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Nella giornata di domenica 2 giugno, 99 milioni di messicani sono stati chiamati alle urne per eleggere il presidente e altre circa 20.000 cariche elettive nazionali e locali, tra cui i 500 deputati, i 128 senatori e i governatori di vari stati e della capitale, Città del Messico. I risultati, ormai quasi definitivi al momento in cui scriviamo, indicano con assoluta nettezza la vittoria di Claudia Sheinbaum Pardo, la candidata della coalizione nazionalista-progressista Sigamos Haciendo Historia (“Continuiamo a fare la storia”), raccolta attorno al presidente uscente Andrés Manuel López Obrador, più noto popolarmente come AMLO, con il 59,4% dei voti.

In seconda posizione, con oltre 31 punti di distacco, si è collocata Bertha Xóchitl Gálvez Ruíz, la candidata  sostenuta dalla coalizione dell’opposizione di centrodestra Fuerza y Corazón por México (“Forza e cuore per il Messico”), con il 27,9%. Più indietro, con il 10,4% dei voti si è collocato l’altro candidato Jorge Álvarez Máynez, sostenuto dal Movimiento Ciudadano di centrosinistra.

La coalizione vincitrice, Sigamos Haciendo Historia, comprende, oltre al Movimiento de Regeneración Nacional (MoReNa), fondato da AMLO nel 2011, anche il Partido del Trabajo (Partito del Lavoro-PT) e il Partido Verde Ecologista del Messico (PVEM), mentre la coalizione di destra Fuerza y Corazón por México è composta dal Partido Acción Nacional (PAN), dal Partido Revolucionario Institucional (PRI) e dal Partido de la Revolución Democrática (PRD).

Nel solco di AMLO ma con radici diverse

Dunque, Claudia Sheinbaum sarà la prima donna a guidare il Messico. Finora solo un’altra donna fu candidata alla presidenza, nel 1982, Rosario Ibarra de Piedra, madre di un giovane scomparso durante la sanguinaria repressione antistudentesca e antipopolare del governo del PRI negli anni 70.

Claudia Sheinbaum è certamente l’erede di AMLO, anche se il suo percorso politico è molto diverso da quello del suo predecessore. López Obrador ha iniziato a fare politica nel PRI, che a quell’epoca era il partito totalmente dominante nel paese. Claudia Sheinbaum, invece, fu attivista politica nella sinistra fin dalle scuole superiori, passando poi per il movimento universitario. Questa biografia di sinistra viene ostentata dalla neo presidente, che in varie interviste si è definita “figlia del ’68”, definizione che in Messico, forse, pesa più che altrove. Infatti nel 1968, in quel paese avvenne il primo grande sciopero universitario che poi culminò nel massacro di Tlatelolco, quando centinaia di studenti indifesi vennero feriti, arrestati o giustiziati in quell’indimenticabile ottobre. Fu il momento in cui sanguinosamente il potere del PRI, l’ossimorico Partito Rivoluzionario Istituzionale, cominciò la sua crisi e il suo declino.

AMLO, al contrario, si separò dal PRI solo nel 1988, quando il leader dell’ala sinistra di quel partito, Cuauhtémoc Cárdenas, lo abbandonò per fondare il Partito della Rivoluzione Democratica, sfidando poi nelle presidenziali di quell’anno il candidato “priista” Salinas de Gortari, che vinse solo per una manciata di voti e soprattutto per numerosi episodi di broglio.

Questa caratterizzazione è stata vista così efficace tanto da indurre l’opposizione di destra a scegliere come candidata Xóchitl Gálvez, una imprenditrice che però vanterebbe anche lei, non si sa se fondatamente o meno, un passato di attivismo politico e sociale di estrema sinistra e un’origine indigena, esibita anche nell’abbigliamento, caratterizzato dall’uso dei huipiles, i camicioni ricamati tipici degli indios dell’America centrale.

La nuova presidente discende da una famiglia ebrea bulgaro-lituana emigrata in Messico all’inizio del 900. Entrambi i genitori, militanti marxisti, furono attivi nella lotta studentesca del 1968, cosa che Claudia rivendica esplicitamente.

A metà degli anni 80, la giovane Sheinbaum fu leader del più importante sciopero studentesco dopo quello del 1968. E’ con questo retroterra familiare, politico e culturale che aderì al PRD di Cardenas, entrando subito in relazione con AMLO, già dirigente di quel partito e governatore della capitale, che la nominò assessore all’Ambiente. Un rapporto che da allora non si interruppe più, seguendolo anche quando nel 2011 AMLO ruppe con il PRD, impantanato in scandali di corruzione e tormentato da dispute interne, e capeggiò la costruzione del Movimento di Rigenerazione Nazionale. 

