Oleg Orlov avrebbe potuto lasciare il Paese, ma ha scelto di rimanere in Russia. Durante il processo, non è stato messo agli arresti domiciliari né incarcerato. A 70 anni, non vedeva alcun motivo per fuggire, dato che non era colpevole di nulla. Questo non gli ha impedito di essere imprigionato oggi (28 febbraio NdT), al termine di un processo ingiusto, e condannato a due anni e sei mesi di colonia penale. A dimostrazione del fatto che era perfettamente consapevole del pericolo che correva, Oleg Orlov ha partecipato alle sedute del processo con un libro sotto il braccio: Il processo, di Franz Kafka.
L’11 ottobre 2023, il tribunale distrettuale Golovinsky di Mosca aveva dichiarato Oleg Orlov colpevole di “azioni pubbliche volte a screditare le forze armate della Federazione Russa” e lo ha multato per 150.000 rubli (circa 1.409 euro). L’ufficio del procuratore ha successivamente presentato ricorso. I tribunali russi hanno quindi deciso di avviare un nuovo procedimento. Di conseguenza, la multa è stata trasformata in pena detentiva. Oleg Orlov è rimasto in silenzio durante il processo, lasciando le sue dichiarazioni per ultime.
L’accusa contro Oleg Orlov si basa su un articolo da lui scritto e pubblicato sulla piattaforma blog francese Mediapart il 13 novembre 2022: “Russia: volevano il fascismo, l’hanno ottenuto”.
Il giorno in cui è iniziato questo processo, la Russia e il mondo vennero scossi dalla terribile notizia della morte di Aleksej Navalny. Anch’io rimasi scioccato, e arrivai a pensare di rinunciare del tutto a questa ultima dichiarazione: che senso hanno le parole? Ma poi ho pensato che questi sono tutti anelli della stessa catena: la morte, o meglio l’assassinio di Aleksej; le repressioni giudiziarie contro gli altri critici del regime, incluso me; la libertà soffocata nel Paese; l’invasione dell’Ucraina. Così, alla fine, ho deciso di parlare.
Non ho commesso alcun reato. Vengo processato per un articolo di giornale in cui ho definito totalitario e fascista il regime politico instaurato in Russia. L’ho scritto più di un anno fa. All’epoca, alcuni amici pensavano che stessi esagerando.
Ma ora è terribilmente chiaro. Non stavo affatto esagerando. Nel nostro Paese lo Stato controlla non solo la vita pubblica, politica ed economica. Vuole anche il controllo totale della cultura e delle scienze, invade la vita privata. Lo Stato è diventato onnipresente.
Sono passati solo poco più di quattro mesi dalla fine del mio primo processo, e in questo tempo sono avvenute molte cose che dimostrano con quale rapidità stiamo affondando sempre più profondamente nell’oscurità.
Ecco una lista di alcuni sviluppi recenti, di diverso grado di gravità:
. I libri di alcuni autori contemporanei sono stati banditi in Russia.
. Un inesistente movimento LGBT è stato messo al bando: di fatto, questo significa sfacciata interferenza dello Stato nella vita privata dei cittadini.
. Agli studenti che fanno richiesta di ingresso all’Alta Scuola di Economia è proibito citare “agenti stranieri”. Ora dunque, prima di studiare una determinata materia, bisogna studiare e memorizzare le liste degli agenti stranieri.
. Boris Kagarlitskij, noto sociologo e intellettuale di sinistra, è stato condannato a cinque anni di carcere per aver pronunciato poche parole sulla guerra in Ucraina, distaccandosi dalla narrativa ufficiale.
. Parlando in pubblico dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la persona che la propaganda definisce “leader nazionale” ha dichiarato: «Dopo tutto, i polacchi hanno COSTRETTO Hitler a dare inizio alla guerra. E perché la Polonia avrebbe innescato la guerra? Perché è stata DISOBBEDIENTE. Hitler NON AVEVA ALTRA SCELTA che entrare in guerra con la Polonia per realizzare i propri piani».
Come possiamo descrivere un sistema politico dove avvengono queste cose? Io non ho dubbi. Sfortunatamente, le conclusioni del mio articolo erano corrette.
Non sono bandite solo le critiche pubbliche, ma qualunque pensiero indipendente. Perfino azioni all’apparenza scollegate dalla politica possono essere punite. Non c’è campo in cui sia possibile la libera espressione artistica, non c’è più libertà accademica, non c’è più vita privata.
Lasciatemi dire alcune parole sulla natura delle accuse rivolte contro di me o, in procedimenti simili, contro altri che come me criticano la guerra.
Mi sono rifiutato di prendere parte attiva a questo processo, che mi ha fornito l’opportunità di rileggere Il Processo di Franz Kafka durante le udienze. La nostra situazione ha alcune cose in comune con quella in cui finisce il protagonista – assurdità e tirannia travestite da adesione formale ad alcune procedure pseudo-legali.
