Il fenomeno del “rossobrunismo”, da sempre presente nella sinistra internazionale (in particolare a partire dal “terzo periodo” dell’Internazionale comunista e dai vari tentativi di accordo tra l’URSS stalinizzata e la Germania nazista, malamente interpretata come “nemica del mio nemico”), nella fase storica presente, quando la fine della Guerra fredda e il crollo del blocco del “socialismo reale” avrebbero imposto un complessivo ripensamento di alcuni paradigmi politici, sembra riprendere piede.
E non lo fa solo, ad esempio in Italia, attraverso iniziative sfacciate come quella dell’abbraccio tra il “partito comunista” di Marco Rizzo e la formazione del fascista “non pentito” Gianni Alemanno, ma anche più in generale con una diffusa volontà di cavalcare bandiere demagogiche più o meno fondatamente ritenute “paganti” sul piano politico ed elettorale.
In Svizzera, ad esempio, assistiamo alla conversione di presunti “comunisti” ai miti della difesa nazionale e della necessità di “difendere la patria”, della “sovranità” e della “neutralità”, quasi sempre a fianco dell’estrema destra UDC.
Così, è interessante prendere in considerazione il modello assunto dal nuovo partito dell’ex dirigente di Die Linke, che è forse quello che più organicamente abbina una proposta economica “di sinistra” con una varietà di posizioni politiche più vicine a quelle della destra.
Un successo della sua lista alle prossime europee potrebbe spingere altre forze di sinistra sulla sua strada. (Red)
Quando nell’ottobre 2023 la deputata tedesca Sahra Wagenknecht ha preso il microfono in una conferenza stampa per spiegare perché stava lasciando Die Linke (La Sinistra), ha affermato che era per lanciare un nuovo partito perché senza un cambiamento radicale, “tra dieci anni non riconosceremo più il nostro paese”. Il suo nuovo partito, la Bündnis Sahra Wagenknecht – Vernunft und Gerechtigkeit (Alleanza Sahra Wagenknecht – Per la Ragione e la Giustizia), si pone come obiettivo di risolvere la crisi esistenziale della Germania.
In un paese che ha costruito il proprio sistema elettorale con l’obiettivo di disincentivare politiche centrate sul carisma personale, dare il proprio nome a un partito è una mossa in controtendenza. Altrettanto degna di nota è stata la decisione della Wagenknecht di rinunciare all’etichetta di “sinistra”, un termine, a suo dire, oggi più associato a questioni quali l’identità di genere e il razzismo piuttosto che all’impegno contro le disuguaglianze sociali e che per questo contribuirebbe ad allontanare che ad attrarre elettori. Portando con sé altri nove deputati di Die Linke, la Wagenknecht ha fatto in modo che il suo ex partito non fosse più abbastanza grande da poter continuare ad essere riconosciuto come gruppo parlamentare a pieno titolo, perdendo non solo i finanziamenti federali ma anche il diritto di godere del diritto ad ampi interventi parlamentari.
Wagenknecht faceva parte di Die Linke, e dei partiti che l’hanno preceduta, dal 1989 ed è stata senza dubbio una dei dirigenti più importanti. È tuttora ospite regolare dei talk show, autrice di bestseller e abile utilizzatrice dei social media, con oltre 650’000 iscritti al suo canale YouTube. Negli ultimi anni, ha costruito la sua reputazione sul suo dissenso da quelli che considera gli stereotipi della sinistra tedesca in materia di genere, razza, clima e altro. Si è costruita un’immagine di paladina della classe operaia tedesca abbandonata dai politici tradizionali. L’Alleanza di Sahra Wagenknecht, che secondo i primi sondaggi potrebbe conquistare fino al 20% dei voti alle elezioni nazionali, fa riferimento su un modello che ha trovato consenso nelle varie sensibilità della sinistra in tutto il Nord globale: proposte economiche sinistra abbinate a una serie di posizioni politiche orientate a destra.
L’ascesa di Wagenknecht alla ribalta politica segue il percorso tortuoso della sinistra tedesca dalla fine della Guerra Fredda. All’età di diciannove anni entra a far parte del Partito di Unità Socialista della Germania dell’Est (la SED). Dopo la caduta del muro e l’implosione della DDR, la SED assume la nuova denominazione di Partito del Socialismo Democratico (PDS). Studentessa universitaria all’epoca, Wagenknecht fu eletta nel comitato nazionale del PDS e si unì alla sua frazione “marxista-leninista”, la cosiddetta Piattaforma Comunista.