Così, nel 2018, Claudia venne eletta governatrice di Città del Messico e oggi è presidente del paese.

Naturalmente la sua elezione è dovuta anche al sostegno assoluto di AMLO, anche se questo sostegno l’ha coinvolta in tutte le critiche e in tutti gli scandali, veri o montati, che la destra ha denunciato contro la presidenza uscente. Ma, visti i risultati, senza alcun esito.

La neopresidente ha anche subito le critiche che le venivano dal potente movimento del femminismo messicano, a cui Claudia Sheinbaum ha più volte dichiarato di non voler aderire: anzi, la repressione poliziesca delle proteste di piazza delle donne da parte delle forze dell’ordine della capitale, quando la Sheinbaum ne era la governatrice, è rimasta impressa nella storia del femminismo locale. E ha conosciuto anche la sfiducia da parte delle famiglie dei numerosissimi desaparecidos messicani, per lo scarso impegno profuso nella direzione della ricerca e della punizione dei colpevoli. Tutte cose che ha pagato nelle elezioni di medio termine del 2021, quando il suo governo cittadino perse la maggioranza nel consiglio comunale soprattutto a causa della drastica caduta della partecipazione della sua base elettorale.

Ma il risultato delle elezioni di domenica riflette solo parzialmente quello che nel 2018 (in Messico le presidenziali si svolgono ogni 6 anni) portò alla presidenza AMLO, con il 53,2% dei voti, perché oggi si registra un ancor più generale spostamento a sinistra, con una significativa crescita del sostegno alla coalizione di governo e con un risultato discreto dell’outsider del Movimiento ciudadano, mentre il centrodestra, che nel 2018, seppur diviso con due candidature, raccolse il 38,7% dei voti, perde oggi oltre il 10%.

Il confronto impari con una destra in crisi

La vittoria di AMLO nel 2018 e la sua dimensione furono fragorose e sorprendenti tanto da mettere in seria crisi i partiti del centrodestra e in particolare il Partido Revolucionario Institucional, abituato a governare indisturbato per decenni, dato che ha regnato ininterrottamente sul paese per 70 anni, dal 1930 al 2000. Migliaia di attivisti abbandonarono le file dei partiti politici della destra, tanto che alcuni di questi partiti rischiarono di perdere la registrazione elettorale formale, indispensabile per poter competere alle elezioni. La destra soffrì anche una drastica riduzione del numero dei deputati e dei senatori.

Poi, la crisi politica e sociale del Covid, che colpì pesantemente il paese (quasi 280.000 morti), le difficoltà e le incertezze del governo nel contrastare la pandemia consentirono all’opposizione di centrodestra e alla sua demagogia di riprendere fiato, di togliere al governo nelle elezioni di mezzo termine del 2021 la maggioranza alla Camera dei rappresentanti e di ostacolare così con efficacia tutte le iniziative governative, sognando di ritornare alla presidenza nel 2024, anche considerando il fatto che la larga maggioranza dei media è contro AMLO. 

Occorre dire che lo stile di presidenza di López Obrador, molto personalistico e accentratore, e alcune sue iniziative di riforma del sistema elettorale contribuirono a dare carburante polemico a un’opposizione politica altrimenti moribonda, che assunse tra i suoi obiettivi “la difesa della democrazia”, contro la minaccia del “comunismo” (agitando lo spettro dell’alleanza con Cuba e con il Venezuela). 

Durante gli ultimi anni le “marce rosa per la democrazia”, organizzate dalla destra, si sono moltiplicate nella capitale: l’ultima è stata il 19 maggio scorso, con circa 100.000 persone che hanno sfilato nelle vie di Città del Messico, come nelle altre occasioni, pare mobilitando anche ex sostenitori del governo, scesi in piazza contro la “dittatura di López”, contro i suoi “sprechi”, contro la sua “opacità, inefficienza e corruzione”

Ma evidentemente, i risultati delle presidenziali di domenica hanno sconfessato clamorosamente questi tentativi e hanno riconfermato la maggioranza nazional-progressista.

Il partito al governo è stato premiato alle elezioni anche perché la situazione economica messicana è sostanzialmente positiva, con una forte crescita delle esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti, che, a causa degli eventi bellici degli ultimi anni, hanno molto diminuito le importazioni dalla Cina, e hanno applicato l’accordo commerciale T-MEC stipulato tra Messico, Stati Uniti e Canada nel 2020.

