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Senza fine la guerra interna contro la classe lavoratrice

Cinque operai uccisi a Firenze nel crollo di un cantiere per l’ennesimo ipermercato. Mentre le guerre esterne continuano nel mondo e le classi dominanti ne preparano altre dentro una folle corsa al riarmo e una campagna ideologica bellicista volta ad assuefare le menti delle popolazioni a nuove catastrofi, non meno violenta è la guerra interna nel nostro paese, silenziosa, ma egualmente letale, alle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori, sospinta dalla necessità delle forze capitaliste di flessibilizzare al massimo la forza lavoro e di distruggerne i diritti per realizzare il massimo profitto nella giungla della concorrenza capitalista.

La strage degli operai a Firenze

Il luogo del delitto, stavolta, è il cantiere – nell’area dell’ex Panificio militare di Firenze – per un ennesimo grande supermercato Esselunga, marchio che conosciamo per le inchieste sul “sistematico sfruttamento dei lavoratori”, per i suoi “ingentissimi danni all’erario” e per il contenuto reazionario di alcuni spot pubblicitari.

Sono morti 5 operai e altri 2 sono gravemente feriti in questa spaventosa catena infinita di omicidi su lavoro. Di alcuni di loro non si conoscono neanche i nomi, nessun loro parente è giunto sul luogo per riconoscerli, sono migranti magrebini, alcuni delle centinaia di migliaia di migranti che garantiscono ogni sorta di attività produttiva e in particolare le costruzioni nell’edilizia, il fondo della scala sociale, quelli contro cui la Lega e le destre costruiscono le loro vigliacche campagne di odio e di divisione.

Il 2023 si era chiuso con 1041 incidenti mortali sul lavoro, quasi 3 al giorno. Nel 2024 siamo già a quasi 150 omicidi dall’inizio dell’anno.

Una strage infinita che non attiene alla fatalità e su cui non c’è necessità di attendere gli “accertamenti” come tutti i sicofanti a partire dai responsabili della tragedia, pretendono di affermare, dopo una rapida ed ipocrita dichiarazione di rincrescimento per le vittime cadute sul campo del profitto.

I responsabili diretti ed indiretti sono invece ben individuabili e un forte atto di accusa va lanciato contro di loro per cercare di stroncare questa tragica catena e per rendere giustizia alle vittime stesse.

Le cause e i responsabili della tragica catena

Le cause di questa catena mortale stanno nelle condizioni in cui si lavora imposte dai padroni, dai ricatti a cui sono sottoposti milioni di lavoratrici e lavoratori, dallo smantellamento di leggi che costituivano una difesa per le classi lavoratrici (a partire dall’articolo 18), da  provvedimenti che governi, parlamenti e amministrazioni locali hanno voluto, votato, deliberato. Da quarant’anni governi di centro destra o di centro sinistra (chi più chi poco meno) hanno cancellato una serie di tutele che le lotte operaie e l’organizzazione sindacale di classe avevano imposto alle imprese. La cancellazione dell’art.18 voluta dal governo Renzi, ha dato la stura a molti licenziamenti di Rappresentanti sindacali e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, evidentemente troppo ligi al loro dovere. Il tutto in nome della libertà d’impresa, per togliere “lacci e lacciuoli” a vantaggio dei capitalisti e a svantaggio della sicurezza e della stessa vita dei lavoratori. Sono stati costruiti contratti di lavoro brevi, senza formazione e addestramento, operai improvvisati e sotto il ricatto del rinnovo del contratto e scadenza, per potersi opporre a operare in situazioni di pericolo.

E il governo Meloni ci ha messo del suo, più che mai deciso a non porre ostacoli ai padroni e ai padroncini “che fanno”, allargando ancora la loro libertà di azione, riducendo i controlli, guardandosi bene dal procedere alle assunzioni necessarie per l’Ispettorato del lavoro.  E infine Salvini con il suo nuovo codice degli appalti – sulla scia del governo Monti e delle direttive UE  (la ridefinizione del codice è uno degli obiettivi del Pnrr) – ha moltiplicato la catena dell’appalto e del subappalto, una giungla costruita per accrescere lo sfruttamento, il lavoro precario e salari di fame, moltiplicando le condizioni degli incidenti e liberando da ogni responsabilità diretta il committente iniziale e permettendo alle varie ditte di scaricarla verso il basso, senza che mai si possa individuare il vero responsabile. (Vedasi in proposito https://ilmanifesto.it/subappalti-la-trave-nellocchio)

Nel caso di Firenze i lavoratori sopravvissuti non sono riusciti neanche a informare su quali siano gli anelli della catena dei lavori.

Il dato che fornisce il sindacato (l’INPS sembra non saperlo) è che i lavoratori in subappalto costituiscono il 70% dei morti sul lavoro.

La ministra Calderone ha cercato addirittura di ridurre le ore di formazione obbligatoria alla sicurezza da 16 a 10 e ora qualcuno dei ministri propone di abolire l’obbligo di badge nei canteri edili.

Come scrive Chiara Saraceno “Si muore di lavoro perché chi ne ha responsabilità, per fretta, voglia di tagliare i costi, semplice insipienza, non osserva e non fa osservare le norme più elementari di sicurezza e non si preoccupa se i lavoratori hanno ricevuto la formazione necessaria. Che il lavoro manuale, e in particolare quello edile, sia più a rischio infortuni e di morte non è l’inevitabile conseguenza delle caratteristiche del lavoro. Piuttosto è l’esito di un disprezzo per i diritti e la sicurezza di chi lo fa: ‘materiale umano a spendere’, forse meno prezioso di quello non umano… Non a caso l’edilizia è sempre stato il grande bacino di occupazione di chi non riusciva a trovare altro o non sapeva fare altro, oggi i migranti”.

