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L’assurda idea del governo di “compensare” la mancata compensazione del rincaro con la chiusura delle scuole (il prossimo 20 dicembre 2024 e il 7 gennaio 2025), considerando questo come una misura di compensazione a favore dei docenti (gli altri impiegati godranno di altri due diversi giorni di chiusura) ha fatto, giustamente, infuriare chi nella scuola ci lavora. Essi ritengono questa misura un’assurda diminuzione del servizio pubblico e un pessimo modo di affrontare la discussione sui diritti di chi lavora nel settore pubblico. Riprendiamo qui di seguito le reazioni del Movimento della Scuola e di ErreDiPi. (Red)

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Chi taglia il servizio educativo?

Le manifestazioni pubbliche che si sono succedute negli ultimi due anni, con notevole partecipazione di insegnanti, avevano quali obiettivi principali la salvaguardia delle pensioni, il riconoscimento del carovita e, non da ultimo, la difesa del servizio pubblico.

A quelle rivendicazioni giunge ora, almeno per quanto concerne le scuole, un’incredibile risposta del Consiglio di Stato: agli insegnanti saranno concesse, nel corso del 2024, due tranches di 200 franchi l’una e, in aggiunta, due giorni di vacanza (prima e dopo la pausa invernale)!

È una misura che rasenta l’assurdo logico. Benché nessuno abbia mai chiesto di avere giorni di vacanza aggiuntivi (semmai di migliorare le condizioni di lavoro, che è ben altro), il governo ritiene che l’impegno educativo possa tranquillamente essere ridotto di due giorni.

L’immagine che si trasmette al “paese” è devastante. Si fa passare l’idea che proprio gli insegnanti (non di rado additati da certa parte politica come privilegiati, che godono di salari elevati e di lunghi periodi di vacanza) possano essere tacitati concedendo loro di allungare la pausa natalizia.

Quale rapporto esista tra la rinuncia (che si ripercuoterà su tutti gli anni a venire) all’indennità di carovita e la soppressione di due giorni di scuola, giudichino i cittadini.

Il Movimento della Scuola, come già è avvenuto in anni passati, si oppone a tali risibili e insensate compensazioni. Noi difendiamo il diritto all’educazione e non escludiamo di ricorrere a forme di lotta che rendano palesi le contraddizioni del Governo.

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“Il prossimo 20 dicembre, tutti/e a scuola!”

Il Consiglio di Stato ha finalmente deciso come applicare alle e agli insegnanti il magrissimo “contentino” pensato a sostituzione del riconoscimento del rincaro. Secondo una ormai consolidata tradizione, che vuole che le comunicazioni al personale siano fatte a ridosso delle vacanze (non sia mai che gli insegnanti si mettano a discuterne tra loro e si indignino collettivamente!), giovedì scorso il governo ha comunicato che:

  • conferma il versamento di un’indennità di 400 franchi una tantum anche alle e ai docenti;
  • decide di prolungare la prossima chiusura natalizia delle scuole di due giorni (20 dicembre 2024 e 7 gennaio 2025).

Sulla prima misura, abbiamo più volte spiegato i motivi che ci portano a rigettarla: cosa sono 400 franchi di fronte alle decine di migliaia di franchi che ognuno di noi perderà sull’arco della sua carriera? Una o un giovane docente di SE perderà, per esempio, più di 60’000 franchi sull’arco dei prossimi 40 anni…

La novità riguarda la seconda proposta, quella che concede alle e agli insegnanti due giorni di vacanza in più (tanto per consolidare qualche diffuso luogo comune…) riducendo quindi i giorni di scuola per tutte le allieve e tutti gli allievi del Cantone. Già la prima misura suonava alle nostre orecchie come scandalosa, ma questa pare una vera e propria provocazione.

Dove sono andate a finire tutte le rassicurazioni secondo le quali i sacrifici richiesti ai dipendenti pubblici non avrebbero intaccato la qualità del servizio pubblico?

E che dire delle preoccupazioni più volte ribadite in occasione dei recenti scioperi secondo cui nelle scuole avrebbe dovuto essere garantito un servizio di accudimento a sostegno delle famiglie che non potevano tenere i figli a casa?

Sono svanite, come nulla fosse, di fronte alla necessità di risparmiare, costi quel che costi.

Ridurre i giorni di scuola significa svilire il valore dell’impegno educativo.

Significa credere che due o tre giorni di scuola in più o in meno non cambino nulla.

Il Consiglio di Stato sembra poi avere la memoria corta. Un provvedimento identico a quest’ultimo fu preso nell’anno scolastico 2015/2016, anche allora a compensazione di una misura di risparmio ai danni dei salari dei dipendenti del Cantone (si trattava di un blocco degli scatti). Ci fu una reazione indignata e piuttosto massiccia da parte del mondo della scuola (docenti, studenti e genitori): nel giorno di chiusura previsto, decine e decine di istituti rimasero aperti in segno di protesta.

“Commettere errori è umano, ma perseverare è diabolico”. Come comitato dell’associazione ErreDiPi intendiamo proporre a tutte le operatrici e a tutti gli operatori del mondo della scuola di replicare quanto avvenuto otto anni fa: il 20 dicembre 2024 le scuole rimangano aperte! Per rinfrescare per bene la memoria al governo, si tratterà di farlo con ancora più convinzione e determinazione.