Scoprendo che il suo impegno comunista era ormai fuori moda in un sistema universitario che aveva epurato i docenti provenienti dalle facoltà umanistiche della Germania Est, sfruttò la sua nuova libertà di movimento per iscriversi all’Università di Groningen, in Olanda, con una tesi di master sull’interpretazione di Hegel da parte di Marx.
Allo stesso tempo, il suo paese stava attraversando una dura transizione economica. I politici dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU/CSU) della Germania Ovest avevano promesso che una rapida riunificazione sotto l’egida del capitalismo avrebbe portato ad un “futuro paradisiaco”; ma l’agenzia statale creata per privatizzare l’economia della Germania Est si trovò a dover affrontare un compito impossibile. La Germania riunificata doveva privatizzare quasi 8’000 imprese che davano lavoro a oltre 4 milioni di persone, in un momento in cui molti dei suoi vicini stavano facendo lo stesso. Sebbene i politici avessero previsto che la privatizzazione avrebbe creato profitti per 600 miliardi di marchi, lo stato accumulò invece un debito di 250 miliardi di marchi e licenziò 2,5 milioni di lavoratori.
La brutale incorporazione dell’Est nell’economia capitalista creò un doppio shock che si ripercosse a Ovest. Nel 1997 la Germania unificata aveva un tasso di disoccupazione dell’11,7%, distribuito in modo disomogeneo nel paese, con il 9,9% di disoccupati nell’ex Ovest e il 19,2% nell’ex Est. Nonostante il centrodestra avesse condotto campagne contro il ritorno in politica dei “calzini rossi” del Partito di Unità Socialista, il PDS ottenne il 5,1% (a livello nazionale) alle elezioni del 1998, quasi tutti nell’ex Est. I socialdemocratici di centro-sinistra (SPD) sfruttarono la frustrazione di tutto il paese e vinsero le elezioni.
Il cancelliere Gerhard Schröder iniziò allora una collaborazione con Tony Blair per spingere l’Europa a percorrere la cosiddetta “terza via” attraverso le sfide della globalizzazione: ridurre le imposte, liberare le aziende dalle regolamentazioni, incoraggiare l’imprenditorialità e introdurre programmi di welfare-to-work. Tuttavia, nonostante la svolta neoliberista della SPD, il PDS ha continuato a faticare nel presentarsi come una valida alternativa, in particolare a causa della lunga ombra della dittatura della Germania Est.
Nel 2001, il PDS cercò di anticipare una delle questioni più divisive di questa eredità, rilasciando una dichiarazione di condanna degli omicidi avvenuti attorno al Muro di Berlino. “Nessuno stato dovrebbe costringere i suoi cittadini a viverci, quando non lo vogliono”, si leggeva nella dichiarazione. “Ognuno ha una sola vita e deve poter decidere autonomamente dove trascorrerla”. La Wagenknecht si dissociò, unico membro del comitato direttivo del partito a farlo, consolidando in questo modo la propria reputazione di “donna di fuoco”. Tuttavia, la dichiarazione non riuscì a salvare il PDS, che l’anno successivo scese al di sotto della soglia del 5% dei voti necessaria per garantire la sua presenza in Parlamento.
La riforma del welfare arrivò poco dopo. Il piano Hartz IV, con lo slogan “Pretendere e incoraggiare”, prevedeva che i beneficiari del welfare dovessero dimostrare di essere attivamente alla ricerca di un lavoro incontrando regolarmente un consulente dei Job Center. Questi consulenti erano in grado di negare i sussidi ai beneficiari che si rifiutavano di accettare un lavoro. La nuova politica sembrò un tradimento dei principi tradizionali a molti membri della SPD, e alcuni di loro reagirono lasciando il partito e alleandosi con quel che restava del PDS. Questa nuova alleanza ottenne l’8,7% dei voti nel 2005, decidendo poi di fondersi formalmente in un nuovo partito. Die Linke ha potuto così beneficiare di un’ondata di malcontento dopo la crisi finanziaria globale, riuscendo ad ottenere oltre l’11% dei voti nel 2009, l’anno in cui Wagenknecht è passata dalla leadership del partito al Parlamento. Die Linke è rimasta comodamente sopra la soglia del 5% per le successive due elezioni federali, anche se è rimasta più radicata nell’ex Est che nell’ex Ovest.