I migranti

Già i migranti: sono proprio loro a conoscere le condizioni peggiori, i ricatti più violenti, nei cantieri, nelle campagne, nelle piccole aziende (in certi casi quasi un lavoro schiavista) perché non sono neppure protetti dall’essere cittadini italiani; sono quindi una categoria di lavoratori di serie B, priva dei diritti elementari e quindi obbligati a cedere ai peggiori ricatti e alle peggiori condizioni di lavoro per sopravvivere e per spedire un po’ di soldi alle famiglie lontane disperate.  Vergogna sui governi che hanno fatto le leggi sulla immigrazione e che negano a milioni di persone, compreso i bimbi e le bimbe nate in Italia, la cittadinanza Sono state approvate leggi che hanno imposto la precarietà del lavoro.

Chiamare per nome i responsabili

Si, i responsabili di questa guerra, di questi omicidi sono i padroni, e i loro inverecondi gestori politici, su cui spiccano naturalmente le estreme destre che da sempre svolgono il compito di costruire le divisioni dei lavoratori e dei capri sociali nei settori più deboli ed indifesi della società.

I padroni, gli imprenditori, poi, anche quando vengono più o meno individuati come responsabili non hanno nulla da temere per i morti e gli infortuni che causano. Anche quando un grado di giudizio accertata la loro colpa, c’è qualche istanza successiva della magistratura che li assolve o li dispensa dalla condanna.

Ben venga quindi la legge di iniziativa popolare che istituisce il reato di omicidio sul lavoro pur sapendo quanto sarà difficile che essa possa trovare in questo parlamento un facile percorso.

Un problema generale a cui dare una risposta di lotta generale

Per comprendere appieno quanto sta accadendo occorre avere ben presente un problema generale a monte: l’evoluzione avvenuta nei rapporti di forza tra le classi, le sconfitte subite dal movimento dei lavoratori, la perdita degli strumenti di organizzazione e di controllo che esistevano nei luoghi di lavoro che permettevano di controllare un poco i processi produttivi, i livelli di sfruttamento e di respingere i ricatti padronali. Questa situazione e la forza complessiva delle organizzazioni sindacali trasferiva anche fuori dai luoghi di lavoro, nella società, un rapporto di forza e una consapevolezza dei diritti che coinvolgeva l’intero proletariato e quindi anche le/i disoccupate/i. Un po’ tutti si sentivano depositari di diritti del lavoro. La generalizzazione delle varie forme di lavoro precario, le perdite salariali, l’indebolimento delle forme di organizzazione avrebbero poi favorito le spinte individuali e il venir meno di una forza e di una coscienza collettiva.

Le direzioni sindacali confederali portano una pesante responsabilità perché da molti decenni hanno subordinato le loro scelte alle esigenze produttive dei padroni, al gioco della concorrenza, alle politiche liberiste dell’UE, lasciando erodere i salari operai, accettando i contratti precari (che per altro si sono sviluppati mentre contemporaneamente rimaneva ben presente il lavoro nero) quindi la flessibilizzazione della forza lavoro.

Inoltre di fronte alla lunga catena dei morti sul lavoro con vere e proprie stragi non sono stati capaci di rispondere con una reale azione politica e di lotta generale che andasse oltre le dichiarazioni “Basta morti sul lavoro” e limitatissimi scioperi locali, o molte volte senza neppure questi, rinunciando alla indispensabile realizzazione dello sciopero generale di tutta la classe lavoratrice. Nemmeno in queste occasioni sono riusciti a suonare le campane a martello per suscitare un movimento di massa.

I sindacati di base di fronte alla strage di Firenze hanno indetto lo sciopero generale per martedì 20.

CGIL e Uil hanno dichiarato per mercoledì 21 due ore di sciopero, ma solo per le categorie degli edili e dei metalmeccanici (questo perché, stando a quanto si apprende, i lavoratori uccisi avevano un contratto metalmeccanico, meno oneroso per il padrone di quello da edili), invitando genericamente le altre categorie a promuovere iniziative. La Cisl non arriva neppure a questo e parla genericamente di disponibilità a una mobilitazione futura.  

Landini poi promette un referendum per abolire alcune leggi sulla precarietà. Si certo, ma è comunque un rimando alle calende greche.

Veramente troppo poco quello che si prospetta d fare. Siamo consapevoli della difficoltà a mobilitare, ma se non ci si prova, diventerà ancora sempre più difficile invertire la rotta e impedire gli omicidi sul lavoro.

Bisogna scioperare subito e in forma generale contro la strage delle lavoratrici e dei lavoratori e contemporaneamente bisogna aprire una nuova stagione di lotta per il salario, per l’occupazione contro la precarietà.

Per queste ragioni Sinistra Anticapitalista continua a opporsi ai contratti di lavoro precari, vuole la reintroduzione dell’articolo 18 nello Statuto dei lavoratori, vuole l’eliminazione del lavoro in appalto e la reinternalizzazione delle attività e sostiene l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro. E invita tutte le lavoratrici ad organizzarsi per controllare ogni giorno i processi produttivi e la sicurezza sul lavoro e perché forte si alzi la voce dai luoghi di lavoro precari o meno precari per chiedere alle organizzazioni sindacali  la costruzione di una nuova stagione di lotta e di riscatto delle classi lavoratrici.
Solo così la catena di morte potrà essere combattuta e si potrà impedire che subentri l’indifferenza e la rassegnazione.

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