Il fabbisogno di metalli in tutti i settori industriali è immenso. Il controllo della loro produzione è diventato una questione geopolitica. L’attività mineraria sta diventando un imperativo di interesse pubblico.
Il capitalismo è stato in grado di rendere invisibile l’attività mineraria trasferendo la maggior parte delle miniere. Oggi, la ripresa dell’attività mineraria (nelle vecchie miniere) e l’industrializzazione di nuovi territori stanno riportando alla ribalta i suoi effetti distruttivi.
L’estrazione e la lavorazione delle risorse naturali – combustibili fossili, metalli, biomasse, sabbia – contribuiscono alla triplice crisi della natura, dell’inquinamento e dei rifiuti. Gli impatti (nel Sud) e gli usi (nel Nord) sono profondamente diseguali.
Una corsa in avanti in nome della transizione
Ma i gruppi minerari e i governi hanno sviluppato una nuova narrazione per giustificare questa vasta e brutale corsa all’estrattivismo. Il successo della “transizione energetica” richiederebbe una completa elettrificazione della società (automobili, batterie, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, migliaia di chilometri di cavi) e una digitalizzazione diffusa, definita “dematerializzazione”: 5G, presto 6G, oggetti connessi (14 miliardi venduti entro il 2022), smartphone (7 miliardi di persone li possiedono e li rinnovano ogni due anni), e lo sviluppo irragionevole dell’“intelligenza artificiale”.
Questa corsa sfrenata richiede quantità gigantesche di metalli (60 metalli rari in uno smartphone, 70 kg di materiali necessari per tutta la vita dell’oggetto), la fabbricazione di “chip” (che consumano e inquinano più di 200 litri di acqua al secondo), la circolazione e l’archiviazione dei dati nei data center (che utilizzano acqua ed elettricità per raffreddarli).
Miniere per salvare il clima?
“Miniere per salvare il pianeta” è diventato lo slogan di una gigantesca operazione di greenwashing! La posta in gioco è la crescita continua di tutti i settori industriali (aeronautica, armi, costruzioni, trasporti, agroalimentare, ecc.). La loro cosiddetta “transizione energetica” sta diventando un paravento per il perseguimento della crescita capitalistica a tutti i costi!Per Célia Izoard, che ha appena pubblicato La ruée minière au XXIe siècle (1), “la miniera è l’epicentro dell’accumulazione per esproprio”. Le miniere giganti divorano acqua, aria, terra, flora e fauna a grande velocità. “Per le aziende del settore, i conflitti ambientali sono il principale fattore di rischio dell’attività mineraria, molto prima della gestione del lavoro o dei costi di produzione”.
Un’attività mineraria irresponsabile
Simbolo del capitalismo estrattivo e coloniale, l’attività mineraria è oggi oggetto di un’operazione di mistificazione. L’apertura di miniere in Europa non rallenterà lo sviluppo di miniere altrove.
Standard ambientali “migliori” non eviteranno laghi di sterili, inquinamento o contaminazione delle acque, siccità o danni alla biodiversità. Non ci sarà un’attività mineraria sostenibile e responsabile.L’elettrificazione del sistema energetico globale e la digitalizzazione delle nostre vite non elimineranno le emissioni di carbonio, anzi. Ridurre la nostra dipendenza dai metalli è essenziale quanto abbandonare i combustibili fossili.
Possiamo contare sulle energie rinnovabili solo riducendo drasticamente la produzione e il consumo. E questo richiede grandi sconvolgimenti che le élite del capitalismo globalizzato si rifiutano di fare.
*articolo apparso su Hebdo L’Anticapitaliste il 2 maggio 2024. La traduzione è stata curata dal segretariato MPS
1. Célia Izoard, La ruée minière au XXIe siècle, Enquête sur les métaux à l’ère de la transition, Éditions du Seuil, 2024.