Tempo di lettura: 8 minuti

L’iniziativa per una 13a AVS è stata ampiamente accettata in votazione popolare lo scorso 3 marzo. Essa garantisce un aumento di tutte le rendite AVS dell’8,3% a partire dal 2026. È la prima volta dagli anni 1970 che le rendite AVS verranno aumentate per tutte e per tutti[1]. È la prima volta, da quando esiste il diritto d’iniziativa [1891], che una proposta dei sindacati per un rafforzamento di un’assicurazione sociale supera lo scoglio del voto. Il SI alla 13a rendita del 3 marzo costituisce dunque un reale e importante successo.

Un voto socialmente motivato

«Una vittoria dei poveri contro i ricchi» (Tages Anzeiger del 4 marzo 2024), «Gli anziani si offrono una 13a rendita contro l’opinione dei giovani» (24 heures del 4 marzo 2024). Sono i titoli dei due giornali appartenenti al gruppo Tamedia, basati sullo stesso sondaggio “uscito dalle urne” e che introducono un articolo destinato ad analizzare i risultati della votazione. Un bell’esempio della maniera con la quale l’opinione è costruita… e distorta.

Senza voler abbondare con la letteratura «giornalistica», che non mancherà di interpretare e deformare questo voto, tre constatazioni s’impongono:

  • Secondo il sondaggio Tamedia, il SI è fortemente maggioritario tra le classi di reddito inferiori ai 10’000 franchi al mese e resta maggioritario fino ai 13’000 franchi, con una variazione di carattere sociale regolare: più il reddito è basso, più la parte dei SI è stata elevata. Ricordiamo che nel 2015-2017 (ultimi dati utili dell’Inchiesta sul reddito delle famiglie elaborato dell’Ufficio federale della statistica), il reddito lordo medio delle famiglie era di 9’349 franchi al mese; il 60% delle famiglie aveva un reddito mensile inferiore a 9’228 franchi, l’80% un reddito inferiore ai 12’855 franchi. Il SI alla 13a rendita è dunque socialmente radicato e ha convinto non solo i/le salariati/e, gli/le indipendenti e i/le pensionati/e con dei bassi redditi, ma anche le famiglie che dispongono del cosiddetto reddito “medio”[2]. L’idea che solo i “poveri” avrebbero “veramente” bisogno di un “colpo di mano” non è dunque passata.
  • L’opposizione fra le “classi d’età” è costruita e alimentata da diversi anni da parte degli ambienti padronali e dei partiti di destra; essa costituisce lo strumento privilegiato per dividere i/le salariati/e su questo tema e imporre loro precise scelte. Questo argomento incontra un certo favore. E si trova, appena passata la votazione, di nuovo al centro degli argomenti rivendicativi della destra. È probabile che la sua risonanza mediatica è senza rapporto con la sua eco reale. Non corriamo un grande rischio se ipotizziamo che il tasso di partecipazione ai dibattiti politici e alle votazioni, basso tra i giovani, sia ancora più basso tra coloro che appartengono ai settori più sfruttati della forza lavoro, e che questa differenza non sia interamente “corretta” dalla calibrazione dei sondaggi[3].
  • Resta il fatto che la sovrarappresentazione del NO tra i più giovani riflette anche la difficoltà, da parte del movimento sindacale e sociale, a stabilire contatti e scambi con questi strati sociali, il cuore della forza lavoro di domani. Una sfida da raccogliere.
  • Non dobbiamo stancarci di ripetere che circa un terzo della popolazione attiva e il 26% della popolazione residente è di nazionalità straniera, privata del diritto di voto. Questi uomini e queste donne vivono qui, lavorano qui, contribuiscono a finanziare le assicurazioni sociali come l’AVS e sono direttamente interessati alle prestazioni che esse garantiscono. Dovrebbe essere ovvio che anche loro hanno il diritto di pronunciarsi su questi temi. La lotta democratica per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza a tutte le persone che risiedono stabilmente nel paese rimane cruciale. È importante – e socialmente concreto – per combattere il clima xenofobo sistematicamente alimentato dall’UDC, spesso sotto l’occhio benevolo del resto della destra.

L’emergenza di una dinamica

Più che un bilancio “sociologico”, è utile stilare un bilancio politico. La rivendicazione di una 13a AVS e la crescente mobilitazione a suo favore trovano le loro origini a metà degli anni 2010, con il progetto di riforma pensionistica PV2020 e le posizioni opposte che ha suscitato all’interno del movimento sindacale e della sinistra. La dinamica che si è sviluppata è degna di nota.

  • Il pacchetto PV2020, confezionato sotto l’egida di Alain Berset, l’allora consigliere federale “socialista”, prevedeva, per dirla in parole povere: un aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, una riduzione del tasso di conversione del 2° pilastro, riducendo così le pensioni versate dalle casse pensioni e, presumibilmente per “compensare” ciò, un aumento di 70 franchi al mese delle pensioni AVS versate ai soli nuovi pensionati.

