Una serie di “scivoloni” (come sono stati chiamati con notevole immaginazione eufemistica) in occasione delle recenti nomine di procuratori pubblici e giudici hanno rilanciato la questione del rapporto tra potere giudiziario e potere politico. [Se ne è occupato, in questa sede, anche Carlo Lepori con un intervento che giudicava la questione come “sterile polemica, inopportuna e strumentale”, ndr].
L’opinione dominante vuole (ed è quanto si insegna nelle lezioni di civica che i nostri studenti devono sciropparsi per gentile concessione del Parlamento) che il potere giudiziario sia un potere indipendente che esercita il proprio ruolo al di fuori di qualsiasi condizionamento politico o partitico: unici punti di riferimento sono le leggi e la giurisprudenza. È evidente che le cose non stanno così e l’elezione dei magistrati ne è una netta dimostrazione.
In Ticino è il potere legislativo a eleggere i magistrati. Ma non lo fa, questo ormai nessuno osa più contestarlo, sulla base di criteri “oggettivi”: formazione, esperienza, competenza, ecc. No, ad essere determinante è l’appartenenza partitica e ogni formazione presente in governo “ha diritto” a un numero di magistrati pari alla propria forza elettorale.
Qualcuno afferma che il Parlamento, in realtà, ha grande possibilità di scelta poiché tra tutti coloro che concorrono per un posto (sulla base di un pubblico concorso) vi è una commissione di esperti che opera una selezione segnalando al Parlamento i nomi di coloro che considera “idonei” ad assumere la carica di magistrato. L’operato della commissione di esperti si è tuttavia sempre più inchinata, da molti anni a questa parte, alla logica della spartizione partitica, come ha di fatto ammesso di recente uno dei suoi membri (Mauro Dell’Ambrogio), ponendo l’”asticella” (è una sua espressione) a un livello tale da permettere ai partiti di essere i protagonisti delle scelte definitive sulla base dei criteri di spartizione.
Quanto successo negli scorsi giorni non è altro che una variante peggiore di uno spettacolo – spesso altrettanto indecente – che abbiamo vissuto a più riprese negli scorsi anni. E a farla da padrona è sempre stata la discussione sui criteri di spartizione e mai sulle competenze o sull’esperienza dei diversi candidati. Questa volta, come detto, si è forse passato il segno. In un primo caso, è emerso un conflitto di interesse che ha coinvolto una deputata di primo piano della Lega, che peraltro ha annunciato ieri le proprie dimissioni da vice-capogruppo: un conflitto di interesse grande come una casa, ma sul quale l’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio non ha avuto nulla da dire, né tantomeno si è sentito in dovere di spiegare quali riflessioni lo abbiano portato a simile conclusione; in un secondo caso, la candidata alla carica di giudice (per la quale si richiede equilibrio, maturità, discrezione, etc.) è arrivata a indicare – nel curriculum vitae che accompagnava la propria candidatura – il fidanzato (attualmente magistrato!) come referenza!
Ma questi, come detto, sono solo “scivoloni”; da ormai un decennio assistiamo, elezione dopo elezione di magistrati, a una battaglia che si sviluppa per settimane all’interno delle commissioni e poi dello stesso Gran Consiglio al momento della votazione, spesso tra i candidati facenti riferimento ai diversi partiti, altre volte addirittura tra candidati che fanno riferimento allo stesso partito. Tutti, naturalmente, “idonei”.
La realtà è che non esiste di fatto nessuna “indipendenza” del potere giudiziario. Il potere legislativo proietta nella scelta degli esponenti del potere giudiziario i rapporti di forza tra i partiti, costruendo un potere giudiziario a propria immagine e somiglianza.
È questo il nodo fondamentale che i partiti di governo (tutti) non vogliono sciogliere, per la semplice ragione che non vogliono rinunciare alla propria “fetta” all’interno del potere giudiziario. Questo spiega anche perché da anni – pur di fronte a proposte che potrebbero modificare l’attuale sistema – nulla è cambiato. Si potrebbe pensare che questo immobilismo sia dovuto solo, o principalmente, all’incapacità dei rappresentanti di questi partiti; in realtà, nessuno vuole fare il primo passo, soprattutto pensando a quale partito dovrebbe andare il prossimo magistrato da eleggere…
Quanto succede nella magistratura non deve sorprendere: lo Stato conosce altri enti fondamentali (da BancaStato all’Ente Ospedaliero Cantonale – EOC) che sono governati con questo stesso metodo spartitorio. Vi sono state circostanze nelle quali anche sul rinnovo degli organismi dirigenti di questi enti il Gran Consiglio ha offerto uno spettacolo penoso: basti ricordare l’ultima elezione del consiglio di amministrazione dell’EOC.
Fino a quando i partiti di governo (e non solo quelli, visto che anche altri partiti – sostenendo che per il fatto di essere un gruppo parlamentare hanno il diritto a partecipare alla spartizione delle cariche – non rinunceranno a mettere le mani sul potere giudiziario, non vi saranno cambiamenti significativi e le sceneggiate sulle nomine continueranno a essere all’ordine del giorno.
Se i partiti rinunceranno a questi metodi, sarà possibile iniziare una discussione seria su metodi alternativi utilizzabili per rendere operativo e totalmente indipendente il potere giudiziario. L’MPS ha, ad esempio, proposto che – partendo dai candidati e dalle candidate scelti/e dalla commissione di esperti, sicuramente sulla base di rinnovato vigore e serietà – si proceda con un’estrazione a sorte; potrebbero però entrare in linea di conto anche altre soluzioni: ad esempio, demandare alla commissione di esperti la scelta definitiva dei magistrati e affidare al Parlamento il compito di ratificare tali nomine, con la possibilità di non farlo solo nel caso di gravi ed evidenti motivi.
Ma tutto questo, lo ripeto, solo una volta che i partiti decideranno che la magistratura non deve più essere “cosa loro”.
*articolo apparso sul sito https://naufraghi.ch