Siamo ormai alle ultime battute della campagna contro la riforma fiscale sulla quale si voterà il prossimo 9 giugno. Pubblichiamo qui un denso articolo che mostra come sia in atto ormai da due decenni un processo di polarizzazione dei redditi e dei patrimoni a favore delle classi sociali superiori. Il Ticino è il Cantone nel quale questa tendenza ha subito, sempre negli ultimi due decenni, una delle maggiori accelerazioni rispetto al resto del paese. Tutte ragioni per dire chiaramente No il prossimo 9 giugno; ma per continuare la nostra lotta contro una fiscalità sempre più classista. (Red)
Recentemente sono stati pubblicati alcuni studi sulla concentrazione e sulla ridistribuzione della ricchezza in Svizzera, sia sottoforma di reddito che di patrimonio. Come accade spesso in Svizzera, i dati presentati hanno un ritardo di quattro anni rispetto alla realtà. Oltre a questo ritardo cronico, la statistica è una branchia sottodotata. Più che di un’anomalia, si tratta di una scelta voluta, storicamente intrattenuta dalle classi dominanti elvetiche. Se uno dei paesi più ricchi al mondo a un sistema statistico insufficientemente sviluppato, ciò tradisce una ragione precisa: i dati statistici possono contribuire a tracciare il profilo di una determinata realtà sociale ed economica, quindi essere alla base dello sviluppo di una critica politica, costituendo, almeno potenzialmente, il primo scalino di un processo di comprensione delle contraddizioni di questo sistema, degli interessi contrapposti che contraddistinguono la nostra società. Un rischio che la grande borghesia svizzera ha scongiurato egregiamente.
Nonostante questa cautela, lo Stato federale deve comunque fornire una quota minimi di dati statistici. È il caso appunto delle informazioni sulla ricchezza elaborate dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC). Questo servizio ha infatti recentemente pubblicato alcuni studi utili rispetto al dibattito in Ticino sui nuovi sgravi fiscali approvati dal Parlamento. I dati sulla concentrazione e sulla ripartizione della ricchezza in Svizzera e in Ticino, benché insufficienti, bastano a svelare una realtà quasi distopica. Qualche anno fa l’insospettabile Credito Svizzero scriveva: «fra i 10 paesi con le più lunghe serie di dati sulla distribuzione della ricchezza, la Svizzera è la sola a non aver conosciuto una significativa riduzione delle disuguaglianze rispetto al secolo scorso»[1]. Come vedremo, la situazione non è mutata.
1.Un confronto internazionale per dare la misura della situazione in Svizzera
L’immaginario popolare internazionale considera la Svizzera come una dei paesi più ricchi al mondo. Visione errata. La Svizzera è il paese più ricco al mondo, anche tenuto conto dei paesi dominati da oligarchie e casate reali… Lo conferma anche il gigante bancario UBS [2], per mezzo di uno studio che offre una fotografia molto interessante. Per apprezzarne in pieno la portata, è necessario fare riferimento alla differenza fra i concetti statistici di media e mediana.
Con il termine di media s’intende normalmente la media aritmetica, calcolata sommando tutti i valori a disposizione e dividendo il risultato per il numero totale dei dati. Se la popolazione di dati è poco omogenea, la media non offre un riferimento realistico della situazione. Per esempio, la presenza di alcuni miliardari basterebbe a modificare pesantemente la rappresentatività di un’intera popolazione di contribuenti [3]. La mediana rappresenta, invece, il valore che si trova al centro di una lista di valori messi in ordine crescente (la metà sopra e la metà sotto il valore mediano). Essa diminuisce l’effetto distorsivo di un valore atipico rispetto alla maggioranza dei dati (i nostri miliardari per esempio rispetto a dei salariati normali). Detto altrimenti, la mediana offre una maggiore stabilità dei dati di posizione, una maggiore precisione dovuta alla minor incidenza di valori estremi che potrebbero sfalsare una determinata realtà [4]. Il ricorso ai concetti di media e di mediana produce interpretazioni molto interessanti della realtà che stiamo esaminando.
Una delle serie di dati più interessanti pubblicate da UBS concerne la ricchezza (patrimonio) per persona adulta in dollari. Sui 221 paesi analizzati, nel 2000 la Svizzera si collocava al primo posto, con una ricchezza media per adulto di 231’354 dollari, seguita dagli USA con 215’146 dollari e, sul terzo gradino, il Lussemburgo con 207’593 dollari. Nel 2022, la Svizzera si riconfermava sul primo gradino del podio, con una media pro capite di 685’226 dollari, una crescita del 296% in vent’anni. Sui gradini inferiori, le posizioni cambiano solo leggermente: il Lussemburgo passa al secondo posto (585’950 dollari) e gli Stati Uniti scendono al 3° posto (551’347 dollari). Come dire che il capitalismo elvetico e il controllo politico esercitato dalle sue frazioni dominanti sui meccanismi di ripartizione della ricchezza socialmente prodotta sono rimasti immutati nel ventennio preso in considerazione.
L’analisi degli stessi dati basati sulla mediana traccia un quadro diverso. Nel 2000, la ricchezza mediana pro capite in Svizzera era di 40’736 dollari, ciò che collocava il paese al 10° posto su scala internazionale. Nel 2022, la situazione è leggermente migliorata: con una mediana per adulto di 167’353 dollari, la Svizzera è risalita al 7° posto nella graduatoria mondiale. Interessante notare che il Lussemburgo nel 2000 occupava il 2° posto con 113’038 dollari, lo stesso anche nel 2022 con però 360’714 dollari a testa per adulto. Il confronto fra media e mediana ci permette di stilare una prima conclusione. Se la media pone la Svizzera al primo posto a livello mondiale mentre la mediana le fa scendere diversi gradini, ciò significa, per i motivi statistici esposti più sopra, che la ricchezza è molto concentrata nel nostro paese. Di riflesso, è confermata l’esistenza di un’evidente disuguaglianza nella ripartizione della ricchezza generata. Il primo posto a livello della media della ricchezza per adulto significa molto semplicemente la presenza Svizzera di un numero elevato di super-ricchi, i posti inferiori occupati nella graduatoria della mediana confermano come questi ricchi detengano una parte determinante della ricchezza accertata. Il Lussemburgo, invece, occupa i vertici in entrambe le categorie di dati, indice di una ricchezza elevata ma più redistribuita.