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Le contraddizioni della politica obradorista

Nei sei anni di presidenza di AMLO, il “governo della Quarta Trasformazione (4T)” (così è stata chiamata la sua politica economico-sociale) ha attuato scelte molto importanti, come l’aumento del salario minimo, l’incremento delle ferie e norme più giuste nel diritto del lavoro, anche se non è stato affrontato il gigantesco problema dell’enorme massa di milioni di messicani (e soprattutto di messicane) che lavorano in condizioni precarie, senza contratti e senza rapporti di lavoro formali, soprattutto nelle maquilas tessili e di altri settori che producono per i marchi statunitensi. E anche i risultati dell’aumento del salario minimo sono rimangiati da un’inflazione che sfiora le due cifre e dagli aumenti del paniere di base e dei beni essenziali. 

Le scelte di “austerità repubblicana” di AMLO hanno anche comportato migliaia di licenziamenti tra i dipendenti pubblici, anche nel sistema sanitario, certamente uno dei meglio funzionanti dell’America Latina, ma che sta pagando il prezzo politico di salari molto bassi e di una crescente carenza di attrezzature. 

Lo stipendio degli insegnanti è stato aumentato dal governo fino a 16.000 pesos (pari a circa 850 euro), ma la scuola pubblica messicana soffre tuttora di una grave mancanza di manutenzione degli edifici, di scarsi investimenti, con un sovraffollamento nelle classi, a volte senza accesso all’acqua e, soprattutto soffre delle conseguenze della riforma privatizzatrice adottata dal governo di Peña Nieto (l’ultimo presidente del PRI) e mai abrogata. 

Le grandi diseguaglianze, da sempre presenti nel paese, non sono state ridotte, anzi. I patrimoni dei messicani più ricchi sono aumentati, ed è aumentato il bilancio della difesa e delle forze armate, che ancora oggi spadroneggiano e che hanno spesso un ruolo predominante in molteplici attività economiche e a cui López Obrador, in completa contraddizione con le sue precedenti promesse, ha concesso tanto potere durante il suo governo. Persino arrivando a negare la responsabilità dei militari in crimini del passato, come i massacri di Tlatelolco (di cui abbiamo già accennato, nel 1968, con circa 350 morti) e di Halconazo (giugno 1971, 140 morti), nonché nella scomparsa dei 43 studenti della Escuela Normal Rural, in cui l’esercito ha avuto un ruolo attivo nell’ostacolare le indagini. 

Il tutto con il pretesto della priorità della “lotta alla criminalità”, una criminalità che invece ha continuato a crescere in tutto il paese. Persino nel giorno delle elezioni ci sono stati due morti, e numerosi atti di violenza e diverse sparatorie nei seggi elettorali, mentre già, durante la campagna elettorale si erano registrati una quarantina di omicidi di candidati a diverse cariche. E ieri sera, lunedì, nel giorno dei risultati, la sindaca di Cotija, un piccolo comune del Messico centrale, è stata assassinata assieme a una sua guardia del corpo nella piazza centrale del paesino.

Questa realtà ha fatto dire alla professoressa Raquel Gutiérrez Aguilar, autorevole sociologa messicana, ma con una lunga carriera di militante e di attivista, in una sua intervista:

“Claudia Sheinbaum erediterà un paese molto distrutto, molto saturo di propaganda, molto polarizzato, soprattutto in alcune città, molto militarizzato e molto violento”, con uno “sviluppo senza progresso”, … “un Messico che sta attraversando un momento difficile, strutturale”, ma una difficoltà “che non si vede chiaramente perché gli indicatori macroeconomici sono abbastanza buoni”.

I dilemmi della prima donna presidente

Cosa farà Sheinbaum con i militari? Il potere militare, machista per eccellenza, come accoglierà la prima presidente donna? Cosa farà Claudia con i cartelli, con i trafficanti di droga, con la violenza infinita, con la crisi umanitaria che conta oltre 100.000 persone scomparse?

Che cosa farà con i diritti dei popoli contadini e indigeni, con la difesa del territorio e delle risorse naturali comuni, contro il saccheggio e la depredazione del modello economico estrattivista e predatorio esaltato e portato avanti anche da AMLO, che ha etichettato come “conservatori e pseudo-ambientalisti” coloro che si oppongono ai suoi megaprogetti e all’estrattivismo?

Si tratta di un modello ad alto impatto ambientale e sociale di appropriazione di beni naturali al fine di ricavare materie prime su larga scala, rivolte al mercato globale, che aumenta la ricchezza delle multinazionali e delle élite locali, senza lasciare nulla nelle comunità sfruttate. Si spostano abitanti a causa dell’espropriazione delle terre, oppure i contadini vengono “proletarizzati” nelle attività di estrazione, come manodopera a basso costo, l’ecosistema si degrada per lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e si annienta ogni segno della cultura locale.

