Pubblichiamo un interessante articolo di Melvin A. Goodman, del Center for International Policy e professore alla Johns Hopkins University, ex analista della CIA, autore di numerosi volumi sullo spionaggio e sulla politica americani, editorialista di Counterpunch.org. In questo articolo illustra con diversi esempi storici come Israele riesca a dominare il suo padrone statunitense. Un po’ come un cane che domina il suo proprietario.
Nel 1955, il primo ministro israeliano David Ben-Gurion ebbe a dire: “Lo stato di Israele non sarà giudicato per la sua ricchezza, né per il suo esercito, né per la sua tecnologia, ma per il suo carattere morale e i suoi valori umani”.
Solo 12 anni dopo, durante la “Guerra dei Sei Giorni”, l’8 giugno 1967, l’IDF, le Forze di Difesa Israeliane, attaccò brutalmente l’USS Liberty, la nave spia dell’intelligence navale statunitense distaccata alla National Security Agency (NSA, il controspionaggio americano) con il compito di intercettare le comunicazioni in Medio Oriente. Trentaquattro marinai americani furono uccisi nell’attacco e 171 furono feriti da aerei da combattimento Mirage privi di contrassegno e che usavano cannoni e razzi. Anche alcune imbarcazioni israeliane spararono con mitragliatrici a distanza ravvicinata contro i soccorritori, tra cui una nave sovietica che stava cercando di salvare i marinai statunitensi; mitragliarono le zattere di salvataggio che i sopravvissuti avevano calato nella speranza di riuscire ad abbandonare la nave. Gli israeliani hanno immediatamente definito il disastro un “incidente fortuito”. In realtà non fu “fortuito” e non fu un “incidente”, anche se l’indagine dell’NSA sull’assalto rimane tuttora riservata.
La doppiezza israeliana nei rapporti con gli Stati Uniti si era manifestata già nel 1955, quando agenti dei servizi segreti israeliani bombardarono una biblioteca statunitense ad Alessandria d’Egitto e il governo israeliano attribuì la colpa ad agenti egiziani. Questa azione segreta era stata concepita per impedire agli Stati Uniti di finanziare la diga di Assuan in Egitto. Diversi decenni dopo, i servizi segreti israeliani reclutarono un ufficiale dei servizi segreti della marina statunitense, Jonathan Pollard, per fornire informazioni sensibili sugli Stati Uniti, nonostante le numerose informazioni che la CIA, la Central Intelligence Agency condivideva con Israele.
Pollard vendette numerosi segreti di Stato, tra cui il manuale in dieci volumi dell’NSA su come gli Stati Uniti raccolgono i loro segnali di intelligence, nonché i nomi di migliaia di persone che avevano collaborato e stavano collaborando con le agenzie di intelligence statunitensi. Alcuni dei documenti di Pollard finirono al KGB sovietico e la perdita di informazioni sensibili contribuì al successo di diversi attacchi terroristici palestinesi contro Israele. Gli israeliani hanno sostenuto per anni che l’operazione di Pollard era un affare non autorizzato. Altre bugie.
L’inganno israeliano nelle relazioni con gli Stati Uniti continua ancora oggi. Le armi statunitensi sono state utilizzate illegalmente nelle guerre israeliane, compresi gli attuali attacchi genocidi a Gaza. La tecnologia delle armi statunitensi e le armi stesse sono state fornite a paesi terzi in violazione degli accordi israeliani con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non hanno mai contestato gli odiosi attacchi personali ai propri leader da parte dei leader israeliani, in particolare da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu.
L’attuale guerra a Gaza è ricca di esempi di smentite e spiegazioni israeliane che fanno a pugni con la realtà. Israele ha negato di aver posto limiti agli aiuti umanitari che entrano a Gaza, il che non potrebbe essere più controintuitivo o controfattuale. Le condizioni di carestia nel nord e nel sud di Gaza e altre evidenti prove dimostrano che Israele impedisce ai camion degli aiuti di entrare a Gaza. Né ci sono prove serie sul fatto che gli israeliani siano disposti a indagare sui brutali attacchi che hanno avuto luogo. I portavoce israeliani descrivono l’attuale operazione a Rafah come una “incursione limitata”, affermazione smentita dalle fotografie satellitari che mostrano le forze israeliane avvicinarsi al centro della città, nonché i numerosi edifici crollati e le macerie nelle zone orientali della città.
Secondo il segretario generale di Medici Senza Frontiere, Christopher Lockyear, “lo schema degli attacchi” contro gli operatori umanitari “è intenzionale o indicativo di una sconsiderata incompetenza”. Durante i 16 anni di blocco di Gaza da parte di Israele è stata comunque consentita una situazione alimentare stabile nel territorio, ma ora le Forze di Difesa israeliane guardano dall’altra parte quando gli attivisti della destra israeliana distruggono il cibo destinato ai rifugiati di Gaza.