La maggioranza del movimento sindacale, così come il PS e i Verdi, avevano sostenuto quel progetto con l’argomento, un classico della politica svizzera, che si trattava del “miglior compromesso possibile”. Trascinata da questo orientamento e per giustificarsi, questa maggioranza si è trovata ad adottare gran parte delle argomentazioni borghesi e del Consiglio federale sull’invecchiamento della popolazione, sulle finanze dell’AVS che sarebbero entrate in crisi, ecc.

La resistenza a questa posizione, guidata in particolare dalle sindacaliste femministe, ha portato alla riuscita del referendum, ha contrastato questo argomento fuorviante e ha contribuito in modo decisivo al rifiuto del pacchetto al momento del voto popolare nel 2017. L’impatto di quella lotta minoritaria, ma più che giustificata, attraverso la forza delle sue argomentazioni e l’ampiezza del sostegno sociale ottenuto, combinata alla sconfitta del progetto in votazione, ha aperto lo spazio per ridiscutere e ridefinire le posizioni sindacali sul tema delle pensioni.

  • Da tutto questo sono emerse la seconda battaglia contro l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne (coinvolgendo questa volta l’intero movimento sindacale, ma purtroppo persa di stretta misura nel 2022), la proposta di rivalorizzare le pensioni con la 13° AVS e il rifiuto di cauzionare a qualsiasi costo l’abbassamento del tasso di conversione del 2° pilastro.
  • Altrettanto importante, questo riposizionamento e l’intransigenza di classe dei circoli borghesi hanno portato a rivalutare le basi dell’argomentazione a favore di un’AVS rafforzata: il suo potente meccanismo di solidarietà, la sua solidità grazie al sistema di ripartizione e la sua posizione centrale a livello dei redditi dei pensionati.

Questa dinamica, nella quale si sono succedute e combinate delle battaglie, minoritarie anche se necessario, per la difesa dei fondamenti di una pensione sociale, unitarie ogni volta che ciò è stato possibile, ha giocato un ruolo fondamentale nel rendere possibile la vittoria sulla 13a AVS. La sfida è ormai quella di costruire il suo prolungamento.

Consolidare la vittoria

Nei prossimi mesi si profilano due grandi sfide per il futuro delle assicurazioni sociali:

  • In autunno sarà probabilmente sottoposta a votazione la riforma del 2° pilastro, osteggiata dai sindacati e dai partiti di sinistra. Essa impone la riduzione del tasso di conversione, il quale determina la rendita ottenuta a partire dal capitale accumulato nella parte obbligatoria del 2° pilastro. Ridurre questo tasso dal 6,8% al 6% rappresenta una riduzione superiore al 12%, la quale si aggiunge alla costante erosione delle pensioni del 2° pilastro avvenuta negli ultimi due decenni. La riforma propone inoltre di aumentare fortemente i contributi dei redditi molto bassi, con l’argomento di garantire così delle rendite migliori alle salariate e ai salariati, soprattutto donne, che lavorano a tempo parziale e che attualmente non hanno (quasi) alcun secondo pilastro. In realtà, il miglioramento ottenuto sarà estremamente ridotto e avverrà al prezzo di una forte riduzione del salario disponibile delle persone interessate.

La posta in gioco di questa votazione è cruciale. Una vittoria del Sì equivarrebbe a consolidare ed estendere ulteriormente il sistema del 2° pilastro, le cui rendite non smettono, proporzionalmente, di ridursi, e che è profondamente disuguale e molto redditizio per le assicurazioni e le banche implicate nella sua gestione e che serve da baluardo contro l’estensione dell’AVS come assicurazione solidale che garantisce rendite sufficienti a tutte e a tutti.

La vittoria del NO creerebbe, al contrario, condizioni più favorevoli per porre l’esigenza di un rafforzamento conseguente dell’AVS e di un ridimensionamento progressivo del 2° pilastro.

