Sono due i temi che costantemente nutrono il dibattito politico. Da un lato la necessità di contenere i disavanzi d’esercizio, dall’altro quello di contenere l’aumento del debito pubblico. Naturalmente le due questioni sono intimamente legate.
Vorremmo qui affrontare prima di tutto la questione del debito pubblico. Circa due miliardi e mezzo, forse si va verso i tre: un fardello insostenibile, si afferma, sia perché corrisponde ad oneri finanziari (gli interessi passivi) sempre più pesanti, sia perché si lascerebbero debiti alle generazioni future. Un debito, per riassumere, insopportabile.
Naturalmente non vengono mai indicati limiti ed elementi che lo renderebbero insopportabile, né in cifre assolute né in termini percentuali, se non un’idea semplicistica che l’aumento del debito possa essere giustificato solo se diretto alla finanziamento degli investimenti e non del spesa corrente. Ma si tratta di una posizione altamente discutibile.
A noi pare invece più interessante riflettere sul rapporto tra il debito pubblico e la ricchezza prodotta. D’altronde è uno dei pochi criteri presenti ed operativo, pur facendo riferimento a Stati nazionali: ci riferiamo ad uno dei famosi criteri di convergenza introdotti a livelle dell’Unione europea, laddove il rapporto limite tra la misurazione della ricchezza prodotta (il PIL) e il debito pubblico non dovrebbe superare il 60%.
Ebbene, il nostro debito pubblico si aggira attorno ai 2,5 miliardi. Il Pil cantonale si aggira attorno ai 30 miliardi. Il calcolo è presto fatto: il nostro debito pubblico corrisponde, grosso modo, a meno del 10% della ricchezza prodotta. Anche se a questo dato aggiungessimo altri elementi che vengono spesso richiamati (ad esempio il cosiddetto debito che il Cantone avrebbe nei confronti della cassa pensione) le cose non cambierebbero in modo fondamentale. Questo per dire che il debito pubblico cantonale e un suo aumento sono sicuramente sopportabili, in particolare se l’obiettivo è quello di evitare una diminuzione della spesa pubblica nei settori della formazione, della socialità, della sanità e della cultura.
Ma un altro dato che vorremmo sottoporre all’attenzione di tutti è quello del rapporto tra spese finanziarie e ricavi finanziari (che tutti possono consultare a pag. 17 del messaggio), cioè tra quello che il debito ci costa in termini di interessi e quello che il nostro patrimonio (costruito anche ricorrendo al debito) ci rende. Ebbene i dati per il 2024 sono chiari: di fronte a interessi negativi (spese finanziarie) di 36 milioni abbiamo interessi positivi (ricavi finanziari) di circa 92 milioni, cioè un rapporto di 1 a 3. Sentiamo già le obiezioni di coloro che mettono in luce che non solo tra il 2023 e il 2024 gli spese finanziarie sono aumentate (passando da 27 a 36), ma che, vista una certa tendenza ad un aumento dei tassi di interesse, questa situazione potrebbe peggiorare. Non è tuttavia questo lo scenario che ci delinea le cifre di piano finanziario presentate: le spese finanziarie dovrebbero lievatare, nel 2027, a quasi 44 milioni; sempre nel 2027 i ricavi finanziari dovrebbero assestarsi a più di 83 milioni: malgrado tutto quindi ancora un rapporto di quasi uno a due. Una situazione questa, di un rapporto favorevole agli interessi positivi, che dura da tempo: ricordiamo, ad esempio, che dieci anni fa avevamo spese finanziarie per 44 milioni di fronte a ricavi finanziari di 59 milioni.
Tutto questo ci porta ad affermare che in realtà il debito pubblico è assunto e presentato in una dimensione negativa, dimenticando, tra l’altro, che il sistema economico nel quale viviamo, il capitalismo, è un sistemo costruito sul debito e che la formazione degli Stati moderni si è legata alla creazione del debito pubblico.
In realtà il debito pubblico, e il suo aumento in particolare, hanno spesso una dimensione virtuosa, sia in termini finanziari che in termini sociali.
Un aumento del debito pubblico non necessariamente corrisponde ad un aumento netto delle spese finanziarie per sostenerne i costi. Ad un debito corrisponde un credito, spesso un patrimonio (finanziario o sociale) che, sul piano finanziario genera ricavi finanziari superiori alle spese finanziarie che esso causa.
Questo Parlamento in passato ha operato in questa direzione. Pensiamo, per esempio, all’aumento di capitale di BancaStato. Nel 2016 si è posta l’esigenza (a seguito delle nuove direttive FINMA) di un aumento del capitale di dotazione di BancaStato. Il Cantone, azionista unico, vi ha messo mano. Nel messaggio relativo il governo così sintetizzava costi e guadagni dell’operazione (un aumento di capitale di 120 milioni e una riconversione di un prestito postergato di 140 milioni: in totale dunque 260 milioni): “Concludendo, per rapporto alla situazione attuale e semplificando (ossia senza tenere conto dell’aumento degli utili e, quindi, dei dividendi, che l’aumento del capitale dovrebbe permettere), la conversione dei crediti postergati perpetui e l’aumento del capitale di dotazione potrebbero portare al Cantone ricavi netti supplementari dai 7,1 milioni di franchi (2,9 milioni + 4,2 milioni) ai 8,9 milioni (2,9 milioni + 6 milioni).” (pag. 17 del messaggio che ti allego). E si trattava di un calcolo prudenziale…
Ma, oltre agli aspetti finanziari, vi sono quelli di ordine sociale. Aumentare il debito pubblico, a seguito di disavanzi di esercizio, per formare i nostri figli, lasciare loro un sistema scolastico, sanitario e sociale di qualità non significa lasciare loro un debito, ma un patrimonio di grande valore. È una questione di punti di vista.
Naturalmente la partita delle finanze, malgrado le considerazioni che abbiamo fatto sulla sopportabilità del debito e del suo aumento, non può essere giocata solo in difesa. Va giocata all’attacco, attraverso un aumento delle entrate. Non, come si tende a dire per guadagnare facili consensi, un generico aumento delle imposte, ma un aumento delle imposte per coloro che in questi ultimi anni hanno visto aumento redditi e patrimoni in modo importante.
Anche qui sentiamo già venire le obiezioni di chi sostiene che negli ultimi anni (diciamo dal 2017 in avanti) gli sgravi fiscali concessi non hanno per nulla bloccato l’aumento delle entrate fiscali che, cifre alla mano, sono progredite sistematicamente.
È vero, ma questo risultato non è il frutto degli sgravi fiscali, ma di un’altra ragione molto semplice: l’aumento costante della ricchezza prodotta che si è riflessa in un aumento sistematico del PIL cantonale. Ma questo aumento di ricchezza, proprio a causa degli sgravi fiscali, ha ridotto l’aumento delle entrate fiscali che avrebbero potuto essere di gran lunga maggiori e permettere così al Cantone di disporre di ampi mezzi finanziari per una politica diversa in vari ambiti fondamentali.
Il rapporto di minoranza indica alcune piste per recuperare gettito; le condividiamo anche se abbiamo qualche dubbio quando pensiamo che la capacità di frenare dell’amministrazione per evitare aggravi alle imprese è molto forte; bisogna ammettere mano alle aliquote dei patrimoni, degli utili e dei redditi più alti come proponiamo in una serie di emendamenti che abbiamo presentato; cioè l’esatto contrario di quanto vuole fare la riforma tributaria contro la quale abbiamo lanciato con altri il referendum sul quale saremo chiamati a votare.
*intervento in Gran Consiglio del 6 febbraio 2024