Wagenknecht ha lavorato in Parlamento mentre conseguiva il dottorato in economia con una tesi sui modelli di spesa delle famiglie negli Stati Uniti e in Germania e scriveva il suo primo bestseller, Freiheit statt Kapitalismus (Libertà contro Capitalismo, 2012). Nel libro, l’autrice sostiene che la Repubblica Federale si è smarrita dai tempi dell’ordoliberalismo di metà secolo, quando lo stato era più disposto a intervenire nell’economia e a distruggere i monopoli in nome della concorrenza leale. L’autrice critica la risposta della Germania alla crisi dell’euro, considerandola la prova che una nuova forma di capitalismo oligarchico in balia dei mercati finanziari ha distorto i meccanismi di mercato, provocando la vanificazione dell’innovazione, la disuguaglianza di reddito, la crescita del lavoro precario e la scomparsa della classe media.
Uno degli eroi di questa narrazione è Ludwig Erhard, ministro dell’Economia dal 1949 al 1963. Nel libro, la Wagenknecht si concentra sulla sua forte regolamentazione dei monopoli e delle istituzioni finanziarie, ma il resoconto della sua politica è incompleto. In particolare, tralascia le sue posizioni sulla migrazione. Non fa riferimento, ad esempio, al fatto che nel 1955 Erhard convinse il cancelliere Konrad Adenauer che il reclutamento di lavoratori all’estero era una soluzione migliore per il rigido mercato del lavoro tedesco, preferibile rispetto ad incoraggiare le donne sposate a entrare nel mercato del lavoro; né ricorda il fatto che, da cancelliere, a metà degli anni Sessanta Erhard supervisionò l’espansione del programma denominato “lavoratori ospiti”.
Come la maggior parte dei politici tedeschi della sua generazione, la Wagenknecht non ha avuto molto da dire sull’immigrazione fino all’estate del 2015, quando la cancelliera Angela Merkel ha sospeso il regolamento di Dublino (che obbliga i richiedenti asilo a fare domanda di asilo nel primo stato dell’UE che raggiungono). In seguito, oltre 1 milione di richiedenti asilo sono arrivati in Germania.
Da allora, la migrazione è diventata un inevitabile punto di scontro della politica tedesca. L’Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania-AfD), partito di destra fondato come partito euroscettico, ha criticato aspramente le politiche migratorie della Merkel e ha raccolto consensi elettorali. I suoi maggiori successi sono arrivati nell’ex Germania dell’Est, dove la percentuale di voti per Die Linke è diminuita nel corso delle elezioni successive, mentre quella dei voti per l’AfD è andata crescendo sempre più.
La Wagenknecht è stata una delle prime ad esprimere critiche alle politiche migratorie della Merkel, sostenendo che l’ex cancelliera aveva accolto i richiedenti asilo senza fornire le risorse finanziarie necessarie per accoglierli a livello locale. Questo argomento ha portato la Wagenknecht a un crescente conflitto con il suo stesso partito, così come la sua risposta alla pandemia COVID-19: si è vantata di non essere stata vaccinata e si è battuta contro i vaccini e l’utilizzazione delle mascherine.
I conflitti tra la Wagenknecht e gran parte del resto di Die Linke erano già avanzati quando, nel 2021, ha pubblicato il suo ultimo libro, Die Selbstgerechten. Mein Gegenprogramm – für Gemeinsinn und Zusammenhalt (Gli ipocriti. Il mio controprogramma, per lo spirito comunitario e la coesione). In esso accusa la leadership del partito di ignorare gli elettori della classe operaia a favore di una “clientela accademica” che promuove “un linguaggio attento al genere e ai prodotti biologici costosi”. Trova particolarmente insopportabili gli attivisti per il clima, soprattutto i Klimakleber (letteralmente gli “incollatori di clima”, in riferimento ai militanti ambientalisti che si incollano sulle autostrade e sulle piste di decollo e di atterraggio durante manifestazioni di protesta e che fanno notizia). Analogamente, sostiene che gli studenti dei Fridays for future ricevono troppa attenzione dai media. Il suo disprezzo per l’attivismo climatico l’ha allineata all’estrema destra, che sostiene che bruciare combustibili fossili sull’autostrada sia un diritto “naturale” di ogni tedesco.
