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Pubblichiamo qui l’intervento in Gran Consiglio del deputato dell’MPS Giuseppe Sergi nel dibattito di martedì 12 dicembre sulla riforma fiscale. (Red)

Marx sosteneva che la fiscalità è la prima forma della lotta di classe.
E in questo Cantone da ormai tre decenni vi è una costante e tenace lotta di classe proprio su questo terreno. Una lotta di classe alla rovescia, nella quale i rappresentanti delle classi dominanti – nelle loro diverse espressioni – hanno difeso la causa dei ricchi contro i poveri.
Naturalmente non si è sempre trattato di una lotta politica lineare. Vi sono stati dei momenti nei quali, ad esempio, un aumento contenuto dell’imposizione fiscale è stato opposto ad un proposta più radicale dell’aumento dell’imposizione fiscale (pensiamo, ad esempio, alle votazioni fiscali del 2005); o altri nei quali addirittura si è arrivati ad uno scambio tra sussidi di cassa malati e diminuzione dell’onere fiscale (uno scambio oggi – giustamente – aborrito dal PS; all’epoca considerato un capolavoro politico dal suo rappresentante in Consiglio di Stato).
Tagliare le tasse è il mantra ripetuto ormai da anni; anche quando in momenti come quello che stiamo vivendo, appare evidente che senza una redistribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro, senza interventi profondi nella redistribuzione della ricchezza, non vi potrà essere nessuna risposta adeguata ai bisogni e alle esigenze non solo di quelli che vengono chiamati i ceti più deboli, ma della società nel suo complesso, della sua stessa sopravvivenza (basti pensare a questione come quelle della parità di genere – a cominciare da quella salariale o del lavoro di cura – o, ancora più grande, ai problemi di ordine ambientale).
Le motivazioni di questa lotta e di questa politica sono sempre le stesse.
A cominciare dalla cosiddetta “socialità” che caratterizzerebbe la fiscalità del Cantone che ci viene ricordata con dovizia di cifre, richiamando le percentuali di esenti e le ridotte percentuali di coloro che pagano la gran parte delle imposte. In realtà questo non dimostra alcuna socialità, ma è il riflesso di una divisione della ricchezza da paese sottosviluppato: si potrebbero facilmente opporre le stesse percentuali (ma al contrario) di una ristretta élite di soggetti fiscali che posseggono una spropositata percentuale della ricchezza reddituale e patrimoniale.
Vi è poi l’argomento della cosiddetta concorrenza fiscale. Al di là della battaglia delle cifre (tra quelli che partono e quelli che restano) val la pena fare due considerazioni:
-la prima è che il preteso ciclo virtuoso tra sgravi fiscali, aumento degli investimenti, e maggiori entrate fiscali e – da ultimo ma non certo ultimo – l’aumento del benessere per la stragrande maggioranza della popolazione, non lo ha visto nessuno in questi ultimi decenni di lotta di classe fiscale. Le condizioni economiche e sociali del Cantone sono complessivamente peggiorate e hanno ormai imboccato una via declinante.
-la seconda, empirica, è che laddove si sono approvati importanti aumenti delle tassazioni per i più benestanti, costoro non hanno lasciato il Cantone. Se così fosse, di fronte al pesante aumento della loro imposizione, non dovrebbero esserci quasi più globalisti nel nostro Cantone.
Il problema del nostro cantone, come faceva notare qualcuno, non è l’imposta sul reddito, ma il reddito, cominciando dai salari che rappresentano la fonte di reddito fondamentale per la stragrande maggioranza della popolazione.
Certo, sentiamo già le osservazioni di coloro che vogliono lasciare, come dicono, quanti più soldi possibile nelle tasche della popolazione. Con una serie di proposte fiscali (deduzione premi, tasse di circolazione, etc.) che, tuttavia, hanno una rilevanza di gran lunga inferiore rispetto a quanto le famiglie subiscono a causa di politiche che vedono protagoniste quelle stesse forze politiche che, gridando di non voler mettere le mani nelle tasche dei ticinesi, lo fanno alla grande; difendendo politiche che portano all’aumento dei premi di cassa malati, all’aumento delle tariffe elettriche; o, ancora, difendendo le politiche delle imprese – pubbliche e private – che vogliono tagliare i salari (cfr. Preventivo 2024) o diminuirne fortemente il potere d’acquisto attraverso la mancata compensazione del rincaro (o parziale) o, come direbbero loro, nuovi balzelli (contributo di solidarietà). Potere d’acquisto che ha accumulato ormai un ritardo, in questi ultimi anni, che oscilla tra il 7 e l’8%, l’equivalente di una mensilità.
È l’altro versante della lotta di classe dall’alto che, agendo a livello della ripartizione primaria che avviene a livello delle imprese, si è affermato a favore dei diritti del capitale, al suo desiderio di redditività, e contro il diritto del lavoro salariato, il vero produttore di ricchezza, la forza che – per usare una espressione cara ai neoclassici- crea valore aggiunto nel processo di produzione e distribuzione.
Gli sgravi fiscali per i ricchi sono un intervento ulteriore a difesa della redditività del capitale: perché quello che non va alla fiscalità va, evidentemente, al profitto, sotto qualsiasi forma esso si manifesti (dividenti, corsi azionari, etc.).
La lotta di classe continua…