2. La Svizzera, il paese delle disuguaglianze… crescenti
Un’enorme ricchezza ma concentrata nelle mani di pochi, anzi pochissimi. Questa la sintesi estrema della ripartizione della ricchezza in Svizzera. Una condizione ormai comprovata dall’evoluzione storica recente ma ripudiata dai “pochissimi” che accumulano ogni anno fette sempre più enormi della ricchezza socialmente prodotta, fuori e dentro i confini nazionali, difesi dai loro “cani da guardia”, i quali con i loro “scodinzolamenti propagandistici” cercano di confondere la massa delle lavoratrici e dei lavoratori, in cambio di succulente briciole offerte del convitto dei super-ricchi.
La ripartizione della ricchezza può essere misurata sia per quanto riguarda i redditi che i patrimoni. Per entrambe le categorie in questione il verdetto è chiaro: le disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza non cessano di crescere in Svizzera. Qui di seguito tentiamo di ricostruire il profilo di questo processo.
2.1. Redditi. Si restringe la fetta che vai ai bassi salari, si amplia quella dei salari elevati
Tutti i dati elaborati dall’Amministrazione Federale delle Contribuzioni (AFC) e dall’Ufficio Federale di Statistica giungono a una stessa conclusione: la disuguaglianza reddituale è cresciuta in Svizzera negli ultimi 20-30 anni. Da ciò deriva una prima conclusione: il padronato elvetico è uscito vincitore dal profondo processo di riorganizzazione del contesto politico-economico svizzero imposto all’inizio degli anni ’90 quale risposta all’accresciuta pressione delle crisi economiche sempre più ravvicinate e profonde e alla conseguente potente accentuazione della concorrenza fra i principali paesi capitalisti. Un processo di riorganizzazione varato per rafforzare l’insieme delle condizioni storiche specifiche e favorevoli alla dominazione di classe della borghesia elvetica e all’estrema valorizzazione dei suoi capitali. La stagione delle contro-riforme neoliberali – non ancora terminata – traduce una strategia politico-economica di redditività dei capitali in un contesto di crisi economica internazionale persistente e di mutazioni del sistema capitalista mondiale.
Un capitolo decisivo delle contro-riforme neoliberiste ha riguardato ovviamente la ridefinizione della struttura fiscale svizzera. Sulla base del principio diventato ormai sacro della riduzione delle imposte, il paesaggio fiscale elvetico è stato ridefinito attorno ai seguenti assi: a) inaugurazione di un potente movimento generalizzato di defiscalizzazione del capitale; b) rafforzamento senza comune misura della concorrenza fiscale tra cantoni (e comuni), nell’obiettivo di accentuare la riduzione delle imposte concernenti le imprese e ricchi contribuenti; c) progressiva diminuzione del peso relativo delle imposte dirette progressive sul reddito, il patrimonio e i profitti delle imprese con il corrispettivo aumento delle imposte indirette relative ai consumi (IVA).
Il fronte fiscale della lotta di classe scatenata dalla borghesia elvetica contro le lavoratrici e i lavoratori ha lasciato delle tracce evidenti anche a livello della ripartizione dei redditi – addirittura delle ferite profonde a livello dei patrimoni come vedremo in seguito –, rafforzando e consolidando la disuguaglianza quale fattore più caratteristico. Andiamo allora a vedere questi dati.
La prima serie è estrapolata dalle dichiarazioni dei contribuenti con e senza il versamento di un’imposta federale diretta. Per questa serie l’AFC ha calcolato il coefficiente di Gini, un indice che misura, sulla base della concentrazione, la diseguaglianza nella distribuzione del reddito (e anche del patrimonio). Il coefficiente di Gini è un numero compreso tra 0 e 1. Più il valore si avvicina allo 0, più la distribuzione è omogenea, ossia il reddito è distribuito equamente all’interno di un dato paese (diseguaglianza ridotta). Al contrario, più il valore si avvicina a 1, più la distribuzione è concentrata, ovvero più il reddito di una nazione è concentrato nelle mani di pochissime persone (profonda diseguaglianza). I valori statistici dell’AFC riportati nella tabella che segue concernono il reddito (lordo e netto) e il reddito equivalente [5] imponibile:
Tutte e quattro le serie di dati mostrano una medesima e indiscutibile tendenza: in Svizzera negli ultimi 25 anni la diseguaglianza dei redditi è cresciuta costantemente. Detto altrimenti, una parte dei salari crescente dei redditi è concentrata sempre di più nelle mani di un gruppo ristretto di contribuenti. La crescita registrata è molto più percettibile ed evidente ricorrente alla trasposizione grafica dei singoli valori:
Se prendiamo i dati statistici elaborati dall’Ufficio federale della statistica e, in particolare, ai risultati dell’Indagine sul budget delle economie domestiche (IBED), la situazione risulta leggermente modificata ma, nell’insieme, le tendenze di fondo non si discostano dalle precedenti. Dell’inchiesta citata, ci riferiamo ai dati relativi al reddito lordo equivalente e al reddito disponibile equivalente. Nel primo caso si tratta della somma dei redditi di tutti i membri dell’economia domestica. Esso comprende i redditi del lavoro salariato, i redditi del lavoro indipendente, le rendite e le prestazioni sociali, i redditi derivanti da beni di proprietà, le pensioni alimentari, altri trasferimenti monetari regolari tra economie domestiche ecc., il tutto rapportato alla dimensione equivalente dell’economia domestica. Nel secondo caso, si farà riferimento al reddito disponibile che corrisponde al reddito dopo i trasferimenti. Il reddito disponibile equivalente si calcola deducendo dal reddito lordo equivalente le spese obbligatorie. Queste ultime comprendono i contributi sociali (contributi AVS/AI, previdenza professionale, ecc.), le imposte, i premi dell’assicurazione-malattia (assicurazione di base) e i trasferimenti monetari di altri nuclei familiari (per esempio pensioni alimentari).
Sulla base di questi dati, l’UFT ha calcolato per entrambe le categorie il coefficiente di Gini. Per il reddito lordo equivalente, la tabella che segue registra, fra i due estremi temporali, una leggera crescita del coefficiente di Gini.
Nel caso del reddito disponibile equivalente, l’aumento, per lo stesso periodo, è senz’altro più marcato. In poco più di un quinto di secolo, l’economia svizzera non solo non è riuscita a ridurre le disparità reddituali, ma queste sono addirittura aumentate, leggermente ma pur sempre aumentate.
