In questo Cantone da ormai tre decenni quello fiscale è il terreno di una costante e tenace lotta di classe. Una lotta di classe alla rovescia, nella quale i rappresentanti delle classi dominanti – nelle loro diverse espressioni – hanno difeso la causa dei ricchi contro i poveri.
Naturalmente non si è sempre trattato di una lotta politica lineare. Vi sono stati momenti nei quali, ad esempio, un aumento contenuto dell’imposizione fiscale è stato opposto ad un proposta più radicale dell’aumento dell’imposizione fiscale (pensiamo, ad esempio, alle votazioni fiscali del 2005); altri nei quali addirittura si è arrivati ad uno scambio tra sussidi di cassa malati e diminuzione dell’onere fiscale.
Tagliare le tasse è il mantra ripetuto ormai da anni; anche quando, in momenti come quello che stiamo vivendo, appare evidente che senza una redistribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro, senza interventi profondi nella redistribuzione della ricchezza, non vi potrà essere nessuna risposta adeguata ai bisogni e alle esigenze non solo di quelli che vengono chiamati i ceti più deboli, ma della società nel suo complesso, della sua stessa sopravvivenza (basti pensare a questioni come quelle della parità di genere – a cominciare da quella salariale o del lavoro di cura – o, ancora più grande, ai problemi di ordine ambientale).
Le motivazioni di questa lotta e di questa politica sono sempre le stesse. A cominciare dalla cosiddetta “socialità” che caratterizzerebbe la fiscalità del Cantone e che ci viene ricordata con dovizia di cifre, richiamando le percentuali di esenti e le ridotte percentuali di coloro che pagano la gran parte delle imposte. In realtà, questo non è indice di alcuna socialità; ma, al contrario, è il riflesso di una divisione della ricchezza da paese sottosviluppato: si potrebbero facilmente opporre le stesse percentuali (ma al contrario) sostenendo che siamo in presenza di una ristretta élite di soggetti fiscali che posseggono una spropositata percentuale della ricchezza reddituale e patrimoniale.
Se vogliamo una società che risponda ai bisogni sociali fondamentali della stragrande maggioranza della popolazione, che per sopravvivere dispone unicamente del proprio salario, se vogliamo rafforzare i servizi pubblici e migliorare le condizioni di lavoro di chi li fa funzionare, se vogliamo lottare contro la crisi climatica e il modello unico dell’economia fossile, se vogliamo ridurre le disuguaglianze sociali crescenti di un sistema, quello capitalista, che invece non cessa di approfondirle, allora è politicamente evidente che bisogna da una parte bloccare qualsiasi diminuzione delle entrate, le quali portano a nuovi tagli nelle spese sociali e nei servizi pubblici, dall’altra è necessario lottare incessantemente affinché una fetta consistente della ricchezza sociale prodotta dalle lavoratrici e dai lavoratori sia strappata dalle mani e dai conti bancari delle grandi imprese e dei cittadini ricchi e super-ricchi, i grandi “vincitori” di trent’anni di neo-liberismo dominante.
I soldi ci sono, è un’evidenza. Come lo è il fatto che i patrimoni di una minoranza di possidenti sono letteralmente esplosi in questi ultimi decenni, anche e soprattutto in Ticino. Bastano pochi dati, elaborati dall’Amministrazione federale delle contribuzioni, per fornire la fotografia di questa indecente situazione che vive il Ticino:
• Nel 1981 i contribuenti compresi nella classe patrimoniale netta superiore ai 5 milioni di franchi rappresentavano lo 0,11% (179 unità) del totale dei contribuenti e detenevano il 15.68% (2,183 miliardi di franchi) della sostanza complessiva;
• Nel 2020, questi contribuenti rappresentavano lo 0,87% (2’229 unità) dei contribuenti totali e detenevano il 40,65% (33,74 miliardi di franchi) della sostanza totale!
• Nel 2003, i contribuenti con un patrimonio netto uguale o superiore ai 10 milioni di franchi rappresentavano lo 0,06% dei contribuenti totali (136 unità) e detenevano il 10,35% della sostanza totale (3,3 miliardi di franchi);
• Nel 2020, questi contribuenti rappresentavano lo 0,33% dei contribuenti totali (852 unità) e possedevano il 29,19% della sostanza patrimoniale totale dichiarata (24,23 miliardi di franchi)!
• E fra questi ricchi e super-ricchi non sono conteggiati i cosiddetti 896 “globalisti” recensiti a fine 2020, i super-milionari stranieri che pagano le loro imposte in funzione del dispendio!

