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Tutto come previsto. L’estrema destra, nazionalista, “euroscettica”, post-nazifascista, più o meno apertamente filo-putiniana, seguendo il pessimo “esempio” italiano ha registrato una netta crescita nelle elezioni europee, in particolare in Germania, Francia, Olanda e Austria, ma risultati significativi sono stati raccolti un po’ in tutti i paesi.

La cosa in Francia ha già provocato un vero e proprio terremoto politico, con lo scioglimento dell’assemblea nazionale. In maniera meno politicamente istantanea, ma altrettanto violenta, il sisma ha coinvolto anche la Germania, dove il governo “rosso-giallo-verde” è stato clamorosamente sconfessato dall’elettorato. Ma il terremoto rischia di estendersi a tutte le istituzioni della UE, con la grande incertezza sulla sua futura direzione politica, e con un’unica certezza: che essa sarà ancor più gravemente spostata a destra.

L’incertezza per quel che riguarda le istituzioni comunitarie di Bruxelles non è tanto numerica. 

Infatti, i due gruppi Identità e Democrazia (ID) e i Conservatori Riformisti Europei (ECR), che si spartiscono le adesioni di tutti i vari partiti nazionali  dell’estrema destra, conquisterebbero rispettivamente 58 e 73 seggi, per un totale di 131 seggi su 720. La “maggioranza Ursula”, quella che nel 2019 consentì l’elezione della presidente uscente Von Der Leyen, sembrerebbe salvaguardata. Il Partito Popolare Europeo (PPE) otterrebbe 185 seggi, i “progressisti” dei Socialisti e Democratici (S&D) avrebbero 137 seggi, Renew Europe ne avrebbe 79, per un totale di 401 voti, ampiamente al di sopra dei 361 necessari per ottenere la maggioranza nel parlamento di Strasburgo, voti che potrebbero crescere fino a 453 se anche i Verdi/Alleanza libera europea (Verdi/EFA), con i loro 52 seggi, sostenessero anch’essi la rielezione della Von Der Leyen.

Ma il problema è quello di una maggioranza che così escluderebbe i partiti dominanti in due dei paesi principali dell’Unione, quello di Giorgia Meloni, per quel che riguarda l’Italia, e soprattutto il Rassemblement National di Marine Le Pen e di Jordan Bardella, che del tutto prevedibilmente assumerà il governo di Parigi a partire dal prossimo 7 luglio.

Sia Fratelli d’Italia sia i postfascisti francesi avevano a più riprese dichiarato di non voler “governare in Europa” con i socialisti. Ma potrà la commissione europea spingere questi due partiti all’opposizione? Che ruolo avranno i commissari europei che secondo le norme saranno nominati dai governi di Roma e di Parigi al posto di Paolo Gentiloni (commissario all’economia uscente) e di Thierry Breton (attuale commissario per il mercato interno)? 

Durante la gestione Von Der Leyen, solo un commissario non apparteneva alla “sua maggioranza”, quello ungherese, a cui era stata affidata una “direzione generale” di secondaria importanza (quella dell’agricoltura), cosa che naturalmente sarà difficilmente praticabile con i commissari indicati dai governi di due paesi demograficamente, politicamente e economicamente del peso di Francia e Italia.

Peraltro, l’accordo a geometria variabile aveva già coinvolto nel 2019 qualche deputato polacco formalmente aderente al gruppo ECR, ma che aveva tatticamente partecipato alla “maggioranza Ursula”.

Non a caso, si ha notizia di ripetuti colloqui informali tra Ursula Von Der Leyen e Giorgia Meloni. 

La discussione per la formazione della nuova commissione europea dovrà necessariamente tenere conto non solo dei dati numerici, ma soprattutto del fatto che una parte significativa delle classi dominanti del continente, dopo le incertezze e le esitazioni iniziali, ha ora con convinzione scelto di sostenere l’ascesa al potere delle formazioni di estrema destra, ritenendole utili per perfezionare e completare la loro controrivoluzione neoliberale.

L’esempio “virtuoso” dato in Italia da Giorgia Meloni nei suoi 20 mesi di governo, con il suo esibito atlantismo, con l’accantonamento di tutta la paccottiglia demagogica delle campagne elettorali e con la sua realistica adesione al nuovo patto di bilancio e a quello sul diritto d’asilo, con l‘uso sempre più autoritario delle “forze dell’ordine”, con i suoi progetti di “superamento della costituzione” postbellica, considerata “anacronistica” con i suoi proclami egualitari, oltre che conquistare un sempre più deciso sostegno delle classi dominanti italiane, ha anche rassicurato ampia parte delle classi dominanti degli altri paesi dell’Unione, che hanno verificato sul “campo italiano” che l’estrema destra non è poi quello spauracchio destabilizzante che può sembrare.

Venendo ai risultati italiani, occorre osservare un ulteriore scatto in avanti dell’astensionismo. Rispetto alle politiche del 2022 si sono recati alle urne quasi 5 milioni di elettrici ed elettori in meno. Anche rispetto alle europee di cinque anni fa, la partecipazione è sensibilmente calata: 3 milioni e mezzo di votanti in meno.

Questo dato consente di ridimensionare il “successo” di Giorgia Meloni, del suo partito e della sua coalizione. Fd’I, raccoglie il 28,8% dei voti, ma perde circa 600.000 voti rispetto alle politiche del 2022 e l’intera coalizione del centrodestra perde un milione e 250.000 voti.

La crescita del PD, al contrario, è significativa sia in percentuale che in voti effettivi. Infatti il suo 24,1% corrisponde anche a una crescita di circa 300.000 voti.