Dal 2000 al 2011, la tendenza, con alcuni alti e bassi, era stata quella di una riduzione delle disuguaglianze dei redditi considerati. Dal 2011, invece, muta l’andamento e i valori riportati superano quelli del 2000 e della fase precedente. Questi movimenti sono resi evidenti dal nostro grafico.
Sarà interessante verificare se il movimento al ribasso iniziato nel 2020 si confermerà e con quale intensità (raggiungerà i livelli dei primi anni 2000?), oppure se si tratta di una flessione momentanea.
In ogni modo, i dati riprodotti non lasciano spazio a molti dubbi: in Svizzera la disuguaglianza a livello dei redditi è cresciuta e, soprattutto, è un elemento strutturale della ridistribuzione della ricchezza. Come riporta il Consiglio federale, «nel 2018 il 16,24% delle famiglie svizzere sarebbe economicamente agiato (il livello di due volte il reddito mediano corrisponde a una soglia di ricchezza di 106’000 franchi per anno nel 2018). Questi contribuenti detengono da soli il 44,89% della massa totale dei redditi del paese»[6].
La situazione è ancora peggiore se andiamo ad analizzare il rapporto fra il quintile del reddito inferiore e il quintile superiore, il cosiddetto “Rapporto S80/S20. Molto semplicemente questo rapporto interquartile misura la disuguaglianza reddituale fra il 20% più povero e il 20% più ricco della popolazione.
Come nel caso precedente, anche in questo frangente i dati statistici propongono una crescita della disuguaglianza ma con divari decisamente più rilevanti. In poche parole, la differenza fra il 20% dei redditi più elevati e il 20% di quelli più poveri è aumentata in questi ultimi 22 anni, con i primi che concentrano una quantità sempre maggiore del reddito generato. Il movimento è assolutamente evidente nel caso del reddito disponibile equivalente. Nel 2019 è stata superato per la prima volta il valore di 5, ossia il reddito disponibile equivalente della popolazione più agita era 5 volte più elevato di quello del 20% più povero. Anche nel caso del rapporto S80/S20, il divario si fa più consistente a partire dal 2012 in avanti. Secondo il rapporto del Consiglio federale, nel 2019 «il 20% delle persone il cui reddito disponibile equivalente era il più elevato disponeva del 37,1% del reddito disponibile equivalente cumulato, contro il 7,6% per il 20% delle persone con il reddito più basso» [7]. Nel 2011, il quintile con un reddito disponibile equivalente più elevato concentra il 36% del reddito equivalente disponibile cumulato, mentre il quintile più povero disponeva dell’8% [8].
Questa dunque la realtà elvetica per quanto le disparità di reddito analizzata da più punti di vista. Una realtà dove le disuguaglianze e, dunque, la concentrazione stanno crescendo, più o meno lentamente ma inesorabilmente, in particolare agli estremi della scala sociale dei salariati e delle salariate.
La principale associazione mantello padronale Economiesuisse tenta energicamente di negare questa configurazione. Secondo la stessa «I dati più recenti dell’Ufficio federale di statistica (UST) confermano la tendenza a lungo termine di una bassa disparità permanente in Svizzera. Soprattutto i redditi primari sono ripartiti in modo molto più equo rispetto ai paesi vicini e ai principali partner commerciali. Ciò è in particolare dovuto ai salari eccezionalmente elevati che versano le imprese svizzere»[9]. Abbiamo visto invece visto come la disparità a livello dei redditi negli ultimi 22 anni stia conoscendo invece una crescita. Economiesuisse cerca in particolare di dirottare l’attenzione dalla situazione interna cercando il confronto internazionale. In questo senso, affermava che «soprattutto per il reddito primario della popolazione attiva (prima della ridistribuzione), la Svizzera mostra una distribuzione significativamente più equilibrata rispetto ai paesi comparabili a livello internazionale»[10]. Sfortunatamente, i dati Eurostat non confermano le affermazioni della centrale padronale. Limitandosi ai “paesi comparabili”, la Svizzera non si colloca di certo fra quelli con una disuguaglianza più contenuta a livello di redditi, né dimostra di avere una “distribuzione significativamente più equilibrata”. Per quanto riguarda il coefficiente di Gini del reddito disponibile equivalente, su 16 paesi presi in considerazione, la Svizzera si collocava, nel 2022, al 12° posto, cioè all’ultimo posto dei paesi europei più industrializzati, così come si evince dalla tabella che segue:
Anche in materia del rapporto interquartile S80/S20 del reddito disponibile equivalente, la tendenza è la medesima, con la Svizzera che questa volta si issa all’11° posto su 16, superando di poco la Germania per quanto riguarda la disparità di reddito fra il 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione.
Con questo confronto al di fuori dai confini nazionali, il quadro della situazione relativa alla distribuzione dei redditi in Svizzera è piuttosto completo, almeno in maniera sufficiente per procedere a una prima conclusione. Contrariamente alla propaganda imperante, i trent’anni di contro-riforme neo-liberiste e di un’offensiva senza tregua da parte del padronato – con il movimento operaio perso nonostante tutto nella difesa della pace del lavoro e della concordanza di governo con la borghesia – contro le lavoratrici e i lavoratori di questo paese hanno portato a una maggiore concentrazione dei redditi, precondizione di una disuguaglianza, che pur senza esplodere, ha continuato, anno dopo anno e tra alti e bassi, a crescere. Una parte sempre maggiore dei redditi prodotti è andata a finire sui conti bancari dei ceti più abbienti. Non ci resta, dunque, che andare a vedere la situazione a livello della ripartizione della sostanza patrimoniale.
2.2. Patrimoni, il verdetto è inappellabile: il profilo della Svizzera si avvicina sempre di più a quello di un’oligarchia…
Anche in questo caso iniziamo specificando alcuni aspetti solo apparentemente tecnici. Le informazioni statistiche sulla struttura e sulla ripartizione della sostanza patrimoniale (ricchezza) in Svizzera sono ricavati dai dati elaborati dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC). Questa riceve i dati dagli uffici fiscali cantonali. Basandosi su questi dati, l’AFC elabora successivamente la statistica sulla sostanza imponibile complessi delle persone fisiche in Svizzera. I dati al centro del lavoro dell’AFC concernono il patrimonio netto, ossia attivi meno passivi prima di tenere conto delle detrazioni sociali, delle persone fisiche tassate al 31 dicembre 2020 (ultimo anno disponibile) [11].
