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L’articolo che pubblichiamo è apparso su un sito gestito da compagni e compagne di Sinistra Anticapitalista, organizzazione italiana “sorella” dell’MPS. Il punto di partenza di questo articolo è quindi il dibattito fiscale italiano.
Tuttavia, contiene diverse considerazioni che valgono anche per la realtà svizzera e cantonale, dove abbiamo in corso un dibattito sulla fiscalità e sul suo ruolo per lo “sviluppo del Cantone”. Pensiamo quindi che abbia un certo interesse, anche alla luce del referendum fiscale (riuscito e sul quale andremo a votare) al quale anche l’MPS ha dato il suo contributo. (Red).

I ricchi non amano pagare le tasse. Così chiedono ai governi di abbassare le aliquote. I governi obbediscono perché “è così che si crea sviluppo”. Ma lo “sviluppo” non decolla. Così i ricchi chiedono di nuovo ai governi di abbassare le tasse, per “creare sviluppo”

E’ diventata ormai da decenni di senso comune “la necessità di abbassare le tasse”.

Tutta la politica, la stampa, tutti i media, i commentatori politici, le facoltà di economia, e, di conseguenza, l’opinione pubblica, si sforzano di diminuire la “pressione fiscale”, come se le tasse e quella pressione agissero e pesassero nella stessa maniera e nella stessa misura su poveri e ricchi, sulle lavoratrici e sui lavoratori come sulle imprese e sugli speculatori finanziari.

“Tagliare il cuneo fiscale” è diventato per i governi, per le opposizioni, per i sindacati il mantra economico al fine di combattere il carovita, che riduce di giorno in giorno il potere d’acquisto delle retribuzioni, perché non sia mai che i salari debbano aumentare diminuendo almeno di un po’ i profitti.

La Confindustria, le altre associazioni padronali e i loro dirigenti etichettano come “populista” ogni proposta di prelievo fiscale a carico dei profitti degli imprenditori, i cui guadagni “vanno rispettati” perché sarebbero loro che “creano lavoro e sviluppo”.

Le disuguaglianze crescono

Eppure, il recente rapporto di Oxfam specifica che “dall’inizio della pandemia i 5 uomini più ricchi al mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Mark Zuckerberg) hanno più che raddoppiato le proprie fortune, a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre la ricchezza aggregata di quasi 5 miliardi delle persone più povere non ha mostrato barlumi di crescita.

Ma, si sa, Oxfam è un’associazione di “pauperisti woke“, contraria allo sviluppo e critica del capitalismo.

Così, per sollecitare una discussione, c’è voluta la lettera aperta rivolta al Forum di Davos, pubblicata sul sito proudtopaymore.org/, con la quale 250 ricchi e ricchissimi propongono che le loro “ricchezze estreme” vengano tassate. Riconoscono molto candidamente che qualche tassa in più “non modificherà radicalmente il nostro tenore di vita, né priverà i nostri figli, né danneggerà la crescita economica delle nostre nazioni. Ma trasformerà la ricchezza privata estrema e improduttiva in un investimento nel nostro futuro democratico comune”. Cioè affermano l’esatto opposto di ciò che gran parte del mainstream accademico ripetutamente blatera.

I firmatari provengono da diciassette paesi, tra di loro Abigail Disney e Valerie Rockefeller, delle omonime dinastie. Ricchi esponenti dello spettacolo, come il musicista Brian Eno e gli attori Brian Cox e Simon Pegg. Tra i 250 ricchi solo tre italiani: Martino Cortese (dell’Amplifon) e i figli di Veronica Marzotto, Guglielmo e Giorgiana Notarbartolo di Villarosa.

Ma i ricchi in Italia sono molti più di tre e nel mondo molti di più di 250 e non hanno mai avuto con le tasse un rapporto “amichevole”, perché le hanno sempre considerate un furto ai loro danni.

La legge a tutela delle disuguaglianze

Katharina Pistor, giurista di origine tedesca e studiosa degli escamotage giuridici del capitale, mostra nel suo Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza che è anche la legge a creare la proprietà e a spingere le proprietà a vette vertiginose. Il suo libro non è pubblicato da una casa editrice “populista”, “sovversiva” o “veterocomunista”, ma dalla Luiss University Press.