In Messico si calcola che il 10% del territorio sia stato già concesso a megaprogetti estrattivisti: miniere, estrazione di idrocarburi, taglio di foreste, agroindustria, allevamenti intensivi. 

La neopresidente prorogherà il divieto messicano di importazione di mais transgenico dagli USA? 

E, soprattutto, che cosa farà Claudia Sheinbaum rispetto alle centinaia di migliaia di migranti che transitano per il Messico per tentare di raggiungere il mitico confine statunitense?

AMLO, nonostante i suoi proclami antimperialisti, ha accettato di trasformare il Messico nel vero “muro di Trump” e di tentare di contenere con la presenza di migliaia di membri della Guardia Nazionale e dell’Esercito nazionale la pressione migratoria verso gli Stati Uniti, facendosi carico della loro deportazione verso il Sud del paese, il più lontano possibile dal confine Nord. Le statistiche ufficiali indicano che la polizia messicana ha arrestato nel solo 2023 la cifra record di 782.176 persone che cercavano di raggiungere gli Stati Uniti, la maggior parte dei quali è stata deportata a Sud, con una tattica sadica che logora i migranti che spesso hanno speso tutti i loro risparmi per raggiungere il confine con gli Stati Uniti.

Come abbiamo già ricordato, la politica economica e sociale del governo AMLO viene definita la  “Quarta Trasformazione”, perché viene collocata in questa posizione nella serie storica delle trasformazioni epocali conosciute dal paese, a partire dalla conquista dell’Indipendenza dalla Spagna nel 1810, passando per la “Guerra di riforma” del XIX secolo e poi per la Rivoluzione del 1910. Ora, questa narrazione “epica” viene affidata a Claudia Sheinbaum, che ha raccolto la sfida, riprendendo già nel suo primo nel suo primo discorso da presidente lo slogan obradorista enfatico “per il bene di tutti, i poveri prima di tutto” e, appunto, l’impegno a “difendere e approfondire la 4T”

Ovviamente cercherà di capitalizzare a suo favore l’immagine venerata di López Obrador, che, a sentire la società di consulenza Morning Consult, sarebbe, secondo dopo solo il primo ministro dell’India, Narendra Modi, il capo di stato più popolare al mondo. Ma dovrà anche cercare di prendere qualche distanza da AMLO, per evitare di essere qualificata come uno strumento nelle mani di quest’ultimo.

Una vittoria contro la destra ma senza una vera sinistra

Dunque, è molto positivo che un paese delle dimensioni e dell’importanza del Messico sia riuscito a sfuggire a quel gorgo di crescita della destra e dell’estrema destra che sta travolgendo tanti paesi, dove governi progressisti, giunti al potere anche grazie alle grandi aspettative della popolazione, ma che poi hanno rinunciato a confrontarsi con gli interessi del grande capitale e dell’imperialismo, hanno poi perduto il sostegno elettorale e hanno aperto la strada all’avanzata delle destre.

Questo fenomeno ha toccato anche l’America Latina con Javier Milei, giunto alla presidenza dell’Argentina anche grazie alla profonda delusione popolare per il governo peronista. Il pericolo ovviamente sussisteva anche per il Messico, ma qui l’abissale discredito storico dei partiti della destra, unito alla popolarità di AMLO e alla felice scelta della sua erede, ha scongiurato il pericolo. 

Il paese, occorre ricordarlo, paga comunque la straordinaria storica debolezza della sinistra, che non è mai riuscita a sottrarsi al dilemma tra l’appoggio al nazionalismo progressista e la costruzione indipendente di una prospettiva diversa coerentemente democratica, anticapitalista e antimperialista. Neanche la straordinaria stagione dello zapatismo, dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional e del Subcomandante Marcos è mai riuscito a uscire dal “recinto” del Chiapas e a costruire un efficace punto di riferimento popolare a livello nazionale, nonostante il sostegno del quotidiano “La Jornada” e i generosi tentativi in questo senso di tanti intellettuali (ricordo personalmente Adolfo Gilly, che ho conosciuto e frequentato quando risiedette in Italia negli anni 70, deceduto giusto un anno fa).

Un punto di riferimento del genere sarebbe estremamente necessario, perché il volto coinvolgente e popolare ma anche contraddittorio di Claudia Sheinbaum si accomuna nel movimento obradorista con politici impresentabili che hanno aderito a quel movimento solo per fini di potere e che oggi governano buona parte degli stati che compongono gli Estados Unidos Mexicanos. Il movimento obradorista è una sinistra che in tanti, in troppi aspetti assomiglia alla destra.

*articolo apparso su Micromega+ il 7 giugno 2024