Detto questo, i dati forniti dalle autorità fiscali cantonali e le elaborazioni dell’AFC non riflettono assolutamente la realtà patrimoniale delle persone fisiche in Svizzera. Se vogliamo, i datti pubblicati ricostruiscono solo molto parzialmente quella che è la ricchezza reale accumulata dai contribuenti svizzeri. Infatti la sostanza patrimoniale complessiva reale è probabilmente il doppio di quella dichiarata al fisco dai contribuenti elvetici. Bisogna tenere conto l’impatto dell’evasione e della frode fiscale, fenomeni mai indagati in Svizzera, per evidenti interessi diretti delle frazioni dominanti della borghesia. A ciò va aggiunto la possibilità di ricorrere a una panoplia di strumenti legali per “dissimulare” o “ridurre” i patrimoni dichiarati, grazie ai preziosi servizi di fiduciari e studi di avvocatura in grado di offrire le migliori soluzioni in materia di ottimizzazione fiscale [12]. Inoltre, come lo scrive il Consiglio federale «i dati fiscali hanno anche tendenza a sottostimare la sostanza che non deriva dalla previdenza finanziata per mezzo della capitalizzazione. Da un lato, gli immobili e le partecipazioni a società non quotate hanno tendenza a essere valutate al di sotto del valore effettivo del mercato» [13]. Lo stesso specifica che «quando degli immobili sono ampiamente sottostimati, si può arrivare in diversi casi a una sostanza nulla una volta il montante del debito ipotecario sottratto al valore nominale» [14]. Infine, vale la pena di segnalare, fattore non secondario nel dibattito politico, che nelle statistiche sulla sostanza netta tassata non rientra quella delle persone imponibili secondo il dispendio (beneficiari dei “forfaits fiscali”), i cosiddetti globalisti multimilionari stranieri che sono accolti nei cantoni elvetici con tappetti rossi. Alcuni esempi che dimostrano come i patrimoni tassati siano solo una parte, minore, della ricchezza tesaurizzata in questo paese. E naturalmente, la quasi totalità della sostanza “non recensita” (per usare un eufemismo) appartiene all’infima minoranza più ricca della popolazione elvetica, i detentori di grandi patrimoni, gli stessi ovviamente che concentrano fette sempre più consistenti del reddito complessivo versato in Svizzera.
Fatte queste debite premesse, è possibile concentrarci sugli indici relativi alla disuguaglianza della ricchezza patrimoniale in Svizzera. Esercizio relativamente breve, considerata la pochezza dei dati a disposizione. Secondo i dati forniti dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), la situazione a livello di disuguaglianza nella ripartizione dei patrimoni misurata dal coefficiente di Gini è ricostruita dal grafico pubblicato qui di seguito.
È di facile lettura. Dopo una forte diminuzione registrata tra il 2003 e il 2005, il coefficiente di Gini riprende a crescere con costanza e praticamente senza interruzione. Ormai, il picco del 2003 non è più molto lontano. È quindi indiscutibile che la disuguaglianza in termini di patrimonio è ormai diventata una caratteristica costante e strutturante la società elvetica. A rendere più drammatico questo scenario è evidentemente il livello raggiunto da questa disuguaglianza, la misura del fossato crescente nella distribuzione della ricchezza accumulata nel paese. Per dare una dimensione di questo processo, basterà ricordare come in linea teorica un valore di 1 del coefficiente di Gini significa il massimo livello possibile di concentrazione della ricchezza, ossia che una sola persona detiene tutta la ricchezza patrimoniale accumulata in un determinato paese. In Svizzera, il livello raggiunto è di 0,82 punti, riflesso di una società nella quale – come vedremo fra poco – un pugno di persone detiene nelle proprie mani una quantità determinante della sostanza patrimoniale. Disporre di una quota immensa della ricchezza sociale significa disporre di un potere altrettanto schiacciante a livello del controllo sociale e politico di una società. Detto altrimenti, queste sono le condizioni che concorrono a determinare il carattere di una società il cui profilo si avvicina sempre più a quello di un sistema oligarchico. Una conclusione sostenuta anche dell’insospettabile quotidiano liberale Tribune de Genève, il quale affermava, nel 2014, che «alla luce del coefficiente di Gini, la Svizzera ha tutti i tratti di un’oligarchia che vede i patrimoni concentrarsi in alcune mani» [15].
Se ricorriamo ai dati sulla sostanza dichiarata dai contribuenti elvetici elaborati dall’AFC, le affermazioni stilate poco trovano un’indiscutibile conferma oggettiva:
La tabella proposta non necessita di molte spiegazioni. Alcune, però, vale la pena di farle. I contribuenti meno abbienti, con nessuna sostanza o fino a un massimo di 200’000 franchi (per esempio un salariato che ritira il proprio 2° pilastro sotto forma di capitale…), quindi la stragrande della popolazione salariata presente in Svizzera, ha visto crollare la propria quota nella sostanza totale dichiarata. Dal 1981 al 2020, questa è diminuita di 4,7 volte, passando dal 31,02% del totale al 6,59%. All’altro estremo, i contribuenti più ricchi hanno visto crescere a ritmi sostenuti la propria ricchezza patrimoniale… Coloro che nel 1981 dichiaravano una sostanza uguale o superiore ai 5 milioni di franchi controllavano il 14,29% della sostanza totale. Percentuale esplosa al 42,88% nel 2020, ossia rispetto al 1981 la loro quota si esattamente moltiplicata per 3. Ancora più impressionante l’espansione della sostanza posseduta dai contribuenti che dichiaravano una sostanza uguale o superiore ai 10 milioni di franchi: nel 2003 (per il periodo precedente mancano i dati) gestivano il 20,10% della sostanza totale dichiarata al fisco, cifra salita al 34,20% solo 18 anni dopo… È vero che i super-ricchi sono aumentati di numero – per esempio i contribuenti con patrimonio netto uguale o superiore a 10 milioni di franchi sono passati dallo 0,14% nel 2002 allo 0,36% nel 2020 – ma continuano a costituire, ieri come oggi, una parte infinitesimale, quasi impercettibile della popolazione che però controlla una massa enorme di ricchezze, 775 miliardi di franchi contro i 149 miliardi dei 4 milioni di contribuenti che hanno un patrimonio compresa da 0 a 200’000 franchi. Nel 2020, il 6,81% dei contribuenti deteneva il 70,47% della sostanza totale dichiarata, pari 1’596 miliardi di franchi. E non dimentichiamoci che si parla solo della sostanza dichiarata…
La dimensione della disuguaglianza a livello della distribuzione della ricchezza patrimoniale in Svizzera appare è data anche dal confronto internazionale. Se prendiamo i 27 principali paesi industrializzati a regime democratico borghese, i dati pubblicati dal portale World Inequality Database[16] relativi al coefficiente di Gini dei patrimoni netti delle economie domestiche, issavano nel 2022 la Svizzera al 3° posto della disuguaglianza, preceduti solo da Stati Uniti e Austria. La situazione peggiora se si considera il coefficiente di Gini dei patrimoni netti del 10% e dell’1% delle economie domestiche più abbienti: la Svizzera passa al 2° posto sul podio della disuguaglianza a livello della distribuzione patrimoniale, preceduta solo dagli inarrivabili Stati Uniti.