In un’altra parte del libro, la Wagenknecht si impegna a fondo per spiegare la rabbia della classe operaia nei confronti dell’immigrazione. Sostiene che è naturale che gli elettori si rifiutino di aumentare i sussidi sociali quando la maggior parte di coloro che li ricevono ha un “background migratorio”, secondo il linguaggio preferito dallo Stato. Non affronta il fatto che gli aspetti più odiati della riforma del workfare sono stati introdotti principalmente come risposta alla disoccupazione nell’ex Germania dell’Est, non come risposta all’immigrazione e che lo stato è perfettamente in grado di infliggere sofferenze economiche agli autoctoni.
La Wagenknecht impiega più tempo a incolpare i “laureati dalle diete vegane” per le difficoltà della classe operaia che a parlare di questioni come la clausola dello Schwarze Null (lo “zero nero”, la modifica apportata nel 2009 all’articolo 115 della Costituzione tedesca, che impegna lo stato al pareggio di bilancio). La Germania ha deciso di sospendere la clausola in risposta alla pandemia COVID-19 del 2020, ma in seguito è stata ripristinata con effetti devastanti. Invece, nel suo libro, Wagenknecht menziona la clausola solo in una pagina, mentre l’ostacolo principale alla costruzione di alloggi più accessibili, all’aumento del salario minimo di 12 euro l’ora e alla creazione di uno stato sociale più solido e meno punitivo passano in secondo piano.
Il libro Die Selbstgerechten è stato pubblicato poco prima delle elezioni federali del 2021, le prime dopo il ritiro della Merkel dopo sedici anni di potere. Era un momento in cui il futuro politico appariva radicalmente aperto, soprattutto dopo che la CDU/CSU e la SPD si erano impegnate a non partecipare a un’altra futura grande coalizione.
Sulla scia del dissenso pubblico di Wagenknecht, Die Linke ha ottenuto un misero 4,9% dei voti nel 2021 ed è rimasta in Parlamento solo perché è riuscita ad imporsi in tre circoscrizioni locali. I socialdemocratici hanno ottenuto la maggioranza dei voti, pari al 25,7%, e con essa il diritto di nominare il nuovo cancelliere, Olaf Scholz, che si è ispirato alla Merkel al punto da imitare spesso il suo gesto più famoso, il cosiddetto “diamante della Merkel” (il gesto reso famoso dalla ex cancelliera quando accostava le mani davanti all’addome, NdT).
Scholz ha poi negoziato una cosiddetta “coalizione semaforo” con i “gialli” del FDP, i “liberal democratici”, un partito favorevole all’economia che ha svolto il ruolo di ago della bilancia nei primi quarant’anni di esistenza della Repubblica Federale, e con i Verdi, apparsi sulla scena in politica negli anni Ottanta come partito incentrato sull’attivismo antinucleare e per la pace, ma che da allora hanno ampliato il loro orientamento verso generiche posizioni di centro-sinistra.
La coalizione del semaforo ha iniziato con piani ambiziosi, tra cui la revisione delle odiate riforme Hartz IV. La coalizione è riuscita a far passare una proposta che ha ribattezzato con la definizione di “denaro dei cittadini” (Bürgergeld) quello che prima veniva definito il sistema di assistenza sociale – il nome precedente era diventato un crudele insulto contro la classe operaia -, ha innalzato la soglia minima delle prestazioni e ha leggermente ammorbidito i requisiti lavorativi che avevano reso la precedente versione particolarmente punitiva. Ma i piani più ampi della coalizione sono stati stravolti dagli eventi recenti, in particolare dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, che ha esacerbato ogni linea di faglia preesistente nella politica tedesca.
La guerra ha portato la Wagenknecht ad assumere una serie di posizioni che hanno ulteriormente diviso la sinistra. Sostiene che la Germania dovrebbe continuare ad acquistare gas dalla Russia e che la partecipazione alle sanzioni economiche contro la Russia rappresenta “una guerra economica senza precedenti”. Ritiene che la Germania debba interrompere le forniture di armi e negoziare con la Russia. Ha inoltre dichiarato che la Germania dovrebbe imporre un limite massimo al numero di migranti provenienti dalle zone di guerra ed essere pronta a rimandarli indietro non appena cesseranno i bombardamenti. In occasione dell’anniversario dell’invasione, ha organizzato una “manifestazione della pace” a Berlino, sostenendo che fornire all’Ucraina jet da combattimento avvicina la Germania al rischio di una guerra nucleare.
