già sconfitto nel 2015 dal macrismo – e, soprattutto, nelle sue aree più impoverite. Milei ha stravinto, inoltre, in zone del centro produttivo del Paese come Córdoba, Santa Fe e Mendoza e anche in quasi tutte le province argentine. La grande domanda è cosa rimane ora del suo programma più radicale, inclusa la dollarizzazione dell’economia, che non ha mai spiegato fino in fondo, o la fine della Banca centrale.

5. Milei è riuscito a rivoltare in suo favore la sconfitta nel dibattito presidenziale. Quel giorno, Massa lo aveva messo quasi fuori combattimento. Era lui l’uomo che conosceva a menadito lo Stato, che sapeva dove guardare in camera e a cui “no le entraba ninguna bala”, sebbene fosse il ministro dell’Economica con un’inflazione del 140%. Di fronte a lui, un Milei abbattuto, senza capacità polemiche – lontano dal carisma dei suoi comizi con la motosega. Eppure, la vittoria di Massa è stata una vittoria pirrica. Oltre ad apparire come un ministro dell’economia che “fingeva demenza”, rappresentava come nessun’altro il tipo di politico super professionalizzato, rifiutato da gran parte dell’elettorato.

Nella campagna elettorale, Massa ha incarnato la casta, con l’appoggio più o meno esplicito dei dirigenti di Unión Civica Radical (UCR) e dei settori moderati dell’ultradestra, come il sindaco uscente di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta. Milei è riuscito a trasformare il troll antiprogressista in un progetto presidenziale. Dopo la sua vittoria del 19 novembre, una moltitudine è scesa in strada, come se si trattasse di una vittoria calcistica.

Il voto a Milei ha combinato il voto di protesta con un nuovo tipo di speranza associata a un discorso con una forte carica utopica e messianica e non pochi proclami reazionari: Milei si è presentato, arrivando a paragonarsi a Mosè, come il liberatore del popolo argentino dallo “statismo” e dalla “decadenza”. In soli due anni è passato dall’essere una sorta di Guason, che chiamava alla ribellione nella Città Gotica, a essere un insperato nuovo presidente. «La strategia di Milei è stata un vortice, erratica in molti momenti, disordinata, però d’effetto e collante del malessere.

La gente ha pagato con il suo voto l’entrata per un nuovo spettacolo, con protagonista Milei» ha scritto in un tweet l’analista Mario Riorda. Come approderà questa utopia in un programma di governo è la grande domanda in queste ore. Sarà qualcosa di più di un macrismo 2.0? È già stato anticipato che il suo governo sarà un insieme di mileisti e macristi, con un ruolo centrale per Patricia Bullrich. Bisognerà anche vedere quale sarò il ruolo della vicepresidente Victoria Villaruel, un’avvocata associata alla destra radicale, inclusi gli ex militari della dittatura, e che si ispira a Giorgia Meloni.

6. Le azioni quotidiane di micro-militanza progressiste degli ultimi giorni – cioè persone comuni che intervenivano sui mezzi di trasporto e in altri spazi pubblici – non sono state sufficienti a invertire una tendenza che è stata più potente del previsto. Queste azioni di micro-militanza, che hanno messo in luce il negazionismo di Milei – sui crimini dell’ultima dittatura, ma anche sul cambiamento climatico – e le sue proposte contro la giustizia sociale (che considera una mostruosità), hanno cercato di essere una voce di monito. Non sono però riuscite a spiegare perché il progetto di Massa potesse risultare attraente, ma solo che era necessario un voto di sbarramento per non perdere diritti. Molti di questi gruppi di micro-militanza progressista hanno finito per appellarsi a una difesa del sistema politico (concretizzato nella proposta di Massa di “unità nazionale”), contro cui lo stesso Milei aveva montato il suo discorso “contro la casta”.

D’altra parte, più che evidenziare le qualità del candidato peronista (in cui spesso non credevano), i gruppi micro-militanti hanno messo in guardia dal pericolo “fascista” del suo avversario. L’indebolimento stesso del kirchnerismo ha fatto sì che questi discorsi fossero spesso insignificanti o percepiti come sermoni da una parte della popolazione decisa a votare per il “nuovo” – anche se il nuovo è un salto nel vuoto. A questo si è aggiunto il fatto che il mileismo ha potuto contare su una propria micro-militanza, in gran parte digitale.

Il risultato elettorale si è rivelato pressoché identico a quello di Jair Bolsonaro contro Fernando Hadad nel 2018. La “paura” che la campagna di Massa ha installato si è confrontata con il sentimento di “non poterne più” della campagna di Milei. Il progressismo argentino si trova ora di fronte alla necessità di fare un bilancio di questi anni; alla necessità di reinventarsi in un nuovo contesto politico-culturale: una potenziale ondata reazionaria. “Queste elezioni non sono solo una sconfitta del kirchnerismo, dell’Unión por la Patria o del peronismo in generale. Sono soprattutto una sconfitta della sinistra. Una sconfitta politica, sociale e culturale della sinistra, dei suoi valori, delle sue tradizioni, dei diritti conquistati, della sua credibilità”, ha scritto lo storico Horacio Tarcus.

7. La vittoria di Milei determinerà un cambiamento culturale nel paese in linea con la sua ideologia ultracapitalista? Sarà in grado di trasformare il sostegno elettorale in effettivo potere istituzionale? Questa nuova destra, frutto di un assemblaggio di libertari e macristi, sarà in grado di governare “normalmente”?

Se Milei ha superato Juntos por el Cambio, ha poi dovuto dipendere da Macri e Bullrich per ottenere i voti per il secondo turno. Milei ha vinto la Presidenza e Macri ha acquisito il potere politico. Sarà in grado di attuare gli interventi radicali che ha promesso? Quale sarà la forza della resistenza – da parte dei sindacati e dei movimenti sociali – a un governo che sarà molto più a destra di quello di Macri (2015-2019) e che promette una terapia d’urto? Milei riuscirà a costruire una base sociale per sostenere le sue riforme?

Dopo le 22 di domenica 19 novembre, il presidente eletto ha riacquistato il suo tono da barricata e gesta eroiche davanti ai suoi seguaci. Si è presentato come il “primo presidente liberal-libertario nella storia dell’umanità”, ha fatto riferimento al liberalismo del XIX secolo e ha ripetuto che nel suo progetto non c’è posto “per i tiepidi”. I suoi seguaci hanno risposto cantando: “Que se vayan todos, que no quede ni uno solo”.

*Articolo originale pubblicato su Nueva Sociedad il 22 novembre 2023. Traduzione per Globalproject di Agata Guerrini e Miriam Viscusi.

[1] Così si autodefinisce lo stesso Milei