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Questo interessante articolo è tratto dal numero 230 (maggio 2024) di “Against the Current”, la rivista politica delle compagne e dei compagni dell’organizzazione statunitense socialista, femminista e antirazzista Solidarity, organizzazione simpatizzante della Quarta Internazionale.

Il “supermartedì” (il 5 marzo, quando si è votato contemporaneamente in un grande numero di stati degli Stati Uniti, per eleggere i delegati a sostegno dei candidati in corsa per la Casa bianca,NdT), la campagna presidenziale di Nikki Hayley e il tentativo del Colorado di impedire a Donald Trump di poter candidarsi sono definitivamente tramontati. Gli Stati Uniti d’America si avviano, o per meglio dire inciampano, verso la scelta presidenziale di novembre che pochi (al di fuori dei fan di Trump) desiderano davvero.

Qualunque sia il risultato – una vittoria di Biden o di Trump – rischia di essere riconosciuto come illegittimo da ampi settori della popolazione, aprendo una potenziale crisi più profonda. Per quanto riguarda la strategia di voto, la nostra rivista tornerà sul tema per proporre una serie di prospettive.

In questa sede analizzeremo come le disfunzioni, il caos incombente nella politica borghese statunitense e il disordine globale esistente e crescente si intersecano e tendono ad amplificarsi a vicenda.

Due guerre, due invasioni genocide occupano il centro della scena – dove sia a Gaza che in Ucraina le atrocità mostruose di ogni giorno sono superate solo da quelle del giorno dopo – e hanno un impatto sia sugli Stati Uniti che sul presunto ordine internazionale “basato sulle regole”, così come viene beffardamente chiamato.

Nelle elezioni americane, occorre chiarire fin dall’inizio, che la discussione non verte tanto sulle regole dell’ “economia”, perlomeno di quello che se ne discute in termini convenzionali. Emergono invece le esperienze vissute. Nonostante l’incertezza del quadro economico, le statistiche generali sembrano abbastanza discrete per quanto riguarda la crescita del PIL nazionale, la spesa dei consumatori, gli investimenti infrastrutturali del governo, l’allentamento dei tassi di inflazione e tutto il resto. L’economia statunitense sotto Biden sembra piuttosto in buone condizioni, in particolare se confrontata alla maggior parte dell’Europa e certamente alla Cina in crisi.

Ma se questo quadro generale non rappresenta la realtà quotidiana per decine di milioni di persone, la causa non è legata ai dati macroeconomici, ma piuttosto alle brutali disuguaglianze e alle disfunzioni sociali – razzismo strutturale, sanità pubblica disastrosa, scarso accesso a case e istruzione a prezzi accessibili – che lasciano indietro settori importanti della popolazione, tra cui i giovani, le comunità razziali e rurali economicamente depresse, e contribuiscono in larga misura alla catastrofe dell’overdose di oppioidi.

Questo scollamento non riguarda solo gli Stati Uniti: è uno dei principali fattori di un’ondata globale di forze autoritarie, di estrema destra, razziste e anti-immigrati. Le recenti competizioni elettorali mostrano risultati contrastanti: l’estrema destra ha certo subito battute d’arresto nelle elezioni brasiliane, polacche e turche (municipali), ma ha guadagnato terreno in Slovacchia, Indonesia, Argentina, Ecuador ed El Salvador.

Negli Stati Uniti, ciò che sta portando molta rabbia popolare nei confronti della presidenza Biden è in realtà il prodotto di politiche bipartisan di lunga data. La massiccia crisi migratoria e della politica d’asilo al confine con gli Stati Uniti e nelle nostre città è innanzitutto un’emergenza di vita o di morte per le persone che intraprendono questi viaggi disperati e un incubo per i migranti richiusi nei centri di detenzione in condizioni brutali. È anche un enorme fardello per le comunità di confine e le città statunitensi che cercano di accogliere i nuovi arrivati.