Neppure il “think that” padronale Avenir Suisse riesce a nascondere e a contestare questa enorme disuguaglianza a livello patrimoniale, dovendo addirittura inventarsi una giustificazione legata al fattore generazionale: «i dati dell’amministrazione fiscale danno l’impressione [sic!] di una forte concentrazione: l’indice di Gini sulla sostanza imponibile era dello 0,82 nel 2022. Un valore di 1 sarebbe raggiunto se una sola persona possedesse tutta la sostanza. Ora degli elementi importanti della sostanza, come il capitale della cassa pensione, non sono presi in conto. Inoltre, gli effetti dell’invecchiamento deformano l’immagine. Le persone più anziane hanno potuto risparmiare più a lungo e costituirsi così un patrimonio. Invece, la generazione Z dispone di un patrimonio finanziario meno importante ma di un capitale umano elevato, cioè di un potenziale di reddito. Questo non appare nelle misure sull’inuguaglianza della sostanza, ciò che mette in maniera marcata l’accento sul fossato fra le generazioni» [17]. Di quale generazione Z parla Avenir Suisse? Di quali giovani che devono sfruttare il loro “potenziale di reddito”? Evidentemente non dei giovani rampolli delle famiglie Hoffmann-Oeri-Duschmalé (proprietarie del gruppo Hoffmann-La Roche, farmaceutica), patrimonio totale stimato tra i 26-27 miliardi di franchi (Bilanz, dicembre 2023), neppure di quelli della famiglia Safra (banca J. Safra Sarasin), patrimonio stimato tra i 22 e i 23 miliardi, di quelli della famiglia Aponte (crociere, trasporti marittimi, terminali portuali, cliniche), patrimonio tra i 18-19 miliardi di franchi, di quelli dalla famiglia Blocher (proprietaria della Ems-Chimie), patrimonio tra i 14 e i 15 miliardi, di quelli della famiglia Hayek (orologeria), patrimonio tra i 3,5 e i 4 miliardi, di quelli della famiglia Schindler-Bonnard (proprietaria del gruppo Schindler, ascensori e scale mobili), patrimonio tra i 10 e gli 11 miliardi di franchi, di quelli della famiglia Bühler (ingegneria per impianti, processi tecnologici), patrimonio tra i 3,5 e i 4 miliardi di franchi, di quelli della famiglia Siccardi (proprietaria del gruppo Medacta), patrimonio tra i 2,5 i e 3 miliardi di franchi. E la lista potrebbe continuare per almeno altri 19’922 casi. I “cani da guardia” dei detentori di questi enormi patrimoni possono maldestramente cercare di imbrogliare le carte in materia di disuguaglianza nella ripartizione delle ricchezze scrivendo che i pochi dati disponibili nella materia deformano la realtà perché non tengono conto degli “anziani” che hanno potuto risparmiare un patrimonio, contrariamente ai giovani che sono all’inizio della loro vita lavorativa. A parte la vacuità assoluta di questo argomento, il fattore generazionale nei confronti della costituzione di un patrimonio può valere per i “comuni salariati”, diciamo per circa 4’714’909 milioni di contribuenti, ossia l’85,79% della popolazione fiscale. Salariati il cui patrimonio può dipendere da quanto riescono ad accantonare grazie al loro reddito e agli passati a vendere la propria forza lavoro. Peccato che questa quasi totalità dei contribuenti non disponga che del 29,53% dell’intera sostanza dichiarata in Svizzera. Per lo 0,36% dei contribuenti il fattore dell’età non conta assolutamente nulla, se non nella misura che la concentrazione crescente della loro ricchezza è il risultato di generazioni che hanno trascorso il loro tempo ad accaparrarsi fette crescenti della ricchezza prodotta dai 4’714’909 milioni di salariati (e dai loro predecessori), aiutate de politiche di defiscalizzazione dei capitali che non ha fatto altro che consolidare e ampliare questo processo.
La disuguaglianza nell’accumulazione e nella distribuzione della ricchezza non ha giustificazioni. È abbietta, inaccettabile e va combattuta, senza tregua. Non per invidia ma per una questione di giustizia sociale primaria. È l’espressione più evidente, tangibile, degli antagonismi di classe sui quali è costruita la società capitalista. L’attacco potente e frontale nei confronti della disuguaglianza distributiva della ricchezza socialmente prodotta dovrebbe essere un “mantra” per il movimento operaio, il punto di partenza sul quale costruire delle battaglie sociali fondamentali. Ma sembra che questa questione non figuri nell’agenda delle priorità politiche di coloro che si “vendono” quali difensori degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori di questo paese…
3. In Ticino le disuguaglianze aumentano più fortemente
Dopo aver analizzato la situazione delle disuguaglianze di reddito e di sostanza in Svizzera, è importante gettare uno sguardo su quanto succede in Ticino. Un’importanza data dal fatto che, ancora una volta, ci troviamo confrontati all’ennesima contro-riforma fiscale, il cui obiettivo è quello di sgravare, a questo giro, i redditi più elevati. Infatti il progetto in votazione prevede una riduzione dell’aliquota massima applicabile (dal 15,07 al 12%) a chi ha un imponibile superiore ai 300’000 franchi (a guadagnarci saranno soprattutto i redditi superiori a un milione di franchi). Una proposta che dovrebbe finire automaticamente nel cestino se si riflettesse su una semplice domanda: perché un lavoratore o una lavoratrice che guadagna 73’000 franchi lordi l’anno – e la metà della popolazione ticinese guadagna meno di questa di questa cifra – dovrebbe sostenere un taglio consistente delle imposte per chi guadagna più di 300’000 franchi l’anno?!
Ragioni per rifiutare questo sgravio fiscale a favore dei più ricchi – come qualsiasi altro – ce ne sono molte. Uno di questi è ovviamente l’evoluzione della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e dei patrimoni in Ticino. Come in precedenza, partiamo dalla situazione dei redditi.
