Da qualche settimana in Svizzera sono riprese le discussioni su UBS e sui suoi “destini” qualora si dovessero presentare situazioni come quelle vissute da Credit Suisse e che hanno portato alla sua acquisizione da parte di UBS.
Il governo federale fa notare che un salvataggio “alla Credit Suisse” sarebbe impossibile; meglio procedere verso un aumento di capitale che, rafforzando i mezzi propri della banca, le permetterebbe di far fronte ad una crisi.
A questo punto è iniziato il ballo delle cifre, alimentato da giornali e opinioni di “specialisti”: 15 miliardi, 20, 25 miliardi: sarebbero di questo ordine le somme necessarie a rendere più “tranquillo” il futuro della banca.
Ma la pratica delle grandi banche internazionali (come UBS) si fa beffe dei richiami non solo dei governi, ma delle cosiddetta autorità internazionali che “vigilano” sul sistema bancario, come ci illustra il testo di Andrea Baranes che pubblichiamo qui di seguito. (Red)
Delle manovre “inaccettabili”. È la valutazione del Comitato di Basilea sulle pratiche contabili che metterebbero in atto diverse grandi banche. Il Comitato di Basilea è l’istituzione internazionale che riunisce i governatori delle Banche centrali delle nazioni più ricche del mondo e che stabilisce le principali regole riguardanti la solidità del sistema bancario.
Le regole per le banche “di importanza sistemica” per salvaguardare la stabilità del sistema
Tra queste, una delle più importanti è la quantità di fondi propri che ogni banca deve detenere. L’ammontare dipende dalla dimensione della banca. Più questa è grande, o come si dice “di importanza sistemica”, maggiori saranno i fondi che la banca deve dimostrare di avere. Sono cinque i livelli di dimensione possibili, a cui corrispondono richieste di fondi propri via via crescenti.
Per rientrare in un livello più basso diverse banche metterebbero in atto un vero e proprio trucco contabile che consiste nel ridurre il bilancio intorno al 31 dicembre, subito prima di chiuderlo, per poi riportarlo ai valori “normali” subito dopo. Secondo un articolo di Les Echos questo sarebbe possibile in particolare giocando con le posizioni in derivati tra la fine di un anno e l’inizio del successivo.
Come funziona il trucco contabile che permette alle banche di mostrarsi più piccole della realtà
Una pratica denominata window-dressing, ovvero allestimento di una vetrina. Un’espressione che rende l’idea di come si cerchi di mostrare alcuni numeri e poste di bilancio sistemate ad arte. Ora il Comitato di Basilea vuole fare chiarezza e provare a intervenire per mettervi fine. È stata aperta una consultazione per valutare sistemi alternativi per calcolare la dimensione delle banche, in particolare basandosi su dati medi raccolti nel corso dell’anno e non unicamente sul valore puntuale al 31 dicembre.
Un tentativo che secondo il quotidiano francese potrebbe essere complicato mettere in pratica. Sono almeno sei anni che il Comitato di Basilea denuncia l’esistenza di tecniche simili per “abbellire” i bilanci, ma una proposta di modifica non sembrerebbe potere essere introdotta prima del 2027.
Nel frattempo le banche ovviamente si difendono, sostenendo che non ci sarebbe alcun trucco contabile ma unicamente una “stagionalità” del mercato dei derivati che porterebbe a ridurre alcune poste verso la fine dell’anno e farle nuovamente crescere all’inizio del successivo.
Gli altri artifici contabili: l’uso “allegro” dei pronti contro termine
Quanto denunciato dal Comitato di Basilea, d’altra parte, non è certo l’unico trucco messo in campo per rendere più presentabili i bilancio o ottenere vantaggi di diversa natura. Un meccanismo simile riguarda l’uso “allegro” dei pronti contro termine, o in inglese repurchase agreement o repo. Si tratta di contratti di brevissima durata (anche un solo giorno) che consistono nel vendere un titolo impegnandosi a ricomprarlo alla scadenza. Sono pensati per ottenere liquidità a breve termine dando in garanzia dei titoli, ma in molti casi sono utilizzati per non fare comparire alcune poste a bilancio.
Mettiamo che una banca abbia a bilancio un titolo “tossico” o che per i più svariati motivi di vigilanza o di reputazione non voglia fare apparire. Può venderlo al 31 dicembre impegnandosi a ricomprarlo il 1 gennaio (o a cavallo della pubblicazione dei risultati trimestrali). Può cosi chiudere il proprio bilancio senza fare figurare il titolo dato in garanzia, e anzi mostrando al suo posto una bella liquidità disponibile.
Una storiella del mondo contabile dice che per ogni azienda non esiste un bilancio, ma una pluralità: uno è quello che si presenta alla vigilanza, uno diverso per gli azionisti, uno per il fisco, uno per clienti e fornitori, e poi alla fine c’è anche quello vero. Ecco, almeno per le banche di importanza sistemica, quelle “troppo grandi per fallire” senza rischiare di trascinare con sé l’intera economia, sarebbe utile se il bilancio fosse uno solo, e magari quello vero. Vedremo se basterà la voce grossa del Comitato di Basilea per andare verso questo – apparentemente banale – obiettivo.
*articolo apparso sul sito www.valori.it l’11 aprile 2024.