L’esercito israeliano afferma che “non prenderebbe mai deliberatamente di mira i convogli e gli operatori umanitari”, ma anche questa è una bugia bella e buona. Centinaia di operatori umanitari palestinesi sono stati uccisi, ma solo quando operatori non arabi sono stati uccisi in un attacco deliberato la comunità internazionale ha espresso indignazione. Questo non ha impedito a Netanyahu di affermare che i palestinesi “santificano la morte mentre noi santifichiamo la vita. Loro santificano la crudeltà mentre noi santifichiamo la compassione”.
Il vergognoso attacco della scorsa settimana contro la tendopoli a Rafah è stato l’ultimo esempio della mancanza di pentimento morale di Israele di fronte all’uccidere civili innocenti, a cominciare dai bambini. Le numerose guerre israeliane contro i palestinesi hanno dimostrato con quale facilità Israele distrugge case e uliveti, ma l’aumento delle uccisioni di bambini rivela l’assenza di una qualunque bussola morale tra i leader civili e militari israeliani.
L’imminente anniversario dell’attacco alla USS Liberty ci ricorda che la perfidia israeliana non ha limiti. Nel giugno del 1967 ero un analista junior della CIA e lavoravo alla Guerra dei Sei Giorni. La nostra task force sapeva che l’attacco israeliano era avvenuto dopo sei ore di intensa ricognizione a basso livello. L’attacco stesso fu condotto nell’arco di due ore da aerei da combattimento non contrassegnati. Secondo gli archivi israeliani, almeno uno dei piloti incaricati di attaccare la Liberty comunicò alla base: “Ma, signore, è una nave americana”. Gli fu risposto “Non importa, colpiscila!”.
Ancora oggi Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, sostiene che l’operazione fu un incidente: “C’era molto caos. È stato un classico errore”. Un altro ex ambasciatore negli Stati Uniti, Ron Dermer, uno dei più stretti colleghi di Netanyahu, una volta ha osservato che le Forze di Difesa israeliane dovrebbero ricevere il Premio Nobel per la Pace per l’uso dei colpi di avvertimento detti “bussa dal tetto” prima di distruggere le case che spesso ospitano numerosi membri di famiglie allargate che cercano rifugio. Nessun avvertimento è stato dato ai rifugiati palestinesi nell’accampamento di Rafah. Sia Oren che Dermer sono nati negli Stati Uniti e hanno studiato presso le istituzioni della Ivy League, le più prestigiose università statunitensi.
Nel frattempo, i funzionari statunitensi ai più alti livelli continuano a sostenere che gli israeliani non hanno superato alcuna “linea rossa” nei loro attacchi genocidi a Rafah. John Kirby, il portavoce del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, ha persino sostenuto che l’uso israeliano di armi guidate di precisione a Rafah “indica il desiderio di essere più decisi e precisi nei loro obiettivi”. Quando è stato incalzato, Kirby ha sostenuto con noncuranza di dover disporre di “maggiore documentazione” per spiegare le perdite di civili. Le immagini del palestinese che a Rafah teneva il cervello di una bambina in una mano e una borsa piena di parti del corpo nell’altra dovrebbe essere una “documentazione” più che sufficiente.
Diversi funzionari dell’amministrazione Biden e del Dipartimento degli Stati Uniti hanno rassegnato le dimissioni a causa della complicità degli Stati Uniti con le operazioni genocide israeliane e alla luce della posizione ufficiale degli Stati Uniti secondo cui Israele non avrebbe impedito l’assistenza umanitaria a Gaza. Nel frattempo, il bilancio delle vittime palestinesi sale e le operazioni militari israeliane aumentano, ma il trio Biden, Blinken e Sullivan sostiene che non è stata superata alcuna “linea rossa”.
È ormai tempo che gli Stati Uniti dimostrino apertamente e con decisione la loro repulsione per i crimini di guerra israeliani e pongano fine agli aiuti militari statunitensi che consentono a Israele di proseguire i suoi attacchi genocidi. È anche tempo che gli Stati Uniti esigano pienamente un immediato cessate il fuoco a Gaza. L’uso costante del veto da parte degli Stati Uniti alle risoluzioni per il cessate il fuoco in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è inconcepibile.
* Melvin A. Goodman è senior fellow del Center for International Policy e professore alla Johns Hopkins University. Ex analista della CIA, Goodman è autore di “Failure of Intelligence: The Decline and Fall of the CIA” e di “National Insecurity: The Cost of American Militarism e A Whistleblower at the CIA”. I suoi libri più recenti sono “American Carnage: The Wars of Donald Trump” (Opus Publishing, 2019) e “Containing the National Security State” (Opus Publishing, 2021). Questo articolo è apparso il 31 maggio 2024 sulla rivista americana www.counterpunch.org