3.1. Redditi. Si restringe la fetta che vai ai bassi salari, si amplia quella ai salari elevati
Iniziamo la nostra analisi contestualizzando rapidamente la questione dei redditi fra Cantoni. Il grafico che segue riporta l’evoluzione della mediana dei redditi equivalenti netti per ogni cantone, nel 2010 e nel 2018.
Il grafico è interessante per due motivi. In primo luogo, evidenzia la situazione Cantone per Cantone, contrariamente ad altri dati sui redditi forniti solo per grandi regioni economiche. Ciò rende vana una delle critiche formulate delle associazioni padronali ticinesi secondo le quali non sarebbe per questo possibile procedere a una valutazione dettagliata della situazione reddituale. In secondo luogo, i dati per singolo Cantone fissano chiaramente due condizioni: il Ticino nel 2018 è il penultimo Cantone a livello della mediana dei redditi equivalenti netti, regredito di una posizione rispetto al 2010. Inoltre, la mediana in questione è peggiorata in valori assoluti tra il 2010 e il 2018, con una contrazione di ben 583 franchi.
Rispetto alla media dei redditi equivalenti netti delle famiglie, l’AFC ha calcolato la crescita sul periodo 2010-2019 degli “alti redditi” – la cui soglia è fissata a due volte il reddito mediano nazionale – rispetto a quella di tutti gli “altri redditi”. In Ticino gli “alti redditi” hanno avuto un tasso media annuale di crescita dell’1,045%, contro lo 0,327% degli “altri redditi”, pari a una differenza dello 0,718%. A livello svizzero, gli “alti redditi” sono cresciuti in media dell’1,160% e gli “altri redditi” dello 0,881% [18]. Questo quadro, già di per sé estremamente negativo anche se non sorprendente, è ulteriormente aggravato dal prossimo grafico dedicato al coefficiente d’ineguaglianza di Gini dei redditi equivalenti netti:
Quindi non solo il Ticino ha registrato nel periodo 2010-2019 una regressione della mediana, collocandosi al penultimo posto fra i Cantoni svizzeri, ma addirittura si posiziona fra i Cantoni con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi equivalenti netti: al 5° posto nel 2010 e al 7° posto nel 2019. Detto altrimenti, abbiamo una situazione reddituale peggiorata per il 50% della popolazione e un’elevata concentrazione dei redditi, ossia una parte crescente del totale dei redditi che va a finire nelle tasche di una minoranza di persone. E la crescita della disuguaglianza a livello dei redditi in Ticino è stata regolare durante il periodo 2010-2019, situando il cantone Ticino al 7° rango per crescita della disuguaglianza a livello di distribuzione dei redditi equivalenti netti.
Il processo di concentrazione dei redditi e, quindi, di crescita della disuguaglianza che sta contraddistinguendo il Ticino – ma come abbiamo visto è fenomeno che investe la maggior parte dei Cantoni svizzeri – emerge prendendo in considerazione altri parametri, come il coefficiente di Gini del reddito imponibile. In questo caso l’AFC mette a disposizione anche i dati concernenti i comuni:
Il grafico conferma, ancora una volta ma anche da una prospettiva leggermente diversa, la progressione della disuguaglianza nel cantone Ticino, ma anche fra i suoi principali comuni. A questo proposito, in tutti i comuni ticinesi presi in considerazione, a partire dal 2003, si è innescato un aumento del coefficiente di Gini del reddito imponibile, un rafforzamento del divario fra redditi che, a parte alcuni movimenti diversi, sembra ormai diventato strutturale. A Lugano è in atto una vera e propria “secessione” a livello di redditi, con valori che superano ampiamente la media nazionale e quella cantonale.
Il Consiglio federale scriveva nel 2014 che «La disuguaglianza è in generale più elevata fra i cantoni che presentano un più alto livello di reddito (…). Appaiono in questo senso pure particolari, i cantoni Ticino e Vallese con una disuguaglianza più elevata malgrado un livello dei redditi inferiore alla media nazionale» [19]. Non c’è nulla di particolare, almeno per quanto riguarda il cantone Ticino. Un’economia costruita sulla possibilità di sfruttare un esercito industriale di riserva praticamente infinito (il mercato del lavoro delle province lombarde) ha storicamente permesso al padronato, in assenza di contromisure sindacali adeguate, di contenere o di bloccare in molti settori la crescita dei redditi, sia per le lavoratrici e i lavoratori residenti in Ticino, sia per le loro colleghe e colleghi frontalieri. Uno sfruttamento primario e generalizzato della forza lavoro che ha spinto a privilegiare e a conservare un processo di accumulazione caratterizzato da investimenti estensivi in settori marginali, soprattutto industriali, settori in cui il margine di profitto è stato inferiore rispetto a quello ottenuto in altri cantoni. Questo processo ha contribuito a “piombare” la crescita dei salari e a ha creato un fossato crescente di disuguaglianza a livello della distribuzione degli stessi redditi. In questo contesto, le continue politiche di sgravi fiscali a favore delle imprese e dei possidenti non ha fatto altro che accentuare il fenomeno della disuguaglianza a livello di reddito e, come vedremo fra poco, ancora a livello dei patrimoni.
È evidente che il nuovo progetto di contro-riforma fiscale teso a sgravare ulteriormente gli alti redditi, quelli sopra i 300’000 franchi in particolare, avrà quale conseguenza ineluttabile anche quella di rafforzare la concentrazione dei redditi nelle mani di una sempre più esigua minoranza di persone.
Per completare la nostra analisi, non ci resta che prendere in considerazione la situazione a livella della distribuzione della ricchezza patrimoniale in Ticino.
3.2. Sostanza. La disuguaglianza cresce a ritmi di record
Come per la situazione in Svizzera, anche per il Ticino l’analisi relativa alla struttura e alla ripartizione della sostanza patrimoniale (ricchezza) si basa sui dati dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC).
