Pubblichiamo un contributo, scritto dalla prospettiva della sinistra anticapitalista italiana, sulla prossima scadenza delle elezioni europee. (Red)
Il progetto europeista delineato oltre 80 anni fa da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, come progetto di una federazione continentale ispirata ai principi di pace e libertà, con una base democratica dotata di parlamento e governo e alla quale affidare ampi poteri, dal campo economico alla politica estera, è totalmente fallito.
Affidandone la realizzazione alle classi dominanti che, dopo la parentesi bellica e la sconfitta dei fascismi, avevano ricostruito nei diversi paesi i loro sistemi di potere, il “sogno” del Manifesto di Ventotene si è trasformato nella realtà dei trattati europei e nella gestione tecnocratica e iperliberista della Commissione di Bruxelles.
Inoltre, nel 2015-2016 ci sono state ulteriori involuzioni storiche: la Brexit reazionaria, la scelta omicida di chiudere totalmente le frontiere ai migranti e l’umiliazione politica, economica e sociale del popolo greco con i diktat della Troika.
L’Unione Europea è apparsa sempre più come un organizzazione da cui si può fuggire se si è forti, come nel caso della Gran Bretagna, ma che ti opprime se si è deboli e dissenzienti, e che preferisce lasciar annegare migliaia di persone piuttosto che accoglierle.
La UE è apparsa sempre più l’Europa dei “poteri forti”, dei ricchi contro i poveri, delle banche, della guerra e del filo spinato.
Di fronte alle guerre in Ucraina e Palestina, gli stati europei hanno scelto senza esitare la strada degli armamenti e della esasperazione della militarizzazione, abbandonando platealmente ogni pretesa di pace.
L’instabilità globale e il cambiamento climatico continueranno a spingere milioni di persone a tentare di migrare, mentre aumenta la competizione imperialista e regionale per le risorse naturali. Tutto questo non può che portare a nuove guerre.
Nell’Unione Europea, al di là delle differenze da paese a paese, il 10% più ricco detiene il 67% della ricchezza. Per difendere il sacro totem della “concorrenza”, le classi dirigenti della UE impongono l’austerità. Per gestire l’inflazione, la Banca Centrale Europea ha decisamente reimboccato la via della restrizione monetaria. Quel che resta dello “stato sociale” conquistato con le lotte del Dopoguerra e degli anni 60 e 70 viene spazzato via. Complice la pressione del “movimento dei trattori”, la UE accantona anche le timide misure di contenimento dell’inquinamento e del riscaldamento globale.
Le classi dirigenti europee perseguono politiche sempre più securitarie e autoritarie. E a questo fine sostengono e utilizzano in tutti i paesi del continente la crescita dell’estrema destra. Il razzismo, l’islamofobia e il nuovo antisemitismo crescono, alimentati da tutti coloro che hanno interesse a spingere ancora più a destra l’opinione pubblica e soprattutto a dividere le classi popolari.
I movimenti di opposizione sono colpiti con una brutalità inaudita, in particolare quello di solidarietà con il popolo palestinese, criminalizzato e represso.
La sinistra in tutta Europa si presenta gravemente divisa e paga il prezzo del suo disorientamento di fronte ad un mondo che non corrisponde più a quello in cui si era formata.
Spesso in tanti paesi (compresa l’Italia) si divide tra coloro che cercano di sopravvivere nelle pieghe di un debole riformismo e coloro che si illudono nel seguire i miti del multipolarismo o, peggio ancora, della Russia putiniana.
Per ricreare una sinistra degna di questo nome, non servono operazioni elettoralistiche, né inseguire inaffidabili opinion-leader. Occorre costruire mobilitazioni, nei nostri luoghi di lavoro e di studio, nei quartieri, per fermare Meloni e l’estrema destra, per cambiare l’Europa.
Per una rottura anticapitalista, per un’Europa ecosocialista. No alla “loro” Europa dell’austerità, per un’Europa dei beni comuni e della solidarietà
Fin dai Trattati di Roma del 1957 con cui è iniziata la costruzione capitalistica europea, tutte le scelte politiche sono state fatte in direzione di un “protostato” antidemocratico, dominato dai mercati e dalla “concorrenza”, finalizzato alla libera circolazione di beni, servizi e capitali.
Poi, con i trattati di Maastricht (1992), che ha introdotto la moneta unica, di Amsterdam (1997) e di Lisbona (2007), che hanno definito la “Costituzione europea”, anche se era stata sconfitta nei referendum popolari in Francia, in Olanda e in Irlanda ma che comunque è stata antidemocraticamente ratificata, l’Europa è stata costruita senza il popolo, in nome del mercato.