Oleg Orlvo all’uscita dal tribunale di Mosca dopo la condanna (Epa)
Veniamo accusati di gettare discredito, ma nessuno spiega dove sta la differenza con una legittima critica. Siamo accusati di diffondere coscientemente informazioni false, ma nessuno si preoccupa di indicare in che cosa sarebbero false. E quando cerchiamo di dimostrare perché in realtà sono informazioni accurate, scatta il procedimento penale. Siamo accusati di non sostenere il sistema di convinzioni e visioni del mondo che le autorità considerano corretto, eppure la Russia non ha un’ideologia di Stato. Veniamo condannati per aver dubitato che uno Stato vicino è stato attaccato per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Assurdo.
Alla fine del romanzo, il protagonista di Kafka non ha idea del motivo per cui è accusato, eppure viene condannato e giustiziato. In Russia veniamo informati formalmente delle accuse, ma capirle senza avere qualche cognizione di diritto è impossibile.
Eppure, a differenza del protagonista di Kafka, conosciamo le vere ragioni per cui veniamo processati, arrestati, condannati, uccisi. Veniamo puniti per aver osato criticare le autorità. Nella Russia di oggi, questo è assolutamente proibito.
Deputati, inquirenti, pubblici ministeri e giudici non lo ammettono apertamente. Lo nascondono parlando in modo assurdo e illogico di nuove leggi, di inchieste, di verdetti. Ma la realtà è questa.
In questo momento Aleksej Gorinov, Aleksandra Skochilenko, Igor Baryshnikov, Vladimir Kara-Murza e molti altri vengono uccisi lentamente in colonie penali e carceri. Uccisi per aver protestato contro lo spargimento di sangue in Ucraina, per volere che la Russia diventi uno Stato democratico e prospero che non costituisca una minaccia per il mondo che ha intorno.
In questi ultimi giorni sono state fermate, sanzionate e anche incarcerate persone che erano semplicemente andate davanti ai memoriali per le vittime della repressione politica per rendere omaggio ad Aleksej Navalny. Una persona straordinaria, coraggiosa e onesta, che nella durezza delle condizioni create appositamente per lui non aveva perso l’ottimismo e la fede nel futuro del nostro Paese. Qualunque siano state le circostanze specifiche della sua morte, è stato omicidio.
Le autorità gli fanno guerra anche dopo la morte, distruggendo i memoriali improvvisati. Lo temono anche da morto – a ragione.
Sperano che quella parte della società russa che si sente ancora responsabile per il proprio Paese si demoralizzi. Speranze mal riposte.
Navalny ci incitava: “Non arrendetevi”. Lo ricordiamo. Io posso aggiungere questo: non scoraggiatevi, non perdete l’ottimismo. La verità è dalla nostra parte. Coloro che hanno trascinato il nostro Paese nell’abisso dove ora si trova rappresentano il vecchio ordine, decrepito, superato. Non hanno una visione del futuro – solo narrazioni falsate del passato, illusioni di “grandezza imperiale”. Spingono la Russia nel passato, nella distopia descritta da Vladimir Sorokin in “La giornata di un Opricnik”. Ma noi viviamo nel XXI secolo, il presente e il futuro sono con noi, e la nostra vittoria è inevitabile.
In chiusura, ho qualche parola da dire a chi porta avanti la macchina della repressione. I funzionari governativi, gli ufficiali di polizia, i giudici, i procuratori.
Voi sapete benissimo cosa sta succedendo. E siete in molti a non essere convinti che la repressione politica sia necessaria. A volte vi pentite di quello che siete costretti a fare, ma dite a voi stessi: «Che altro posso fare? Sto solo seguendo gli ordini. La legge è la legge».
Vostro Onore, e voi della pubblica accusa: ma non avete paura? Anche voi probabilmente amate il nostro Paese, ma non vi fa paura essere testimoni di quello che sta diventando? Non avete paura che non solo voi e i vostri figli, ma – Dio non voglia – anche i vostri nipoti siano costretti a vivere in questa assurdità?
Non vi viene da pensare che prima o poi la macchina della repressione possa schiacciare chi l’ha lanciata? E’ successo molte volte nella storia.
Ripeto quello che ho detto al processo precedente. La legge è la legge, certo. Ma io ricordo il 1935, quando in Germania vennero adottate le cosiddette Leggi di Norimberga. Dopo la vittoria del 1945, chi le aveva messe in pratica venne processato.
Non so con certezza se chi ha creato e messo in pratica le leggi illegittime e anti-costituzionali della Russia verrà mai chiamato a risponderne. Ma la punizione sarà inevitabile. I figli e i nipoti si vergogneranno di parlare di quanto fatto dai propri padri, madri, nonni, nonne. Lo stesso accadrà a chi, eseguendo gli ordini, sta commettendo crimini in Ucraina. Per me questa è la punizione peggiore. Ed è inevitabile.
E’ chiaramente inevitabile anche per me, perché oggi un’assoluzione con queste accuse è impossibile.
Vedremo il verdetto. Ma non ho nulla da rimpiangere, o di cui pentirmi. (26 febbraio 2024)
*Discorso pronunciato il 26 febbraio 2024. Oleg Petrovič Orlov (1953) è un biologo e politico russo, attivista nei movimenti per i diritti umani post-sovietici in Russia, presidente del Board of Human Rights Center Memorial, premiato nel 2022 con il Nobel per la Pace.