Se i dati presentati per la situazione della ripartizione dei patrimoni in Svizzera ci hanno condotto a evidenziare l’elevato grado di disuguaglianza e il suo continuo rafforzamento, la situazione in Ticino ha semplicemente assunto un profilo allarmante. I valori espressi dal coefficiente di Gini sulla distribuzione della sostanza patrimoniale sono inequivocabili:
Nel 2003, la differenza a livello di coefficiente di Gini fra il Ticino e gli altri Cantoni era del 17,55% rispetto alla media nazionale. Nel 2020, questa differenza è stata praticamente annullata. Nel 2003, il Ticino era il secondo cantone con la minore disuguaglianza a livello di sostanza patrimoniale, superato solo dal Giura. Nel 2020, si è issato al 10° posto quale cantone con la maggiore disuguaglianza patrimoniale. L’impressionante accelerazione sulla scala della disuguaglianza registrata in Ticino in poco meno di vent’anni è chiaramente cristallizzata nel grafico sull’evoluzione percentuale del coefficiente di Gini per il periodo 2003-2020:
L’evoluzione percentuale del coefficiente di Gini tra il 2003 e il 2020 ha issato prepotentemente il Ticino al primo posto dei Cantoni con l’aumento più importante della disuguaglianza a livello di sostanza patrimoniale: un aumento di quasi il 20%.
Vale sicuramente la pena approfondire le cifre della sostanza dichiarata in Ticino. Come per il livello nazionale, riproponiamo la tabella sulle categorie di contribuenti agli antipodi della scala sociale, ossia i contribuenti che hanno dichiarato una sostanza patrimoniale tra zero e 200’000 franchi (la stragrande maggioranza delle salariate e dei salariati) e l’ultra minoranza di ricchi e super-ricchi che invece ha dichiarato una sostanza patrimoniale uguale o superiore ai 5 milioni di franchi (e la sottocategoria di coloro che hanno una sostanza patrimoniale superiore ai 10 milioni di franchi).
Sostanzialmente, i dati raccolti riproducono le stesse dinamiche emerse dall’analisi dei dati nazionali. Anche in Ticino è impressionante il processo di concentrazione e, dunque, di disuguaglianza patrimoniale innescatosi a partire dall’inizio degli anni 2000, fase di elevata applicazione delle politiche neoliberali di riduzione delle imposte per i ricchi possidenti e le imprese. Questa forte crescita è particolarmente evidente per la categoria dei contribuenti che hanno dichiarato un patrimonio uguale o superiore ai 5 milioni di franchi. Sul periodo 1981-2003, i patrimoni detenuti da questi contribuenti è cresciuta di 2,2 volte, da 2,183 a 4,825 miliardi di franchi. Dal 2003 al 2020, la moltiplicazione è stata di ben 7 volte, da 4,825 a 33,746 miliardi di franchi! Evidente poi l’ascesa prepotente – in meno di vent’anni – della sostanza dichiarata dalla “micro-élite” dei super milionari, coloro che annunciano una sostanza superiore ai 10 milioni di franchi: loro fetta è stata moltiplicata per 3 volte a partire dal 2003: nel 2020 controllavano 24,232 miliardi di franchi. Naturalmente, lo ricordiamo, si tratta solo dei patrimoni dichiarati. E fra questi super-ricchi non sono neppure conteggiati i cosiddetti 896 “globalisti” recensiti a fine 2020, l’élite degli stranieri multimilionari che pagano le loro imposte solo in funzione del dispendio! In Ticino, oggi, lo 0,87% dei contribuenti possiede il 40,65% della sostanza patrimoniale dichiarata, ovvero ben 33,746 miliardi di franchi.
Al contrario, la quota nella sostanza patrimoniale totale dichiarata dai contribuenti meno abbienti è precipitata durante lo stesso periodo preso in considerazione. Nel 2020, il 77,30% dei contribuenti deteneva solo l’8,43% della sostanza totale annunciata al fisco, contro il 27,07% ancora dichiarato nel 2003. Un’erosione imponente. Il grafico che segue illustra questo “movimento”:
Quanto sviluppato in merito ai dati sulla sostanza patrimoniale in Ticino – lo stesso discorso vale anche a livello svizzero – dimostra una crescita particolarmente rapida della disuguaglianza della distribuzione della ricchezza accumulata. Un processo che ci conduce a una lapidaria conclusione: in Ticino è in atto una vera e propria secessione fra un’ultra minoranza di ricchi e di super-ricchi e la stragrande maggioranza della popolazione salariata!
In questo Cantone da ormai tre decenni quello fiscale è il terreno di una costante e tenace lotta di classe proprio su questo terreno. Una lotta di classe nella quale i rappresentanti delle classi dominanti – nelle loro diverse espressioni – hanno difeso la causa dei ricchi contro i poveri.
Naturalmente non si è sempre trattato di una lotta politica lineare. Vi sono stati dei momenti nei quali, ad esempio, un aumento contenuto dell’imposizione fiscale è stato opposto a un proposta più radicale dell’aumento dell’imposizione fiscale (pensiamo, ad esempio, alle votazioni fiscali del 2005); o altri nei quali addirittura si è arrivati ad uno scambio tra sussidi di cassa malati e diminuzione dell’onere fiscale. Tagliare le tasse è il mantra ripetuto ormai da anni; anche quando in momenti come quello che stiamo vivendo, appare evidente che senza una redistribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro, senza interventi profondi nella redistribuzione della ricchezza, non vi potrà essere nessuna risposta adeguata ai bisogni e alle esigenze non solo di quelli che vengono chiamati i ceti più deboli, ma della società nel suo complesso, della sua stessa sopravvivenza (basti pensare a questione come quelle della parità di genere – a cominciare da quella salariale o del lavoro di cura – o, ancora più grande, ai problemi di ordine ambientale).
Le motivazioni di questa lotta e di questa politica sono sempre le stesse. A cominciare dalla cosiddetta “socialità” che caratterizzerebbe la fiscalità del Cantone che ci viene ricordata con dovizia di cifre, richiamando le percentuali di esenti e le ridotte percentuali di coloro che pagano la gran parte delle imposte. In realtà questo non dimostra alcuna socialità, ma è il riflesso di una divisione della ricchezza da paese sottosviluppato: si potrebbero facilmente opporre le stesse percentuali (ma al contrario) di una ristretta élite di soggetti fiscali che posseggono una spropositata percentuale della ricchezza reddituale e patrimoniale.
Se vogliamo una società che risponda ai bisogni sociali fondamentali della popolazione che per sopravvivere dispone unicamente del proprio salario, se vogliamo rafforzare i servizi pubblici e migliorare le condizioni di lavoro di chi li fa funzionare, se vogliamo lottare contro la crisi climatica e il modello unico dell’economia fossile, se vogliamo ridurre le disuguaglianze sociali crescenti di un sistema, quello capitalista, che invece non cessa di approfondirle, è politicamente evidente che bisogna da una parte bloccare qualsiasi diminuzione delle entrate, le quali portano a nuovi tagli nelle spese sociali e nei servizi pubblici, ma allo stesso tempo bisogna lottare incessantemente affinché una fetta consistente della ricchezza sociale prodotta dalle lavoratrici e dei lavoratori sia strappata dalle mani e dai conti bancari delle grandi imprese e dei cittadini ricchi e super-ricchi, i grandi “vincitori” di trent’anni di neo-liberismo dominante.