  • Nel mese di giugno 2024 avrà luogo la votazione sull’iniziativa del Partito socialista che mira a limitare al 10% del reddito disponibile gli importi che le famiglie devono consacrare al pagamento dei premi all’assicurazione malattia, il resto sarà finanziato dalla Confederazione o dai cantoni. La proposta è modesta: non affronta la questione di una cassa unica pubblica, né quella di un finanziamento sul modello dell’AVS. Ricordiamo che i contributi versati dalle famiglie all’assicurazione malattia nel 2021 (25,4 miliardi di franchi) corrispondono circa al 6,3% di contributi salariali del tipo AVS, ossia il 3,15% dedotto dal salario e il 3,15% versato “direttamente” dal datore di lavoro. Malgrado ciò, un tetto del 10% del reddito disponibile migliorerebbe la situazione finanziaria di una parte della popolazione con redditi bassi e medi. Una vittoria permetterebbe anche di rilanciare la questione dei cambiamenti più profondi dell’assicurazione malattia e di mettere in luce la lotta iniziata dal Sindacato dei servizi pubblici (SSP) contro la riforma del progetto EFAS, il quale vuole dare tutto il controllo del finanziamento del sistema sanitario alle assicurazioni malattia. 
  • Uno dei punti di forza della mobilitazione per la 13a rendita AVS è di essere riuscita a combinare una campagna sindacale dinamica, che ha avuto un impatto presso un numero elevato di persone che hanno risposto contribuendo attivamente, al loro livello, a sostenere la 13a rendita, con una serie di mobilitazioni militanti, capaci di popolarizzare in maniera argomentata la difesa di questa rivendicazione e, più in generale, il meccanismo sociale sul quale si fonda l’AVS. La continuazione e l’ampliamento di questa dinamica saranno determinanti per ripetere il successo del 3 marzo anche al momento di queste due prossime votazioni.
  • La continuazione di questa mobilitazione sarà pure necessaria per fronteggiare un campo borghese che non ha ancora abdicato davanti alla 13a AVS. «Un’AVS più elevata di sicuro a partire dal 2026 – oppure no?», titolava la Neue Zürcher Zeitung (NZZ) del 5 marzo 2024. Il quotidiano s’interroga in modo interessato sulla possibilità che la legge di applicazione dell’articolo costituzionale accettato in votazione possa contenere «misure impopolari, come un aumento delle imposte, dei contributi o dell’età di pensione». «Va da sé – prosegue gioioso il quotidiano – che una tale riforma potrebbe essere respinta in votazione». Il rispetto della “volontà popolare”, quando contraddice gli interessi dei dominanti, non ha mai bloccato il padronato e la destra. Lo abbiamo appena visto con il fallimento della legge d’applicazione dell’iniziativa “Giovani senza tabacco”. La lotta su questo terreno è dunque lontana dall’essere terminata. Senza neppure parlare dei progetti di soppressione della rendita di vedovanza e di orfani sostenuti dal Consiglio federale e dalla destra parlamentare.

Prendere la misura delle lotte future

Il 2 marzo, dunque alla vigilia della votazione sulla 13a rendita AVS, ancora la NZZ, quotidiano che si crede l’orientatore di ampi settori borghesi, titolava in prima pagina: «Più sicurezza, meno Stato sociale». L’argomento è semplice e diretto. La guerra in Ucraina e il nuovo contesto geostrategico “costringono” a uno sforzo massiccio di riarmo. Per finanziarlo, bisogna ridurre le spese sociali. L’altra opzione, un aumento durevole e parecchio progressiva delle imposte (tra le altre cose sui patrimoni), è «un’alternativa peggiore».

Questa prospettiva, combinata con il meccanismo del freno all’indebitamento alla base della politica finanziaria della Confederazione, annuncia un scontro di classe, con la sua espressione politica, in merito alle priorità di allocazione delle risorse e della distribuzione dei redditi negli anni a venire. E con una pressione costante sui diritti democratici, come dimostrano le restrizioni al diritto di manifestazione adottate nel canton Zurigo. Possiamo dare fiducia alla consigliera federale responsabile delle Finanze, la liberale Karin Keller-Sutter, la quale saprà applicare con brutalità questa prospettiva del «meno Stato sociale».

Il freno all’indebitamento e la riduzione di fatto dell’onere fiscale per le imprese e le persone più ricche al finanziamento dei servizi pubblici come anche a quello delle assicurazioni sociali non sono la risultante di “leggi economiche” immutabili. Concretizzano gli interessi borghesi nella loro lotta costante per appropriarsi di una parte accresciuta delle ricchezze prodotte dal lavoro. E sono questi stessi ambienti – i quali hanno realizzato negli anni eccellenti affari con gli oligarchi che sostengono il regime di Putin, frenando dall’inizio della guerra d’invasione dell’Ucraina l’introduzione di sanzioni che danneggerebbero i loro commerci, così come la loro libertà di fare affari – che vorrebbero oggi che la popolazione sacrificasse le assicurazioni sociali, come l’AVS, sull’altare di una corsa sfrenata al riarmo… che non lascia prevedere nulla di buono. Che ci piaccia o no, anche queste battaglie faranno parte della battaglia ingaggiata sul futuro dell’AVS e delle assicurazioni sociali in Svizzera.

* Articolo pubblicato il 6 marzo 2024 sul portale www.alencontre.org. Traduzione a cura del segretariato dell’MPS Ticino.


[1] Le rendite delle donne sono considerevolmente aumentate con l’introduzione del bonus educativo nel quadro della 10e revisione dell’AVS entrata in vigore nel 1997, anche se hanno dovuto sopportare l’aumento della loro età di pensionamento di due anni.

[2] In maniera realista, con una formula contraddistinta dalla vittoria del SI, il corrispondente parlamentare del quotidiano La Liberté scriveva il 4 marzo: «È un paese che riscopre un voto di classe con, in questo caso, la combinazione vincente dell’elettorato popolare e della classe media».

[3] È necessario il fiuto popolare di un vecchio poliziotto, posizionato a destra, come Roger Golay del Mouvement citoyens genevois di Ginevra, per sottolineare due dati evidenti (24 heures, 5 marzo 2024): «Quando non si hanno ancora 50 anni, la pensione appare lontana. E penso che questa generazione si è lasciata trasportare dalla propaganda della destra liberale che alimenta l’allarmismo sulle finanze dell’AVS».