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Pubblichiamo questa presentazione critica di un’importante opera di Jean-Baptiste Fressoz dedicata al concetto di transizione energetica. Si tratta di una discussione fondamentale poiché questo concetto non è, come ci spiega l’autore solo appannaggio di governo e padronato, ma viene ormai utilizzato correntemente da tutto l’”arco politico”. Ricordiamo che sulla critica di questo concetto il nostro sito ha pubblicato tempo fa un interessante articolo di Cristine Poupin (https://mps-ti.ch/2023/01/limpossibile-transizione-energetica/)che andava nella stessa direzione. (Red)

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Nel suo nuovo saggio, Jean-Baptiste Fressoz dissipa la nebbia che circonda la “transizione”, che descrive come “l’ideologia del capitale nel XXI secolo”. Il suo lavoro ci permette di sollevare la questione ecologica sul terreno del cambiamento sociale radicale.

Nel suo libro Sans transition (Seuil, 2024), lo storico e ricercatore del CNRS Jean Baptiste Fressoz dimostra la futilità del concetto di “transizione energetica” difeso dai governi e dall’industria di fronte alla crisi ecologica. Lungi dal condannarci all’inazione o al nichilismo, come sostengono i suoi detrattori, questo testo rappresenta un contributo essenziale e ben argomentato che dirada la nebbia dell'”ideologia del capitale nel XXI secolo” e pone la questione ecologica sull’unico terreno all’altezza del problema: quello di un cambiamento sociale radicale.

È un eufemismo dire che dalla sua pubblicazione nel gennaio 2024, Sans Transition, il nuovo libro dello storico della tecnologia e dell’ambiente e ricercatore del CNRS Jean-Baptiste Fressoz, ha fatto parlare di sé. L’autore è stato invitato su diversi media a difendere il suo libro, mentre sono emerse critiche da parte di ambienti scientifici e tecnici, tutti accusati, in misura maggiore o minore, di seminare confusione e pessimismo. Le Monde e L’Obs [Le Nouvel Observateur NdT], ad esempio, hanno pubblicato articoli incendiari dai titoli evocativi: ” Affermare che la transizione energetica è impossibile è il modo migliore per assicurarsi che non avvenga mai” e “Smettiamo di dire che la transizione energetica non avverrà”.

Il motivo per cui il libro di Fressoz ha attirato tanta attenzione è che punta il dito su un problema essenziale: non c’è mai stata una “transizione energetica”, intesa come passaggio da una fonte di energia primaria a un’altra. Inoltre, l’attuale retorica sull’abbandono dei combustibili fossili nel giro di pochi decenni a favore delle energie rinnovabili e del nucleare – pur promossa da governi, industrie e dal Gruppo III di esperti dell’IPCC – non ha alcuna base scientifica o storica seria. La tesi di Fressoz è una bomba, soprattutto perché l’autore riesce a dimostrarla in modo assai solido.

Per una storia simbiotica dell’energia

Sans transition è un libro di polemiche storiche. Per dimostrare che la tanto annunciata transizione non è in corso e sembra improbabile che avvenga, Fressoz si rivolge al passato. Rilegge la storia dell’energia e contesta le analisi utilizzate dai sostenitori della “transizione energetica”: “La transizione proietta un passato che non esiste su un futuro che rimane fantasma“, scrive. E aggiunge: “per sperare di costruire una politica climatica anche solo lontanamente rigorosa, è essenziale avere una rinnovata comprensione delle dinamiche energetiche e materiali“.

Come scrive Fressoz, “la storia dell’energia è generalmente raccontata come una serie di transizioni o addirittura di spostamenti nei sistemi energetici, su scala di nazioni, continenti o del mondo intero. In quello che è diventato un genere a sé stante, l’affresco sull’energia, si ritrova generalmente lo stesso schema cronologico: i capitoli iniziali trattano della forza muscolare, del legno e dell’idraulica nell’era preindustriale; i capitoli centrali trattano del carbone e del vapore nel XIX secolo; seguono i capitoli sul petrolio, l’elettricità e l’energia nucleare (il gas è spesso meno studiato); e infine le osservazioni conclusive sulla transizione in corso o futura“.