La bussola politica, sociale e culturale è stata sempre quella della privatizzazione e della mercificazione di ogni cosa, compresi i beni comuni come la salute, l’istruzione, la casa e persino l’ambiente.
Grazie a quelle politiche, le disuguaglianze sociali tra i vari stati e nei vari stati sono aumentate a dismisura, come hanno dimostrato le pressioni sui governi greci per il loro debito tra il 2010 e il 2015 e le pressioni sui governi di sinistra in Spagna e Grecia. Uno dei primi passi per uscire da questa logica è la cancellazione del debito.
Lotta alla fortezza Europa, frontiere aperte
Nel corso dei decenni dalla sua costruzione in poi, L’Europa ha rafforzato le frontiere, per impedire l’ingresso ai migranti. Frontex, il principale strumento di sorveglianza delle frontiere comunitarie, ha visto crescere il suo bilancio da 6 milioni di euro (alla data della sua creazione nel 2005) agli 845 milioni del 2023. E sono noti gli stretti legami di cooperazione tra l’agenzia dell’Unione e la famigerata “guardia costiera” libica.
Il Mediterraneo ha già visto annegare decine di migliaia di persone negli ultimi anni e ora, con il nuovo “patto europeo per la migrazione e l’asilo”, appena adottato dal parlamento europeo, ha deciso di barricarsi ancor di più, peggiorando il trattato di Dublino, aumentando la durata delle pratiche di concessione dell’asilo, restringendo drasticamente la possibilità di ricongiungimento familiare, ecc.
Per un’Europa solidale, chiediamo frontiere aperte e libertà di movimento e di insediamento!
Per una vera democrazia, rompiamo con l’Europa dei trattati
Senza più alcun orpello umanistico, l’Europa del “libero mercato”, preteso baluardo della “democrazia” è gestita da istituzioni non elette. Il Consiglio europeo è la riunione dei capi di stato che stabiliscono le linee politiche generali. La Commissione, scelta dal suo presidente sulla base delle proposte che arrivano dai governi di ogni singolo stato, attua e gestisce le politiche comuni, in particolare le scelte economiche. Il Parlamento, il solo eletto a suffragio universale, è un organo con meno poteri e non può decidere nulla se non con l’avallo del Consiglio. I trattati antidemocratici che governano questa Europa vanno rotti e va costruita una vera cooperazione tra i popoli.
Lotta per un’Europa ecosocialista e solidale
Le gravi esigenze sociali e le preoccupanti emergenze ambientali impongono una profonda trasformazione rivoluzionaria del progetto europeo per costruire un’Europa ecosocialista basata sulla solidarietà piuttosto che sulla competizione e sulla concorrenza.
Per fare ciò, è fondamentale privare le classi dominanti e i capitalisti della loro capacità di nuocere e di impedire che si attuino le necessarie trasformazioni: socializzare i settori chiave dell’economia (energia, banche e assicurazioni, grande commercio commercio al dettaglio, industria alimentare, edilizia, sanità, istruzione e trasporti), requisirli sotto il controllo diretto dei lavoratori e degli utenti, redistribuire i profitti, pianificare e concretizzare la necessaria produzione energetica decarbonizzata, produrre alimenti privi di pesticidi, ecc.
Bisognerà insomma riorganizzare la società intorno ai bisogni reali, perché possano finalmente essere garantiti, mentre si possono abbandonare le produzioni redditizie, ma inutili e dannose, come in primis la produzione di armi.
Va immediatamente armonizzata la legislazione sociale e ambientale prendendo come punto di riferimento i sistemi sociali che meglio garantiscono la parità di diritti sociali e civili, come ad esempio garantendo in tutti i paesi del continente un reale diritto di accesso all’aborto.
Combattere la guerra di Putin, aiutare la resistenza ucraina
Il 24 febbraio 2022, Vladimir Putin ha lanciato la sua “operazione militare speciale” contro l’Ucraina, con l’obiettivo di consolidare l’annessione della Crimea e del Donbass, di rovesciare il governo di Kiev e riportare quel paese sotto il suo dominio imperiale.
Questa guerra, che dura da quasi due anni e mezzo, vede in difficoltà la resistenza popolare ucraina, che deve anche fronteggiare le politiche ultraliberiste del governo Zelensky. Le nostre azioni di solidarietà con il popolo ucraino vanno moltiplicate, difendendo incondizionatamente il diritto alla resistenza all’occupazione, rivendicando la cancellazione del debito dell’Ucraina e l’armamento della resistenza popolare, in modo che abbia i mezzi per resistere alla Russia.
