Oggi abbiamo più che mai un urgente bisogno di rilanciare il dibattito e la mobilitazione politica per un’alternativa globale e radicale all’attuale sistema di assicurazione malattia costruito atto alla Legge sull’assicurazione malattia (LAMal).
In questa prospettiva, pensiamo a un sistema di assicurazione malattia simile a quello di un’assicurazione sociale, come l’AVS, con contributi percentuali sui salari da dividere tra datori di lavoro e lavoratori. Una soluzione di questo tipo permetterebbe di migliorare le prestazioni con premi di gran lunga inferiori a quelli attuali.
Sulla base di semplici calcoli di massima, ma corrispondenti ai dati di fatto, si può affermare che basterebbe un contributo attorno all’8% (quindi solo metà – il 4% – a carico degli assicurati) per finanziare tutte le spese che oggi gravano sulle famiglie.
Questo contributo sarebbe sufficiente a coprire non solo i premi oggi pagati dalle famiglie, ma anche una serie di pagamenti diretti (franchigie, partecipazioni ai costi, cure dentarie, contributi per case di riposo, medicamenti acquistati senza ricetta, ecc.), che rappresentano la parte più cospicua delle spese sanitarie annuali (circa 55 miliardi su un totale di poco più di 91 miliardi). Senza dimenticare che un’altra parte significativa del conto è pagata dai salariati come contribuenti (più di 30 miliardi).
In attesa di lanciare e sviluppare una campagna in questa direzione, è tuttavia necessario evitare che il peso dell’assicurazione malattia gravi sempre più sulle spalle dei salariati e delle loro famiglie, cioè della stragrande maggioranza della popolazione di questo paese. In tal senso, da tempo si sarebbero dovute portare avanti con forza rivendicazioni che possono alleviare questo peso, oggi sempre più insopportabile, soprattutto perché i premi sono fissati per testa e non tengono conto del reddito degli assicurati.
Pensiamo, ad esempio, alla rivendicazione di un contributo dei datori di lavoro ai premi di cassa malati da inserire nei contratti collettivi (attualmente esistente solo nel settore dell’orologeria); oppure, all’integrazione dei premi di cassa malati (e della loro evoluzione) nell’indice nazionale dei prezzi al consumo, al potenziamento dei sussidi cantonali ai premi di cassa malati o all’esenzione dei premi per i figli minorenni (che potrebbero essere direttamente assunti dalla Confederazione o dai Cantoni).
Si tratta di rivendicazioni realizzabili in tempi relativamente brevi, già nel quadro delle attuali leggi e regolamentazioni; naturalmente, per farle avanzare sarebbe necessario avviare una mobilitazione ampia e queste rivendicazioni dovrebbero diventare temi permanenti dell’azione politica di tutti coloro che effettivamente vogliono migliorare questo stato di cose. Non basta lanciare un’iniziativa ogni tre-quattro anni, agitarsi nei sei mesi precedenti la votazione e lamentarsi poi perché la lobby delle casse malati dispone di milioni per le sue campagne e riesce a vincere quasi sempre.
L’iniziativa del PSS per limitare i premi di cassa malati al 10% del reddito rientra un po’ in questa logica. Non risolve nessuno dei problemi fondamentali con i quali siamo confrontati a causa del sistema LAMal. Non mette in discussione il potere delle casse malati e la loro logica di ribaltare sugli assicurati l’aumento dei costi (a tal punto che qualche dirigente di grandi casse malati non ha nascosto una certa simpatia per l’iniziativa); né mette in discussione il sistema dei premi uguali per tutti, indipendentemente dal reddito; infine, non permette di fare alcun passo avanti verso una cassa malati unica nazionale.
Tuttavia, nel contesto attuale, questa iniziativa potrebbe portare un sollievo a numerose famiglie che oggi pagano premi superiori al 10% del loro reddito. Infatti, se si fa riferimento al premio base nazionale, si constata che quanto pagano le famiglie (una volta dedotti i sussidi pubblici) supera il 10% in 24 cantoni su 26. Se si considera il premio medio, questo limite del 10% viene superato in almeno metà dei cantoni svizzeri.
È più che sufficiente per invitare a votare sì all’iniziativa popolare federale che vuole limitare al 10% del reddito i premi di cassa malati. L’approvazione di questa proposta rappresenterebbe un aiuto per molte famiglie con redditi bassi e, dal punto di vista politico, sarebbe un passo avanti utile per incoraggiare la costruzione di una resistenza sociale più ampia e avviare un dibattito su un’alternativa complessiva al sistema LAMal così come si è imposto almeno negli ultimi 20 anni.
No all’iniziativa sul freno ai costi nel settore sanitario
L’iniziativa lanciata dal Centro è costruita sull’idea che i costi sanitari in Svizzera siano eccessivi e quindi debbano essere frenati se non diminuiti. Da questa constatazione traggono la conclusione che i costi della sanità non possono aumentare più del 20% rispetto ai salari. Qualora questo avvenisse, Confederazione e Cantoni dovrebbero intervenire per frenare i costi.
Questa iniziativa rappresenta forse la massima espressione del pensiero padronale e della lobby delle casse malati, il che non meraviglia visto che questa potente lobby è rappresentata in modo importante nel partito del Centro. Da un lato, è indifferente al fatto che gli aumenti dei costi vengano addossati sulle spalle dei lavoratori. Non viene infatti proposto alcun meccanismo che impedisca l’aumento di questo peso dei premi, limitandosi all’idea generale – tutt’altro che dimostrata – che se i costi non aumentano, non aumenterebbero nemmeno i premi (e quindi non andrebbero a gravare su redditi e salari).
Dall’altro, questa iniziativa rafforza l’idea che in Svizzera siamo confrontati con un’”esplosione” inaccettabile e incontrollata dei “costi della sanità”. In realtà, le cose non stanno così. Basterà ricordare che nel 2004 la spesa sanitaria corrispondeva al 10.1% del PIL e nel 2022 essa è stata dell’11.7%. Un’incidenza paragonabile a quella di altri paesi a noi vicini (Germania 12.7% e Francia 12.1%) e inferiore a quella di altri paesi come gli USA (16.6%).
Il problema di fondo non è quindi quello di diminuire i “costi” del sistema sanitario, ma di impedire che tali costi gravino principalmente sulle famiglie che, come abbiamo ricordato qui sopra, pagano tra premi e partecipazioni varie (franchigie, partecipazioni spese di cura, ecc.) i due terzi del conto sanitario globale, oltre a contribuire fiscalmente al finanziamento del restante terzo attraverso il finanziamento pubblico.
Purtroppo, il Parlamento ha approvato – praticamente all’unanimità – un controprogetto indiretto all’iniziativa. Un progetto che va nel senso di mettere sotto pressione il sistema sanitario affinché “controlli” i costi. Il che significa, nel contesto attuale, una politica sistematica di riduzione delle prestazioni, in particolare negli ospedali ma anche del settore ambulatoriale. Ne vediamo già le prime conseguenze nelle dichiarazioni di alcuni responsabili della sanità che invocano la chiusura di un terzo degli ospedali del paese.