Contrariamente all’isteria della destra e dello slogan trumpiano del “Make America Great Again” (MAGA -Redi l’America di Nuovo grande  NdT), questo disastro non ha nulla a che vedere con le immaginarie “frontiere aperte di Biden” o con il “catch and release”. È invece il risultato diretto di decenni di “libero commercio” che hanno distrutto l’agricoltura messicana e centroamericana; di dittature genocide sostenute dagli Stati Uniti e di guerre controrivoluzionarie, per non parlare dei rovinosi interventi ad Haiti e delle devastanti sanzioni al Venezuela e a Cuba; e forse, soprattutto, della folle “guerra alla droga” durata mezzo secolo che ha prevedibilmente favorito un’industria continentale di bande e cartelli narcotrafficanti.

E non hanno affatto aiutato i regimi brutali e autoritari in Asia e Africa. Le migrazioni di massa e le loro ricadute politiche non possono essere comprese solo nel contesto statunitense. Circa 100 milioni di persone sono sfollate a causa dei fallimenti del sistema capitalistico mondiale, che si esprimono in guerre e genocidi, crolli politici e catastrofi ambientali. I paesi europei si trovano ad affrontare flussi migratori e livelli spaventosi di morti nel Mar Mediterraneo. La violenza anti-immigrati si è diffusa anche in Sudafrica, sottolineando la portata davvero globale di questa crisi.

Mentre cercano di sfruttare il contraccolpo razzista per ottenere vantaggi politici, le forze dell’estrema destra in Europa e il culto di Trump e del MAGA negli Stati Uniti hanno parecchio in comune, cercano di raggrupparsi sotto la bandiera della “salvezza della civiltà cristiana bianca” – e hanno un partner disponibile in Vladimir Putin.

Ucraina, Palestina e oltre

Le guerre in Ucraina e Palestina evidenziano, tra l’altro, le conseguenze dell’immobilismo politico e del cinismo imperiale degli Stati Uniti. Per dirla senza mezzi termini: l’Ucraina, senza le armi necessarie per difendersi dall’invasione della Russia, assomiglierebbe a ciò che Israele ha fatto a Gaza con il pieno sostegno degli Stati Uniti. Ogni città ucraina assomiglierebbe già a Gaza City e Khan Yunis. E per quanto riguarda Gaza, senza un immediato cessate il fuoco permanente, quella che è stata definita “la più grande prigione a cielo aperto del mondo” è diventata un campo di morte e di fame di massa.

Per sei mesi dopo il 7 ottobre, l’amministrazione Biden ha sostenuto il mantra di Netanyahu che dichiara di voler “distruggere Hamas”. Ciò significa annientare Gaza – e l’intenzione di Israele di distruggere irreversibilmente la società della Striscia, ponendo fine a qualsiasi speranza di libertà palestinese, è tanto esplicita quanto l’obiettivo della Russia di eliminare l’Ucraina come nazione indipendente.

Nel pozzo nero di Washington, gli aiuti essenziali per l’Ucraina sono imbottigliati dall’ala repubblicana pro-Putin del Congresso – e incatenati ad altri miliardi di dollari statunitensi, sostenuti dalla leadership democratica e repubblicana, per il genocidio di Israele a Gaza. Questo accade proprio quando una crescente maggioranza dell’opinione pubblica statunitense sostiene un cessate il fuoco per fermare il massacro in Palestina e continua a sostenere la lotta per la sopravvivenza dell’Ucraina.

La depravazione del sostegno di “Genocide Joe” Biden alla guerra di Benjamin Netanyahu è indescrivibile. Il buco elettorale che ha scavato per sé e per i Democratici tra gli elettori arabi, musulmani, giovani e progressisti potrebbe rivelarsi troppo profondo per essere colmato – anche se non è nostro scopo in questo articolo prevederne le eventuali conseguenze elettorali.

Il cospicuo numero di  “Uncommitted” o voti in bianco nelle primarie democratiche di Michigan, Minnesota, North Carolina, Hawaii, Wisconsin e New York hanno mostrato la rabbia contro l’avallo americano al genocidio di Israele a Gaza. Così come la grande coalizione di attivisti palestinesi, ebrei e contrari alla guerra nelle strade tra la Casa Bianca e il Campidoglio, che ha ritardato il corteo di auto per il discorso di Biden sullo “Stato dell’Unione”.