L’MPS è però convinto che una battaglia difensiva non basta. Evidentemente continueremo a batterci contro ogni progetto di sgravio fiscale nei confronti degli alti redditi, dei capitali e delle imprese. È ora di costruire un fronte che rivendichi un netto aumento delle imposte: quelle che i ricchi di questo cantone dovrebbero pagare. In realtà, si tratterebbe solo di recuperare gli scandalosi regali fiscali che sono stati fatti negli ultimi tre decenni alle imprese e ai ricchi possidenti di questo cantone.
L’MPS ha più volte proposto delle modifiche della legge tributaria cantonale che andassero a migliorare la ripartizione secondaria (a livello fiscale), proponendo un aumento delle aliquote (+20%) dell’imposte delle persone fisiche a partire da 200’000 franchi di reddito imponibile, come anche un aumento del 20% delle aliquote dell’imposta sulla sostanza a partire da 1 milione di franchi.
Se applicassimo un contributo di solidarietà anche solo dell’1% sui patrimoni dichiarati (!) superiori ai 5’000’000 milioni di franchi – complessivamente 33,74 miliardi di franchi -, il Cantone incasserebbe, sulla scorta dei dati pubblicati nel 2020, qualcosa come 337 milioni di franchi. Di che rispondere ai bisogni sociali crescenti della maggioranza della popolazione laboriosa ticinese. Una minuscola puntura per un’ultra minoranza di super-ricchi. Si tratta di una battaglia decisiva che bisognerà sviluppare con determinazione e costanza subito, continuando, parallelamente, ad affossare qualsiasi progetto di sgravi fiscali.
La fiscalità significa lotta di classe, perché quello che non va alla fiscalità va, evidentemente, al profitto, sotto qualsiasi forma esso si manifesti (dividenti, corsi azionari, etc.).
[1] Credito Svizzero, Global Wealth, Report 2017, novembre 2017, p. 53.
[2] UBS, Global Wealth Databook 2023, Leading perspectives to navigate the future.
[3] Per esempio, se abbiamo 4 contribuenti con un patrimonio in franchi di 50’000 (A), di 60’000 (B), di 70’000 (C) e di 10’000’000 (D), la media è di 2’545’000 milioni di franchi. Un dato statistico che evidentemente “trasforma” pesantemente la realtà della situazione patrimoniale di una data popolazione…
[4] Se riprendiamo l’esempio della nota che precede, il patrimonio di 60’000 e di 70’000 sono i valori centrali. La loro media dà 65’000 chf. Questo valore ottenuto è il valore del patrimonio mediano dei contribuenti osservati. Molto aderente alla realtà rispetto al valore medio ottenuto più sopra.
[5] Per reddito equivalente si intende il reddito di cui un componente di una famiglia dovrebbe disporre per avere lo stesso livello di benessere economico nel caso in cui vivesse da solo. Il reddito equivalente si ottiene rapportando il reddito familiare alla dimensione della famiglia in termini di adulti equivalenti (scala di equivalenza) e consente di confrontare i livelli di reddito di famiglie di dimensione diversa. Si tratta quindi di una misura che tiene conto della dimensione e composizione delle famiglie e delle conseguenti economie di scala che si realizzano a seguito della coabitazione di più persone nella stessa famiglia. Cfr. https://www.istat.it/it/files/2018/12/Report-Reddito-Condizioni-di-vita-2017.pdf
[6] Répartition de la richesse en Suisse, Rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat 15.3381 déposé par la Commission de l’économie et des redevances du Conseil national le 14 avril 2015, Berna, 16.12.2022, p. 42.
[7] Répartition de la richesse en Suisse, Rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat 15.3381 déposé par la Commission de l’économie et des redevances du Conseil national le 14 avril 2015, Berna, 16.12.2022, p. 21.
[8] Répartition de la richesse en Suisse, Rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat du 7 décembre 2010 déposé par Jacqueline Fehr (10.4046), 27.08.2014, p. 35.
[9] https://www.economiesuisse.ch/it/articoli/salari-elevati-bassa-disparita-di-retribuzione-e-piazza-economica-attrattiva
[10] https://www.economiesuisse.ch/it/articoli/salari-elevati-bassa-disparita-di-retribuzione-e-piazza-economica-attrattiva
[11] Sono soggetti all’imposta sulla sostanza tutti i beni immobili e mobili appartenenti al contribuente, le pretese valutabili in denaro, i crediti e le partecipazioni. Questa imposta è concepita come imposta sulla sostanza complessiva. In ogni modo non viene tassata la sostanza complessiva, bensì solo la sostanza netta, ossia il patrimonio che rimane dopo aver operato le deduzioni previste dalla legge (deduzione dei debiti, deduzioni sociali). In tutti i Cantoni i debiti possono essere dedotti dalla somma complessiva della sostanza. La maggioranza dei Cantoni garantisce delle deduzioni sociali. Tra queste rientrano anche le deduzioni per figli e quelle per i contribuenti più anziani
[12] L’insieme di pratiche volte ad ottimizzare il carico fiscale, ad esempio optando per un regime di tassazione piuttosto che un altro, muovendosi nell’ambito della legalità, cioè godendo delle opportunità contenute nella normativa fiscale, esplicitamente previste dal legislatore.
[13] Répartition de la richesse en Suisse, Rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat 15.3381 déposé par la Commission de l’économie et des redevances du Conseil national le 14 avril 2015, Berna, 16.12.2022, p. 51.
[14] Idem, p. 55.
[15] Tribune de Genève, 9 maggio 2014.
[16] https://wid.world/fr/donnees/
[17] Marco Salvi, Delle disuguaglianze illusorie, Avenir Suisse, 06.02.2024.
[18] Administration fédérale des contributions AFC (a cura di Rudi Peters), L’inégalité régionale des revenus en Suisse. Un regard rétrospectif sur les données fiscales de 2010 à 2019, Berna, 05.02.2024, p. 33.
[19] Répartition de la richesse en Suisse, Rapport du Conseil fédéral en réponse au postulat du 7 décembre 2010 déposé par Jacqueline Fehr (10.4046), Berna, 27.08.2014, p. 50.