Parimenti ci opponiamo a qualsiasi intervento militare diretto dell’Occidente, che non è ciò che vuole il popolo ucraino.
Condanniamo il riarmo dei paesi europei che non ha nulla a che vedere con l’Ucraina, ma è una scelta politica autoritaria e imperialista decisa ben prima del 24 febbraio 2022.
Palestina: fermare il massacro a Gaza
La situazione internazionale è segnata dal genocidio del popolo palestinese perpetrato dallo stato di Israele. La tragedia che i palestinesi stanno vivendo dura da decenni e si è accelerata negli ultimi otto mesi (dal 7 ottobre 2023 in poi) causando la morte di almeno 36.000 persone (senza contare i cadaveri ancora imprigionati sotto le macerie), tra cui migliaia di bambini, e ha gettato due milioni di persone in una tragedia umanitaria senza precedenti.
Netanyahu e il suo governo di estrema destra vogliono continuare la guerra il più a lungo possibile per eliminare i palestinesi dal territorio che occupano dal 1967, praticando una crudele pulizia etnica, con l’obiettivo della “grande Israele”.
Non possiamo permettere che questo massacro, commesso con la complicità attiva o passiva delle grandi potenze, vada avanti. I governi europei usano tutti i mezzi possibili per criminalizzare la solidarietà con la Palestina: in tutta Europa, partecipiamo a manifestazioni di solidarietà, costruiamo gruppi di sostegno al popolo palestinese, partecipiamo a campagne di boicottaggio dei prodotti israeliani. Il criminale accordo di associazione tra l’Unione Europea e lo stato di Israele va immediatamente abrogato.
Vogliamo una Palestina libera, con pari diritti per tutti e il diritto dei rifugiati a tornare nella loro terra.
Unità e anticapitalismo: costruire una forza per portare avanti le nostre lotte
Di fronte alle crisi sociali, ecologiche e democratiche, che si combinano e si intensificano causando sempre più insicurezza e disperazione, e in assenza di prospettive collettive ed emancipatrici, è un’estrema destra minacciosa e autoritaria a guadagnare punti. Ha già conquistato posizioni finora inimmaginabili e guida o partecipa ai governi di diversi paesi (Italia, Danimarca, Ungheria e ora anche Olanda…). E le forze dell’estrema destra stanno inquietantemente crescendo anche dove ancora sono all’opposizione.
Coloro che lottano e resistono dovrebbero unire le loro forze e le loro energie. Ma la sinistra politica, perlomeno in Italia, invece di costruire una unità combattiva nella mobilitazione, insegue obiettivi elettoralistici di affermazione di sigla, approfondendo la sua crisi e rinunciando a costruire una vera opposizione all’autoritarismo della destra e al liberismo.
Il PD, che ha svolto per decenni un ruolo di protagonista nella costruzione di un’Unione Europea al servizio dei capitalisti, non ci inganna con la sua recente “svolta a sinistra”. La sinistra unitaria e combattiva da costruire deve essere una sinistra che vuole disobbedire ai trattati e alle direttive dell’UE, che vuole mettere in atto politiche che rompano con la gestione capitalista, che vuole rompere con la NATO e con le sue politiche imperialistiche di riarmo.
Organizzarsi per l’ecosocialismo
Per noi, sul piano dell’internazionalismo, sul piano delle condizioni di vita delle classi popolari, su quello dei diritti e su quello della crisi ambientale, si tratta di organizzarsi contro le classi dominanti per porre fine a questo sistema e costruire una società libera dallo sfruttamento e dall’oppressione, che chiamiamo ecosocialismo.
Occorre costruire una forza politica “per la trasformazione rivoluzionaria della società”, perché qualsiasi passo avanti, qualsiasi misura che vada nella direzione della maggioranza, richiede un’opposizione concreta all’ordine sociale e a coloro che lo difendono, e allo stato delle classi dominanti che difende i loro interessi. Il mondo del lavoro e le classi popolari devono prendere in mano la situazione.
Per costruire questa organizzazione, occorre interpellare tutti gli anticapitalisti, tutti coloro che soffrono per il capitalismo e vogliono agire per rovesciarlo, per farla finita con questo sistema economico e sociale che produce insopportabili relazioni di sfruttamento e di oppressione. Per resistere, le lotte dei vari movimenti devono convergere, avere un quadro comune che aiuti ad articolarle e a costruirle di fronte a un nemico comune.
Non fare questa scelta, oggi, di fronte alla disastrosa situazione sociale, di fronte ad un degrado ambientale che sta superando il punto di non ritorno, rischia di essere un ulteriore elemento a vantaggio della destra, della sua demagogia e della sua opzione autoritaria.