Solo dopo le crescenti proteste, sulla scia dell’attacco sanguinario e mirato di Israele al convoglio di aiuti alimentari della World Central Kitchen, l’amministrazione Biden ha annunciato che il massacro di Gaza sarebbe “sproporzionato”. Nel frattempo, mentre Donald Trump esulta apertamente per il genocidio, sulla scena mondiale è già chiaro chi sostiene il ritorno di Trump alla Casa Bianca: Netanyahu, Vladimir Putin, l’ungherese Viktor Orban e altri autoritari e aspiranti autocrati.

Non solo il presidente russo a vita Putin crede che le sue ambizioni annessionistiche in Ucraina possano essere realizzate, ma il suo primo ministro fantoccio Medvedev proietta l’obiettivo russo di spartire un’Ucraina sconfitta tra Russia, Ungheria, Moldavia e altri stati vicini. (Questo non ci ricorda quando i saggi politici statunitensi pensavano che dividere l’Iraq in tre mini-stati separati sarebbe stata un’idea davvero intelligente?)

È probabile un risultato così estremo? Non nell’immediato, ma senza gli aiuti essenziali, le prospettive dell’Ucraina sono pessime.

Conflitto allargato in vista

Con profonde implicazioni future, c’è un chiaro vincitore nella guerra in Ucraina: la NATO, con l’adesione di Finlandia e Svezia, da tempo ufficialmente neutrali. Le conseguenze supereranno di gran lunga la crisi attuale.

Si parla molto del fatto che, senza il pieno consenso degli Stati Uniti, gli altri membri della NATO non possono mettere in piedi la capacità produttiva per rifornire l’Ucraina contro le brutali avanzate di Mosca. Un ulteriore allarme nelle capitali europee deriva dal fatto che Donald Trump ha sbandierato alla sua base neo-isolazionista la prospettiva di allontanarsi dalla NATO e di invitare la Russia “a fare quello che diavolo vuole”. Questi fattori giocano ora a favore di Putin, che non esita a sfruttare militarmente e politicamente, sia in Europa che nelle elezioni statunitensi. Ma i Paesi della NATO inizieranno a rafforzarsi, non solo per il sostegno all’Ucraina oggi, ma anche per la prospettiva a lungo termine di conflitti con la Russia di Putin e forse con quella del dopo Putin.

Nei prossimi anni, un’Europa riarmata potrebbe creare un’apparenza di “equilibrio” militare, mentre in realtà aggrava l’instabilità a lungo termine e i pericoli di guerra. Le speranze di una pace duratura dopo la Guerra Fredda sono state vanificate dal duplice trionfo del capitalismo neoliberista in Occidente e gangster-oligarchico nella Russia post-sovietica. Per quanto riguarda un’eventuale presidenza Trump, questa prospettiva certamente incoraggia l’estrema destra europea – e allo stesso tempo sprona i partner della NATO a intensificare le loro spese militari.

A prescindere dalle minacce verbali di Trump sul futuro dell’alleanza e dal fatto che le intenda o meno mettere in pratica, non è così facile infrangere gli obblighi del trattato nei confronti della NATO, né pensiamo che la classe dirigente imperialista statunitense lo tollererebbe. Soprattutto, il pensiero strategico imperiale guarda molto più avanti, ai futuri confronti con la Cina, in cui gli Stati Uniti dovranno avere le loro principali alleanze in Europa e in Asia ben allineate.

Tutto ciò aiuta a comprendere come (e lo abbiamo suggerito all’inizio) gli elementi del caos politico statunitense e globale si alimentino a vicenda. Le questioni letteralmente scottanti includono l’incapacità del capitalismo di affrontare – anzi, la sua tendenza a peggiorare – i disastri diffusi del cambiamento climatico, le calamità incontrollate in Sudan, Haiti e nella Repubblica Democratica del Congo (per citarne solo tre) e ora la minaccia emergente del confronto militare nello spazio, fino a includere le armi nucleari istallate su satelliti.