Questa lettura della storia dell’energia per fasi, o epoche, è ereditata direttamente dallo studio della preistoria e della geologia, ma anche dagli slogan propagandistici dell’industria energetica. “Non sorprende che le compagnie petrolifere parlino dell’età del petrolio e le compagnie del gas dell’età del gas. Ciò che è più sorprendente, e che deve essere spiegato, è l’infatuazione intellettuale per questi tropi promozionali“. Inoltre, “il fasismo corrispondeva bene a un’interpretazione borghese della storia“, in quanto privilegiava i grandi industriali e scienziati, ignorando il ruolo dei lavoratori, che tuttavia erano attivi nel cuore dei sistemi energetici.

Contro il paradigma del “fasismo“, Fressoz difende l’idea di una “storia simbiotica“: “Piuttosto che una successione di fasi, o di grandi epoche, la storia dell’energia è un groviglio sempre più complicato di materiali, tecniche ed energie“, spiega sul sito www.socialter.fr . Attraverso la sua dimostrazione che si prolunga su circa 200 pagine, riccamente documentata e ricca di fonti, Fressoz traccia una storia delle interazioni tra legno e carbone, carbone e petrolio e petrolio e legno, tra gli altri, nel XIX° e XX° secolo, e cerca di spiegare “perché tutte le energie primarie sono cresciute insieme e perché si sono accumulate senza sostituirsi l’una all’altra“.

Così, lungi dal sostituire il legno, lo sviluppo del carbone nel XIX° secolo ha portato a un’esplosione del consumo di questa risorsa, in particolare per fornire i puntelli in legno che sostenevano le gallerie delle miniere di carbone: “All’inizio del XX° secolo, le miniere britanniche consumavano tra i 3 e i 4,5 milioni di m³ di puntelli ogni anno. A titolo di confronto, un secolo e mezzo prima gli inglesi bruciavano solo 3,6 milioni di m³ di legna da ardere“. Un’interazione simile si è verificata nel XX° secolo con lo sfruttamento su larga scala del petrolio, che ha fatto aumentare anche il consumo di carbone: “Nel XX° secolo, come oggi, il petrolio viene pompato da macchine d’acciaio, trasportato da navi d’acciaio, carri cisterna o oleodotti, raffinato in fabbriche d’acciaio e infine bruciato in motori d’acciaio che azionano macchine d’acciaio. E per la maggior parte, questo acciaio viene prodotto utilizzando il carbone“.

(1) Consumo mondiale di energia primaria per fonte energetica, in termini assoluti. Fonte: developpement-durable.gouv.fr

(2) Consumo mondiale di energia primaria, in termini relativi. Fonte: Connaissance des énergies

La differenza tra un approccio “fasico” e un approccio simbiotico si comprende meglio sulla base dei grafici qui sopra riportati. Mentre l’approccio “fasico” privilegia la rappresentazione del mix energetico mondiale in termini relativi, cioè ogni energia è rappresentata in proporzione alla quota del mix totale che rappresenta (grafico 2), l’approccio simbiotico opta per una rappresentazione in termini assoluti, o in tonnellate (grafico 1).

Una rappresentazione in quote relative suggerisce che il petrolio e il carbone sono in calo (curve arancione e viola nel grafico 2), a vantaggio delle fonti di energia rinnovabili (curva azzurra nel grafico 2). Al contrario, una rappresentazione in termini assoluti mostra che il loro consumo sta reggendo bene e, anzi, tende a crescere. La differenza tra i due metodi è che la rappresentazione “fasica” in termini relativi rende invisibile il consumo totale di energia, eliminando quindi questo parametro essenziale dal dibattito. Come riassume Fressoz: “Di fronte alla crisi climatica, non possiamo più accontentarci di una storia in termini relativi: una “transizione” verso le rinnovabili che vedesse i combustibili fossili diminuire in termini relativi ma ristagnare in termini di tonnellate non risolverebbe nulla“.

L’ideologia del capitale nel XXI° secolo

Perché“, si chiede Fressoz, “questo futuro senza passato è diventato il futuro dei governi e degli esperti a partire dagli anni ’70?”La seconda parte del libro è dedicata a rispondere a questa domanda. Essa “racconta la strana carriera della transizione, una futurologia eterodossa e mercantile – un semplice slogan industriale – che, a partire dagli anni ’70, è diventata il futuro degli esperti, dei governi e delle imprese, comprese quelle che non avevano alcun interesse a vederla realizzata“.