Le argomentazioni della Wagenknecht sul gas russo hanno indotto due membri di Die Linke a dimettersi per protesta. Nell’estate del 2023, alcuni membri del partito si riferivano a lei come “Colei che non deve essere nominata”. Die Linke ha inviato un messaggio forte quando ha deciso di candidare Carola Rackete (nota soprattutto per il suo lavoro con Sea-Watch, una ONG che naviga su navi di salvataggio nel Mediterraneo per salvare i migranti dall’annegamento) alle elezioni europee del 2024.
Dopo una serie di sondaggi incoraggianti che suggerivano che fino al 20% dei tedeschi avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di votare per un suo partito, lo scorso ottobre Wagenknecht ha infine annunciato la fine del suo rapporto con Die Linke. La Wagenknecht ritiene che la sua concezione di un ordoliberalismo autoctono possa attrarre gli elettori che amano le politiche dell’AfD sull’immigrazione (meno) e sulle importazioni di gas russo (più), ma che si sentono a disagio a sostenere un partito come l’AdF che ha ripetutamente mostrato un debole per la violenza teppistica, il neonazismo appena dissimulato e le richieste di legalizzare il negazionismo sull’Olocausto.
Potrebbe anche riuscire a strappare elettori all’AfD con la sua politica economica. Sebbene entrambi i partiti siano sciovinisti in materia di politica sociale, hanno visioni diverse su come finanziare tale politica. Ralph Suikat, tesoriere del partito di Wagenknecht, è un imprenditore noto soprattutto per aver sostenuto l’aumento delle imposte per i ricchi, mentre l’AfD ha chiesto di eliminare l’imposta di successione e di ridurre quelle sui ricchi. Ha lanciato il partito in un momento opportuno per testare la sua teoria elettorale; le prossime quattro elezioni in calendario includono il voto per il Parlamento europeo, che di solito è un’elezione a bassa affluenza in cui i cittadini esprimono voti di protesta, e tre elezioni in stati dell’ex Germania dell’Est.
Quando la Wagenknecht ha annunciato il nuovo partito, una dimensione del suo singolare fascino si era appena affievolita: lo scorso autunno, i politici di ogni partito si sono affrettati a presentarsi come difensori di atteggiamenti più duri in materia di immigrazione. Il vicepresidente del FDP ha persino ventilato l’idea di fissare percentuali massime di stranieri residente in ogni quartiere cittadino.
Nel frattempo, i piani di riforma della legge sulla cittadinanza per consentire a un maggior numero di persone di acquisire la doppia cittadinanza – una misura che aiuterebbe molti migranti – sono stati ritardati perché i politici della CDU/CSU hanno spinto per far dipendere la naturalizzazione dall’impegno del richiedente nei confronti del diritto all’esistenza di Israele. Hanno sostenuto che la loro legge è una risposta all’aumento dell’antisemitismo, anche se i dati ufficiali indicano che oltre l’80% degli attacchi antisemiti in Germania sono commessi da attivisti di estrema destra, non da migranti.
Il Cancelliere Scholz, da parte sua, ha dichiarato a Der Spiegel: “Dobbiamo deportare di nuovo e in grande stile” i migranti che non sarebbe in regola. Ha approvato una nuova legge per raggiungere questo obiettivo. Ha utilizzato una visita di stato in Nigeria per cercare di ottenere un accordo per la deportazione di oltre 10’000 nigeriani e ha rilanciato l’idea dei centri di detenzione in paesi terzi.
Anche se la netta condanna dell’immigrazione non la contraddistingue più, la Wagenknecht non avrà problemi a trovare altri modi per attirare l’attenzione. Sostiene una serie di politiche economiche che si discostano dalla politica della coalizione “semaforo”, tra cui le imposte sui milionari per finanziare la spesa sociale. La sua popolarità riflette un genuino e giustificato malcontento nei confronti dello status quo. L’ex Germania Ovest è diventata quella che il sociologo Oliver Nachtwey definisce una società “a scala mobile verso il basso”, dove la mobilità sociale procede al contrario. La politica climatica dello stato si è concentrata su soluzioni individualizzanti che fanno ricadere il costo della transizione sui consumatori piuttosto che sui produttori. E nessun partito ha capito come parlare di migrazione senza mettersi nei guai.