Per quanto orribili di per sé, le guerre di Gaza e dell’Ucraina portano sotto i riflettori ciò che il Sud globale ha vissuto per molto tempo, per lo più nascosto dai titoli dei giornali. Genocidi potenziali e reali sono sempre presenti nel funzionamento del tanto decantato ordine globale.

Prospettive americane

Tornando all’arena statunitense, i segnali incoraggianti riguardano, naturalmente, l’ondata di sostegno alla sopravvivenza della Palestina, la resistenza agli oltraggiosi assalti ai diritti di aborto e alla libertà riproduttiva delle donne e l’aumento dell’attivismo sindacale nell’industria e nei settori che vanno dai fast-food ai lavoratori dell’istruzione superiore.

Per quanto riguarda le prossime elezioni americane e la competizione presidenziale che così pochi vogliono, sappiamo che il risultato non risolverà nessuno dei conflitti fondamentali della nostra società e del suo sistema politico disfunzionale, non rappresentativo e guidato dalle élite.

Immaginiamo – perché ne abbiamo bisogno, non perché lo vogliamo – una seconda presidenza Trump con i suoi assalti ai diritti delle donne, dei lavoratori e di tutte le persone non privilegiate, la distruzione di ogni parvenza di politica ambientale e climatica, il tentativo promesso di deportare milioni di persone, la paralisi totale delle norme e delle istituzioni democratiche e repubblicane di piccola taglia e il potenziale scatenamento della repressione di stato e delle milizie tipo Proud Boys e Oath Keeper per terrorizzare le attività dei dissidenti.

Le forze che stanno dietro a Trump intendono apertamente attuare rapidamente tagli sociali selvaggi, colpi di mano giudiziari a tutti gli effetti, divieti sull’aborto a livello federale e statale, divieti sui diritti dei disabili e dei trans, tra le altre cose, trasformazioni dottrinali di destra dell’istruzione scolastica e universitaria, restrizioni ai diritti degli elettori e altro ancora, sperando che il loro dominio sia in grado di superare la sfida popolare democratica.

Tutto questo rafforzerebbe ulteriormente l’estrema destra globale a livello elettorale, nelle strade e potenzialmente nell’organizzazione di colpi di stato militari contro governi di “sinistra” o riformatori (ad esempio Brasile, Colombia, Bolivia…). Le conseguenze per la Palestina e l’Ucraina, tra le tante, sono orribili solo da immaginare.

I liberali e i democratici non hanno torto a sottolineare l’entità della minaccia. Il problema è che la loro politica esclude qualsiasi programma efficace per sconfiggerla.

In alternativa, contro l’incubo per l’America e per il mondo di una seconda ascesa di Trump, c’è la possibilità che l’amministrazione Biden, cinica e moralmente compromessa, riesca ad ottenere un secondo mandato, con maggioranze al Congresso e al Senato nel migliore dei casi minuscole – o più probabilmente minoranze in una o entrambe le camere.

In tal caso, le forze di destra, di estrema destra e nazionaliste bianche saranno ancora in movimento, alimentate da nuove e vecchie mitologie di rifiuto dei risultati delle elezioni e di “grande sostituzione”. La minaccia che rappresentano potrebbe essere rallentata, anche se a malapena e temporaneamente, ma non certo sconfitta.

Le opzioni elettorali per le forze di sinistra socialiste e dei movimenti sociali negli Stati Uniti saranno discusse e dibattute nelle nostre pagine e, naturalmente, in modo più ampio. Certamente i nostri movimenti non controllano l’esito elettorale nel 2024, e possono al massimo avere un’influenza marginale negli “swing states” molto contestati e forse di più in alcune importanti competizioni elettoriali locali.

Ma in ogni caso i nostri compiti fondamentali ruotano, come hanno sempre fatto, sull’organizzazione dei movimenti di resistenza, che siano per il lavoro, per i diritti riproduttivi, per la Palestina, per l’Ucraina, e per iniziare a forgiare una politica indipendente e genuinamente progressista, necessaria da tempo.

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