Se Fressoz fa risalire le origini del concetto di transizione energetica al periodo tra le due guerre, è con i “malthusiani atomici” che questo immaginario ha assunto l’importanza che ha oggi. Negli anni Cinquanta, questo gruppo di influenti ricercatori del Progetto Manhattan creò una sintesi tra il neo-malthusianesimo, una dottrina reazionaria ossessionata dalla demografia e dall’esaurimento delle risorse, e il discorso tecno-soluzionista di un futuro organizzato attorno alla potenza dell’energia atomica. Secondo Fressoz, il primo uso esatto del termine “transizione energetica” risale al 1967, in occasione di una conferenza a cui partecipò l’élite neomalthusiana.

Questa sintesi di neomalthusianesimo e tecno-soluzionismo fu utilizzata per promuovere lo sviluppo dell’energia atomica: poiché il petrolio sarebbe diventato sempre più scarso in un mondo sempre più popolato, l’unica soluzione sarebbe stata un investimento massiccio nell’atomo e, più precisamente, nella super-rigenerazione nucleare. Negli anni ’70, con la crisi energetica aggravata dalla crisi petrolifera, “la transizione uscì dalla sua culla nucleare e divenne un discorso pubblico e una competenza ufficiale“. Nel bel mezzo della ripresa della Guerra Fredda, la sovranità energetica era una questione strategica e il discorso della transizione, ripreso dalle amministrazioni Carter e Nixon negli Stati Uniti, serviva soprattutto a giustificare la ripresa dell’estrazione del carbone nel Paese.

Così, “[una] futurologia neomalthusiana e tecnologica per i Paesi ricchi era diventata improvvisamente un piano di salvaguardia per l’intero pianeta“, il che costituisce uno “scandalo scientifico e politico“, secondo l’autore. Questa futurologia arriva fino al cuore dell’IPCC, la principale autorità in materia di clima, e più precisamente del suo Gruppo III, responsabile della revisione e della sintesi delle “soluzioni” alla crisi climatica.

Nella parte finale del libro, Fressoz ripercorre la creazione dell’IPCC nel 1988, sotto l’amministrazione Reagan: “L’obiettivo dei governi, in particolare degli Stati Uniti, era quello di riprendere il controllo delle competenze internazionali sul clima, che si affrettavano a sbandierare obiettivi di riduzione delle emissioni senza soppesarne gli effetti economici“. L’obiettivo era anche quello di stabilire l’egemonia americana sulla questione climatica, in un momento in cui un programma internazionale delle Nazioni Unite, sotto l’egida di un prestigioso scienziato egiziano, stava progettando di affrontare il problema. All’epoca, gli obiettivi del Gruppo III dell’IPCC erano molto chiari, come dimostra una nota della Casa Bianca del 1989: “L’obiettivo non è proteggere il clima. Si tratta piuttosto di proteggere il benessere economico dagli effetti negativi che potrebbero derivare dal cambiamento climatico“. Due anni dopo, gli Stati Uniti misero a capo del Gruppo III un dichiarato scettico del clima, Robert A. Reinstein, che divenne poi un… lobbista per le industrie dei combustibili fossili! L’obiettivo di Fressoz non è, ovviamente, quello di confutare il consenso scientifico in termini di avanzamento della crisi climatica e dei suoi impatti (raggiunto dai Gruppi I e II dell’IPCC), ma piuttosto di mostrare come le “soluzioni” proposte dal Gruppo III dell’IPCC siano sovradeterminate dagli interessi economici e geopolitici del “Nord”. Nel pieno della svolta neoliberista, la naturalizzazione del capitalismo, o il fatto che esso sia totalmente insuperabile, è un assunto fondante e implicito del Gruppo III dell’IPCC.