Il grafico qui sopra mostra con un colpo d’occhio la secessione in atto in Ticino fra un’ultra minoranza di ricchi e di super-ricchi e la stragrande maggioranza della popolazione salariata!
Il grafico che segue, relativo al coefficiente di GINI, mostra inequivocabilmente come la disuguaglianza patrimoniale sia in continua crescita in Ticino. Il coefficiente di Gini ha un valore tra 0 e 1: più si avvicina a 1, più elevata è la disuguaglianza e quindi la concentrazione in poche mani della ricchezza prodotta.

Ma vi è di peggio. Per il periodo osservato, il Ticino è il cantone in Svizzera in cui il coefficiente di Gini è peggiorato di più: in crescita del 19,3%! Detto altrimenti, il Ticino è il cantone nel quale è maggiormente cresciuta la disuguaglianza patrimoniale: sempre meno persone possiedono una fetta sempre più grande della ricchezza.
Senza dimenticare che tutto ciò avviene in contesto dove la crisi salariale è sempre più importante. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica, il salario mensile lordo mediano è cresciuto del 6,65% tra il 2008 e il 2022, da 5’200 a 5’5580 franchi, ossia in media 23 franchi all’anno.
Addirittura, sul periodo 2010-2022, ben 21 rami economici hanno subito una diminuzione della mediana salariale lorda in termini reali. Per essere più chiari: in 21 rami economici il salario reale era più elevato nel 2010 che nel 2022!
Di fronte a questo contesto socio-economico, qualsiasi sgravio fiscale rappresenta una dichiarazione di guerra nei confronti di migliaia di salariate e salariati che con fatica arrivano a fine del mese, per i quali i servizi pubblici e le assicurazioni sociali diventano sempre più un fattore determinante di sopravvivenza.
In un Cantone dove i più ricchi vedono aumentare continuamente la propria ricchezza, proporre una riforma fiscale che prevede una riduzione dell’aliquota massima applicabile (dal 15,07 al 12%) a chi ha un imponibile superiore ai 300’000 franchi (a guadagnarci saranno soprattutto i redditi superiori a un milione di franchi) è una vera e propria provocazione. Lo stesso vale per la riduzione dell’imposta di successione e donazione, un aiuto ai proprietari di imprese. Regali ai ricchi che si trasformeranno in minori risorse per la collettività. Così, la maggior parte dei salariati di questo Cantone risparmierà 100 o 500 franchi l’anno, perdendo molto di più, invece, sotto forma di un nuovo peggioramento dei servizi pubblici e delle prestazioni sociali erogate sia a livello cantonale che comunale.
L’intero pacchetto della contro-riforma fiscale toglierà importanti entrate ai comuni: 23,7 milioni nel 2024 e 33 milioni di franchi a partire dal 2025. Per compensare questa perdita, i comuni ticinesi avranno due strade. Aumentare le imposte oppure tagliare ancora la spesa pubblica, nel finanziamento dei servizi pubblici e delle prestazioni sociali. Considerata la concorrenza fiscale in atto anche a livello comunale, è più che probabile, per non dire sicuro, che sarà intrapresa la seconda via…
Le ragioni per votare NO il prossimo 9 giugno 2024 sono dunque evidenti.
L’MPS è però convinto che una battaglia difensiva non basti. È ora di costruire un fronte che rivendichi un netto aumento delle imposte: quelle che i ricchi di questo cantone dovrebbero pagare. In realtà, si tratterebbe solo di recuperare gli scandalosi regali fiscali che sono stati fatti negli ultimi due decenni alle imprese e ai ricchi possidenti. L’MPS ha più volte proposto modifiche della legge tributaria cantonale che andavano a modificare la ripartizione secondaria (quella che avviene a livello fiscale), proponendo un aumento delle aliquote (+20%) dell’imposte delle persone fisiche a partire da 200’000 franchi di reddito imponibile, così come anche un aumento del 20% delle aliquote dell’imposta sulla sostanza a partire da 1 milione di franchi.
Se applicassimo un contributo di solidarietà dell’1% sui patrimoni dichiarati (!) superiori ai 5’000’000 milioni di franchi – complessivamente 33,74 miliardi di franchi -, il Cantone incasserebbe, sulla scorta dei dati pubblicati nel 2020, qualcosa come 337 milioni di franchi. Utilissimi per rispondere ai bisogni sociali crescenti della maggioranza della popolazione lavoratrice di questo Cantone. Una minuscola puntura per un’ultra minoranza di super-ricchi.
Si tratta di una battaglia decisiva che bisognerà sviluppare con determinazione e costanza subito dopo aver affossato il nuovo progetto di sgravi fiscali.