Vladimir Putin e Benyamin Netanyahu hanno gli stessi obiettivi di guerra: la fine del diritto internazionale e l’avvento di un mondo senza altzra legge che quella della forza. Sostenere la guerra di Israele a Gaza significa quindi dare alla Russia la sua vittoria in Europa.
Sono distanti due anni, ma i due comunicati hanno lo stesso titolo: “La Corte indica misure conservative”. Il primo, datato 16 marzo 2022, riguarda l’Ucraina; il secondo, datato 26 gennaio 2024, riguarda Gaza. In entrambi i casi, la Corte internazionale di giustizia (CIG), il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite di cui tutti i suoi membri sono ipso facto parti, emette un ordine a due di questi stati che, precisa, “è vincolante”.
I diritti a “geometria variabile”
Nel 2022, in modo lapidario, ordina alla Russia di “sospendere immediatamente le operazioni militari iniziate il 24 febbraio 2022 sul territorio dell’Ucraina”. Nel 2024, in modo dettagliato, invita lo stato di Israele a “prendere tutte le misure in suo potere per prevenire che venga commesso, contro i palestinesi di Gaza, qualsiasi atto che rientri nel campo di applicazione” della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
Né la Russia né Israele hanno ottemperato alle richieste della CIG, nonostante l’articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite stabilisca che “ogni membro si impegna a conformarsi alla decisione della Corte internazionale di giustizia in ogni controversia di cui è parte”. La Carta, adottata il 26 giugno 1945 al termine della Seconda guerra mondiale, inizia con le parole: “Noi, popoli delle Nazioni Unite, determinati a salvare le generazioni successive dal flagello della guerra, che per due volte nel corso della nostra vita ha portato indicibili dolori all’umanità, riaffermiamo la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole…”.
Naturalmente non è la prima volta, né sarà l’ultima, che gli Stati violano impunemente il diritto internazionale, rivendicandolo come proprio quando fa comodo. Ma è certamente la prima volta che la concomitanza di due guerre, con conseguenze potenzialmente devastanti per la pace mondiale, ha messo a nudo a tutti i popoli la cinica ipocrisia delle nazioni che si sono arrogate il privilegio dell’universale, del giusto e del buono, ovvero l’Europa e l’Occidente, quella realtà politica nata dalla proiezione del nostro continente sugli altri.
È in realtà un fatto indiscutibile che gli attuali leader di Europa e Stati Uniti non attribuiscono la stessa importanza al diritto internazionale quando si tratta del destino del popolo ucraino o di quello palestinese. Di fronte all’aggressione russa all’Ucraina, una legittima cascata di ritorsioni diplomatiche, sanzioni economiche e aiuti militari. Di fronte alla guerra di Israele contro la popolazione di Gaza, al massacro di civili e ora alla carestia, vaghi appelli alla moderazione e a un’azione umanitaria tardiva, ma nessun cessate il fuoco – anzi, l’esercito israeliano continua a beneficiare degli aiuti occidentali.
Il nuovo imperialismo russo
Questo squilibrio significa che l’Europa e gli Stati Uniti offrono a Vladimir Putin la vittoria ideologica che cerca. La propaganda che accompagna la sua sfrenata brama di potere, di cui le libertà del popolo russo sono le prime vittime, mira a unire i risentimenti accumulati contro la lunga storia della dominazione europea. Di fronte a un “Occidente collettivo”, come lo chiama Putin, designato come simbolo di decadenza dove, con il pretesto della democrazia, si perdono i valori della tradizione e i segni dell’identità, egli si presenta come il promotore di un nuovo ordine autoritario e reazionario di cui la Russia sarebbe la potenza protettrice.
Ciò è dimostrato in Medio Oriente, dove, con la spietata guerra condotta contro il popolo siriano a sostegno di una barbara dittatura, è iniziata l’affermazione bellicosa di questo nuovo imperialismo russo. Nei giorni scorsi, nella capitale libanese si sono visti enormi cartelloni inneggianti a Vladimir Putin, alla vigilia delle elezioni presidenziali, che si ritiene abbia vinto. Secondo L’Orient-Le Jour, in un misto di multilateralismo e conservatorismo, si legge in arabo: “Un nuovo mondo multipolare”, “Usurpare il credo religioso altrui non può essere considerato libertà di espressione”, “Valori morali, famiglia e identità culturale”. Tra i quartieri scelti per questa campagna c’è la periferia sud di Beirut, dove si trova il quartier generale di Hezbollah.
La “leva rivendicativa” del diritto internazionale
Il diritto internazionale non può essere diviso. Non possiamo sostenere il popolo ucraino e abbandonare quello palestinese. Così come non possiamo difendere la causa palestinese abbandonando quella ucraina. In entrambi i casi sono in gioco gli stessi principi, che non hanno valore se sono soggetti a geometria variabile.