Vale la pena riflettere su una delle sue conclusioni: “I sussidi e altri diritti simili sono normalmente visti con riluttanza, considerando che distorcono il mercato e portano all’inefficienza o addirittura alla corruzione. Tuttavia, si può sostenere che la protezione legale di cui gode il capitale è la madre di tutti i sussidi”.

Ai ricchi (salvo sparute eccezioni che confermano la regola) non importa nulla se miliardi di persone soffrono e spesso muoiono perché sopravvivono sotto il livello minimo di sussistenza. Per i ricchi, qualunque sia il problema della società, quello va risolto introducendo per loro e per le loro ricchezze nuove agevolazioni fiscali, consentendo loro di “investire di più”, perché è riconosciuto da tutti che “è così che si creano posti di lavoro e tutto funzioni perfettamente”.

Il fatto che da decenni (almeno dagli anni 80 del secolo scorso) siano enormemente cresciute le agevolazioni fiscali per le imprese e per gli alti e altissimi redditi e che parallelamente siano cresciute le disuguaglianze e la povertà non commuove nessuno. E se ne chiedono altre. E i governi, disciplinatamente, siano essi di destra, di estrema destra o di “sinistra”, ne decidono altre.

Il capitalismo libero dai lacci imposti dai movimenti

Esistono molte prove empiriche: la ricchezza privata e le stesse “ricchezze estreme” esistono e crescono anche perché le istituzioni pubbliche la rendono possibile e ne rendono possibile la crescita.

Un tempo, nel confronto geopolitico della “guerra fredda” e sotto la spinta di grandi lotte di massa, la politica cercava di evitare, spesso non riuscendoci, l’ostentazione di ricchezze eccessive. Nel 1942, l’allora presidente USA Franklin Delano Roosevelt, non certo un estremista di sinistra, disse di fronte al parlamento americano: “Nessun cittadino americano dovrebbe avere un reddito netto, al netto delle tasse, superiore a 25.000 dollari all’anno” (si calcola che 25.000 dollari di allora possono essere considerati equivalenti a 470.000 di oggi).

Oggi neanche un esponente della socialdemocrazia di sinistra oserebbe sostenere che nessuno dovrebbe avere un reddito netto annuo superiore a mezzo milione di dollari o di euro. Solo in Italia, coloro che hanno un reddito personale annuo medio netto superiore a 500.000 euro sono più di 4.000. Senza parlare di tutti coloro che hanno anch’essi un reddito così alto ma che, grazie all’evasione e all’elusione fiscale, non sono conteggiati dalle statistiche.

La tutela dei diritti di proprietà è un servizio che i governi forniscono a chi possiede, finanziandolo con le entrate generali ottenute dalla tassazione di tutti gli altri contribuenti e mettendo a disposizione dei ricchi il sistema giudiziario, la polizia, l’esercito a protezione della sacra “proprietà privata”. Qualcosa che costa un sacco di soldi a tutta la popolazione contribuente. Il diritto di proprietà è un servizio pubblico di cui si gode privatamente e il diritto di accumulare profitti e di far crescere i propri patrimoni comporta dei costi per tutta la popolazione che paga le tasse.

Persino i soldi risparmiati abolendo il reddito di cittadinanza e facendo così ripiombare nella povertà assoluta milioni di persone sono stati reinvestiti nei sussidi ai ricchi.

I ricchi non amano pagare le tasse quando le aliquote fiscali sono elevate. Così chiedono ai governi di abbassare le aliquote. I governi obbediscono. Tutta la stampa applaude: “è così che si crea sviluppo”. In realtà lo “sviluppo” non decolla e le disparità aumentano. Così i ricchi chiedono di nuovo ai governi di abbassare ulteriormente le aliquote, per “creare sviluppo”.

250 ultraricchi nel mondo, solo tre in Italia, quelli della “lettera aperta a Davos”, fanno eccezione, ma forse lo fanno al solo scopo di legittimare la regola degli altri milioni di ultraricchi, che odiano le tasse e sanno che i governi faranno di tutto per corrispondere ai loro desideri.

*articolo apparso sul sito Sempre e per sempre dalla stessa parte (wordpress.com)