I liberali europei sono costretti a lottare con una contraddizione nel loro approccio alla mobilità umana: in base a quale principio possono condannare gli stati che uccidono le persone che cercano di andarsene, pur mantenendo il confine più letale del mondo per chi cerca di entrare? Wagenknecht è una delle rare figure le cui dichiarazioni pubbliche sono coerenti su questo punto. Dopo aver difeso l’ordine di sparare per uccidere attorno Muro di Berlino, è altrettanto a suo agio con la realtà del “leave-to-drown” (lasciar annegare) nel Mediterraneo.
Poiché la Wagenknecht insiste nel considerare la classe operaia tedesca come autoctona, piuttosto che come operaia, non si confronta mai seriamente con il fatto che più di un residente su quattro in Germania ha un passato da migrante. Ma le sue critiche sono arrivate in parte perché Die Linke è stata sbilanciata e sulla difensiva riguardo alla migrazione.
C’è ancora spazio per un appello più forte all’interesse personale e alla solidarietà: gli immigrati sono un settore vulnerabile della forza lavoro il cui sfruttamento esercita una pressione al ribasso sui salari di tutti.
Nella conferenza stampa di annuncio del suo nuovo partito, la Wagenknecht ha denunciato il fatto che il rinnovato programma di welfare “soldi dei cittadini” fissa ancora un tasso di sussistenza così basso che le persone che lo ricevono spesso lavorano in nero per riuscire a pagare le bollette. Il sistema di welfare tedesco, in altre parole, ha creato regole punitive a cui le persone cercano di sfuggire facendo proprio ciò che il sistema di welfare non vuole che facciano.
Una logica simile è alla base di decenni di tentativi di progettare un sistema di asilo che attragga solo le persone che “partono per le giuste ragioni” – persecuzioni individuali nel loro paese d’origine – mentre esclude coloro che “arrivano per le ragioni sbagliate” – il desiderio di accedere allo stato sociale e al mercato del lavoro tedesco. La coalizione di governo guidata da Scholz sta attualmente cercando di approvare un pacchetto di leggi che consentirebbe ai richiedenti asilo di lavorare in attesa che la loro domanda venga esaminata. Ma per ottenere abbastanza voti per farlo passare, l’incentivo al lavoro sarà quasi certamente progettato a vantaggio dei datori di lavoro, ad esempio chiedendo ai richiedenti asilo di lavorare per niente, o pagando i richiedenti asilo con carte di debito che permettano loro di fare acquisti solo in luoghi specifici, in modo che non possano trasformare il loro denaro in rimesse.
Non sono i richiedenti asilo a danneggiare il lavoratore tedesco. Sono lo stato e i datori di lavoro che ottengono la loro manodopera a un prezzo inferiore al valore di mercato, sfruttando il loro status giuridico incerto. I tentativi di rendere capro espiatorio i migranti e di erodere la loro dignità non possono che intensificare questa tendenza. Ciò che resta di Die Linke ha una possibilità concreta di distinguersi dal gruppo – e forse di rientrare in Parlamento – trovando un modo efficace di parlare di migrazione come di una questione della classe operaia.
Con l’Alleanza di Sahra Wagenknecht sulle schede della prossima tornata elettorale, avremo la possibilità di vedere se il suo marchio di nazionalismo economico funziona come strategia elettorale. Se la sua scommessa si rivelerà azzeccata e il suo partito riuscirà a entrare in una coalizione in uno degli stati della Germania orientale, avremo la possibilità di vedere come funziona il suo programma di governo.
Allora avremo una risposta a un’altra domanda: la Wagenknecht ha un piano valido per rimediare alle disuguaglianze sociali in Germania, o possiede semplicemente un’impressionante capacità di generare una lista di capri espiatori? Se Scholz porterà a termine la sua promessa di “deportare in grande stile”, la Wagenknecht potrebbe scoprire che le mancheranno i migranti quando se ne saranno andati.
* docente di storia alla Northwestern University e autrice di Fear of the Family, Guest Workers and Family Migration in the Federal Republic of Germany (Oxford, 2022). La versione originale inglese di questo articolo è apparsa su dissentmagazine.org.