Solo questo principio guida può costruire un baluardo contro Putin e la minaccia non solo imperialista ma anche fascista che rappresenta. Ed è proprio in relazione a Gaza che viene messo alla prova.
Sostenere la guerra di Israele significa offrire alla Russia la vittoria in Europa. Perché questo è l’obiettivo bellico di Vladimir Putin: rovesciare il diritto internazionale, quell’intera impalcatura di norme, principi e valori sovrastatali e sovranazionali costruita sotto lo shock della catastrofe europea e dei suoi incommensurabili crimini, nell’improvvisa consapevolezza che non ci si può fidare degli stati nazionali per garantire la pace nel mondo.
Così come la proclamazione dell’uguaglianza naturale dei diritti non porta automaticamente a un’uguaglianza reale, il diritto internazionale è più una promessa che una realtà. È una leva rivendicativa, una preoccupazione per l’umanità, un orizzonte universale. Ed è una vecchia promessa che l’Europa ha fatto al mondo. Il fatto che l’Europa stessa non sia stata affatto fedele a questa promessa non toglie nulla alla sua forza sovversiva. “Siamo arrivati a un punto in cui ogni violazione della legge in una parte del mondo si fa sentire in tutti”. Sono praticamente le ultime parole di Verso la pace perpetua, il saggio del filosofo Immanuel Kant la cui pubblicazione nel 1795 è stata la prima affermazione di questo “diritto cosmopolitico”, fondamento dell’“ospitalità universale”.
“Uno” e “tutti” vanno di pari passo: non c’è nessun mio diritto che non sia anche quello degli altri. Non c’è popolo che non sia responsabile del destino di altri popoli. Per farsi un’idea, basta seguire le recenti udienze della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, dal 19 al 26 febbraio, sulle “conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est”. Quarantanove stati membri dell’ONU e tre organizzazioni internazionali hanno partecipato a questo procedimento, nato da una richiesta di parere consultivo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che lo stato di Israele ha ignorato, ricevendo solo il vergognoso sostegno degli Stati Uniti.
Il progetto di Putin e dei suoi
Immanuel Kant (1724-1804), il cui nome è associato alla filosofia illuminista e alle sue speranze democratiche, è nato e morto a Königsberg, l’attuale Kaliningrad, un’enclave russa di un milione di abitanti incuneata tra Lituania e Polonia. Il suo attuale governatore, Anton Alikhanov, è un fedele sostenitore del partito di Vladimir Putin. All’inizio di febbraio, intervenendo a un “Congresso di scienziati politici” tenutosi lì, ha attaccato direttamente il filosofo, incolpandolo di tutto il disordine del nostro mondo, in uno sproloquio che riproponeva l’intero argomento politico del putinismo.
“Voglio dimostrare che Immanuel Kant, che è nato qui quasi trecento anni fa, ha un legame quasi diretto con il caos globale che affrontiamo oggi. Ha anche un legame diretto con il conflitto militare in Ucraina”. Perché? Perché è “uno dei padri fondatori dell’Occidente moderno”, caratterizzato da “empietà e assenza di valori superiori”. Ha poi fatto di Kant “il padre di quasi tutto”: “È il padre della libertà, dell’idea dello stato di diritto, del liberalismo, del razionalismo e persino dell’Unione Europea. Alcuni dicono addirittura che l’idea delle Nazioni Unite sia sua”.
In caso di dubbio, ecco un elenco delle cose che Putin cerca di distruggere: la speranza internazionalista di un mondo comune di solidarietà, uguaglianza e diritti universali. Ma è anche questa speranza che, per tanto tempo, è stata messa in pericolo dalla persistente ingiustizia fatta al popolo palestinese dall’ostinata negazione del diritto internazionale da parte dei leader dello stato di Israele. Un rifiuto spinto al nichilismo dalla coalizione di governo estremista guidata da Benjamin Netanyahu, che lo scorso gennaio ha dichiarato: “Nessuno ci fermerà. Né l’Aia, né l’Asse del Male, né nessuno. Questa è la guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre”. Putin e i suoi ideologi dicono lo stesso sull’Ucraina e sulla loro determinazione a condurre fino in fondo una vitale guerra di identità e di civiltà. Per quanto fragile e imperfetto, il balzo in avanti che nel 1945 ha legittimato un diritto internazionale vincolante per tutte le nazioni è nato proprio dalla convinzione, alimentata dalla tragedia, che è così che le tenebre vincono. Sia in Europa che in Medio Oriente.
*giornalista, fondatore e fino a poco tempo fa Presidente di Mediapart (www.mediapart.fr) dove questo articolo è apparso il 12 marzo 2024.