Questo fatto è conseguenza di un insieme di fattori: certamente il maggiore appeal popolare e democratico della leadership di Elly Schlein, la sua testarda volontà di raggruppare la variegata e litigiosa opposizione al governo Meloni, ma anche una apparente minore rissosità interna al partito, ad un apparato che, dietro il comodo schermo della giovane segretaria e del suo inconsueto attivismo sociale, continua a gestire abbastanza indisturbato fette rilevanti di potere attraverso migliaia di amministratori locali.

Il Movimento 5 Stelle, anche a causa della bassissima affluenza al voto nel Sud e nelle isole (dove il partito di Conte raccoglie gran parte dei suoi consensi), dimezza il suo già non esaltante risultato del 2019, sia in percentuale che in voti effettivi, perdendone circa 2,2 milioni.

Guardiamo poi a quel che avviene nella sinistra dello schieramento politico europeo. Avevamo già avuto modo anni fa di rilevare come il significativo e positivo risultato della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon alle presidenziali e alle politiche francesi del 2022 fosse in qualche misura segnato da concessioni al nazionalismo e al “sovranismo di sinistra”. L’esempio di Mélenchon è stato seguito e implementato in Germania da Sahra Wagenknecht, che nell’autunno dello scorso anno, dopo aver rotto con Die Linke, ha fondato la sua alleanza BSW, con un’impostazione nazionalista e sovranista ancor più marcata e per certi versi rivendicata.

L’obiettivo dichiarato della BSW era quello di tentare di sottrarre così voti alla crescente presa popolare dei neonazisti dell’AfD (Alternative für Deutschland). L’“Alleanza Sahra Wagenknecht” (Bündnis Sahra Wagenknecht-BSW) ha ottenuto in queste elezioni europee un buon risultato, pari al 6,2% dei voti, più di quanto ottenuto dal partito Die Linke nella precedente tornata del 2019. I risultati però non sembrano dar ragione al progetto di sottrarre voti all’AfD. Infatti, secondo gli analisti, i voti del BSW sembrano in larghissima parte tolti proprio a Die Linke (che infatti ha dimezzato i suoi voti e è passata dal 5,5% al 2,7%) e ai socialdemocratici dell’SPD e solo in minima parte (poco più di 100.000) all’AfD. 

Il programma politico del BSW, ad esempio in ambito di immigrazione, ha una caratterizzazione conservatrice, sostiene che le procedure per la concessione dell’asilo o della protezione si svolgano alle frontiere esterne dell’UE o, meglio ancora, in paesi terzi, esprime un parziale negazionismo sulle urgenze climatiche e chiede la completa cessazione della fornitura di armi all’Ucraina e la cancellazione delle sanzioni contro la Russia.

Peraltro uno dei motivi della rottura con la Linke è stata proprio la scelta di quel partito di presentare come candidata per le europee Carola Rackete, la volontaria impegnata nel salvataggio dei migranti che naufragano nel Mediterraneo e che, proprio per questo, è uno dei capri espiatori del razzismo dell’estrema destra tedesca, così come lo fu nel 2018 del razzismo di Salvini. 

La BSW, i cui europarlamentari non aderiranno al gruppo GUE/NGL, sembra voglia costituire un nuovo gruppo a cui forse aderiranno anche gli eletti italiani del Movimento 5 Stelle.

In Italia abbiamo, assistito anche se in sedicesimo, ad un’operazione analoga di trasformismo qualunquistico, con la creazione della lista promossa da Michele Santoro “Pace Terra Dignità”, il cui profilo programmatico è stato ancor più aclassista di quello della BSW, ma altrettanto antiucraino e filoputiniano. Ha utilizzato lo strumento dell’apparato organizzativo e militante del partito della Rifondazione comunista per superare l’antidemocratica norma della raccolta firme ma anche come copertura a sinistra al fine di celare la presenza di candidati di destra e per cercare di acquisirne il “tesoretto elettorale”. Ma senza grande successo.

I risultati sono sostanzialmente analoghi a quelli raccolti dalla lista “La sinistra” nelle europee del 2019 e da “Unione popolare” nelle politiche del 2022. C’è una piccola crescita percentuale ma in gran parte dovuta alla minore affluenza alle urne e, comunque, largamente insufficiente a superare la soglia di sbarramento del 4%.

L’unico dato positivo del voto di sabato e domenica in Italia è stata l’elezione al parlamento di Ilaria Salis e di Mimmo Lucano, che rappresenta uno schiaffo al neofascismo e al razzismo tanto più presenti nelle istituzioni comunitarie a seguito della crescita dell’estrema destra continentale. Il significativo risultato delle liste dell’Alleanza Verdi-Sinistra che cresce in percentuale e in voti è in grandissima parte dovuta al “voto di scopo” di decine e decine di migliaia di elettrici e di elettori (tra cui anche il sottoscritto) che hanno voluto mandare questi due compagni nel parlamento di Strasburgo.

E’ difficile allo stato attuale dei dati valutare l’orientamento del voto giovanile. Ma voglio solo riportare un dato. Il voto dei “fuori sede” contabilizzato dal ministero degli Interni e che, in certa parte, corrisponde anche al voto di giovani studenti che appunto hanno chiesto di votare “fuori sede”. Si tratta solo di 17.442 voti. Ma è comunque significativo che abbiano per il 40,3% votato per AVS (25,5% per il PD, 1,7% per PDT e solo 3,4% per Fd’I).

Certo, in questo modo abbiamo anche immeritatamente premiato il duo Bonelli-Fratoianni e la loro coalizione opportunista. Ma sono decenni che votiamo liste di cui condividiamo poco o niente. E spesso ci siamo domandati: “Ma perché l’ho fatto?”

Stavolta il perché c’era. Anzi, ce ne erano due: Ilaria e Mimmo.

*articolo apparso sul sito refrattario e controcorrente