Un chiaro esempio di questa logica è rappresentato dalla nozione di “emissioni negative“, sviluppata in modo tale da consentire – sulla carta – di far rientrare gli scenari climatici senza sconvolgere troppo l’economia. “In termini pratici, l’idea si riduce a bruciare alberi a crescita rapida nelle centrali a biomassa, per poi catturare la CO2 che esce dai camini e seppellirla nel terreno. Nel suo ultimo rapporto, il Gruppo III stima che, per non superare i 2°C nel 2100, questa industria ancora inesistente dovrebbe pompare dall’atmosfera e seppellire nel terreno tra 170 Gt e 900 Gt di CO2 tra oggi e il 2100 – quantità gigantesche, identiche o addirittura superiori alla produzione mondiale di legno“.

Così, “anche se gli scenari net zero 2050, a cui nessuno crede più, hanno l’effetto collaterale di marginalizzarne altri futuri, o di presentarli come utopie militanti […] dei 3’000 scenari valutati dal Gruppo III, nessuno prevede, anche solo come ipotesi, una riduzione della crescita economica“. Figuriamoci, per estendere il ragionamento, l’ipotesi del socialismo!

Questa constatazione porta Fressoz a formulare una conclusione lapidaria: “La transizione è l’ideologia del capitale nel XXI° secolo. Grazie alla transizione, il male diventa la cura, le industrie inquinanti diventano industrie verdi in divenire e l’innovazione diventa la nostra ancora di salvezza. Grazie alla transizione, il capitale si trova dalla parte giusta nella battaglia per il clima“; “Vinci [uno dei gruppi leader nel mondo per l’edilizia NdT] promuove la ‘strada verde’, Airbus l’aviazione sostenibile, Aramco promette di diventare ‘a rete zero’ entro il 2050. La mobilitazione di queste industrie intrinsecamente inquinanti sotto la bandiera della transizione ha almeno un merito: chiarisce la funzione ideologica di questa nozione“.

Una discussione adulta sulla crisi ecologica

Il libro di Fressoz ci invita a superare il mito di una transizione imminente e salvifica verso le energie rinnovabili. Come spiega, “l’innovazione ci impedisce di avere una discussione adulta sul cambiamento climatico” e “data la transizione, il cambiamento climatico richiede un cambiamento tecnologico, non un cambiamento di civiltà“.

Una volta dissipate le illusioni seminate dall’industria e dai governi, la discussione su come affrontare la crisi ecologica potrà finalmente iniziare seriamente. A differenza degli angusti scenari tecno-soluzionistici delineati dal III Gruppo dell’IPCC, confutare il mito della “transizione energetica” apre gli orizzonti del possibile. Ricordare che la “transizione energetica” è una narrazione costruita ex novo dai governi e dal padronato del Nord durante la svolta neoliberista degli anni ’80 per rinchiudere nella morsa del capitalismo qualsiasi prospettiva di risoluzione della crisi climatica, permette, per estensione, di squalificare i progetti di “Green New Deal”. Infatti, i massicci programmi di investimento nell’energia verde promossi da alcune potenze imperialiste e il programma di “pianificazione ecologica” de La France Insoumise si inseriscono perfettamente nel paradigma della “transizione energetica” che Fressoz decostruisce.

In conclusione, Sans transition è un prezioso punto di partenza per i socialisti del XXI° secolo che vogliono riflettere sulla complessa eredità dell’infrastruttura energetica creata da un capitalismo intrinsecamente distruttivo dell’ambiente e quindi incapace di guidare la necessaria transizione. Tuttavia, una riflessione marxista e rivoluzionaria sui mezzi per combattere l’attuale crisi ecologica deve includere anche aspetti organizzativi e strategici che Fressoz non pretende di affrontare nel suo saggio. Pur non nascondendo di essere favorevole alla decrescita radicale, lo storico non approfondisce le trasformazioni sociali che consentirebbero di ridurre notevolmente la produzione e di optare per la “sobrietà”. Pur ritenendo che la rottura con il capitalismo sia “tanto necessaria quanto insufficiente“, lascia ad altri il compito di definire i contorni di questa rottura. È combinando i dati scientifici stabiliti da ricercatori come Fressoz con la conoscenza dettagliata dei processi produttivi posseduta dai lavoratori e con le riflessioni sull’estensione della democrazia alla sfera della produzione attraverso il controllo operaio che sarà possibile definire un programma socialista per combattere l’attuale crisi ecologica.

*articolo apparso sul sito www.revolutionpermanente.fr il 7 aprile 2024. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.