Costruire un fronte unitario di opposizione sociale e politica
La situazione politica e sociale sia su scala internazionale che nazionale appare sempre più difficile per coloro che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione: i giovani, i salariati e le loro famiglie, i pensionati e le pensionate.
A questo si aggiunge una avanzata della destra e della estrema destra, sia a livello elettorale sia nella diffusione e nella condivisione delle sue idee: pensiamo all’atteggiamento nei confronti dei migranti, alla politica sociale o a quella fiscale, senza dimenticare le logiche sovraniste e populiste.
Il movimento dei lavoratori e le forze politiche della sinistra, dobbiamo riconoscerlo tutti, hanno difficoltà a contrastare questa avanzata; non si tratta di un fenomeno solo regionale, ma investe tutta la Svizzera e la realtà internazionale.
L’MPS pensa che di fronte a tutto questo sia necessario lanciare, o rilanciare, l’idea di un fronte di opposizione sociale e politica che, mettendo in evidenza alcuni temi prioritari, trovi una strada unitaria e attiva sul terreno sociale e politico per battersi contro questa svolta a destra.
È in questa prospettiva che ha adottato il documento che segue, intitolato “Per un fronte di opposizione sociale e politica” e a partire dal quale vorrebbe confrontarsi con tutte le forze politiche disponibili.
Il documento è stato inviato negli scorsi giorni a rappresentanti di partiti, associazione e sindacati appartenenti all’area della sinistra. (Red)
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Per un fronte di opposizione sociale e politica
1. Un contesto di guerra e regressione sociale
Negli ultimi decenni, il panorama internazionale è stato segnato da una serie di conflitti e crisi che hanno alimentato un clima di crescente instabilità globale. Le guerre, oltre a causare devastazioni materiali, perdite umane e danni ambientali ingenti, hanno innescato una profonda regressione sociale. In molte aree del mondo, i conflitti hanno disgregato i tessuti sociali, acuito le divisioni etniche, culturali e politiche, e indebolito i sistemi di welfare e le reti di solidarietà. La conseguente crisi economica ha aggravato ulteriormente le disuguaglianze, lasciando intere comunità prive di protezione e opportunità di sviluppo.
In questo scenario, si assiste a una nuova fase politica a livello internazionale, caratterizzata da una svolta autoritaria e dal rafforzamento delle forze di estrema destra, già al governo o in procinto di arrivarvi in numerosi paesi europei (dall’Italia alla Germania, dall’Ungheria all’Austria, fino alla Francia), come pure nel resto del mondo (Putin, Milei, Trump, Netanyahu, solo per citarne alcuni).
Anche in Svizzera, come spesso accade, le classi dominanti hanno saputo anticipare e incorporare questi orientamenti politici. Da anni, le posizioni dell’estrema destra sono integrate nella politica del governo e del Parlamento, come dimostra il ruolo centrale dell’UDC e l’alleanza, di fatto, su temi chiave, con il PLR e il Centro. Questa convergenza ha anticipato tendenze che oggi osserviamo su scala continentale.
Ne è un esempio l’agenda del riarmo, in atto da almeno un paio d’anni, concretizzata attraverso decisioni parlamentari e accompagnata da un orientamento che penalizza i diritti sociali e le politiche ambientali, a favore della spesa militare.
Contro questa deriva, dobbiamo affermare con forza che la sicurezza non si misura in termini di armamenti, ma, soprattutto, con la garanzia e il rafforzamento dei diritti sociali, economici e ambientali. La vera difesa della Svizzera non passa attraverso un riarmo costoso, travestito da riscoperta ideologica della neutralità o da una presunta capacità di difesa militare, bensì dal rafforzamento della giustizia sociale e della tutela ambientale.
In un contesto segnato dalla crescita dell’estrema destra, dalla crisi sociale e dalle minacce alla pace globale, è fondamentale che le forze di sinistra non lascino il tema della sicurezza alla destra neoliberale e reazionaria. Le politiche di austerità, repressione e distruzione ambientale servono gli interessi delle élite economiche, non della popolazione.
Tre obiettivi appaiono oggi imprescindibili e strettamente interconnessi: il sostegno all’autodeterminazione dei popoli e alla difesa dei loro diritti, minacciati dagli imperialismi, nel quadro del diritto internazionale; la lotta contro l’erosione dei diritti sociali e democratici in Svizzera e in Europa; il contrasto all’internazionale neofascista in piena espansione.
Le conseguenze di questo scenario sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto per lavoratrici, lavoratori e popolazioni più vulnerabili. Il capitale, stretto tra crisi sistemiche e concorrenza globale sempre più spietata, cerca di salvaguardare la propria redditività modificando a proprio favore i rapporti tra capitale e lavoro. Ciò si manifesta nell’attacco alle condizioni salariali e contrattuali, nella crescente precarizzazione e nella messa in discussione del salario indiretto (pensioni, prestazioni sociali, ecc.).
In questo contesto, la competizione interimperialista e l’incapacità di abbandonare un modello economico basato sui combustibili fossili stanno conducendo a un collasso degli equilibri politici e ambientali globali. La tentazione, sempre più forte ed evidente, di adottare scelte autoritarie, violente e repressive si intensifica anche nei paesi cosiddetti democratici (si veda, ad esempio, la retorica geopolitica di Trump). Si delinea così una vera e propria crisi di civiltà.
2. I punti di forza dell’offensiva neoliberale
L’offensiva politica neoliberale in Ticino e in Svizzera è in corso da tempo. Diverse scelte, sia a livello nazionale che cantonale, lo dimostrano con chiarezza. Nonostante occasionali divergenze – spesso legate più a interessi partitici che a reali contrasti di visione – una solida maggioranza politica, sia in governo che in Parlamento, ha portato avanti un orientamento che, in Ticino, negli ultimi cinque-dieci anni, si è articolato attorno a questi assi fondamentali:
- Il pareggio della gestione corrente, la riduzione del debito pubblico e il contenimento della pressione fiscale come cardini della politica finanziaria;
- La compressione della spesa pubblica, ottenuta attraverso tagli alle politiche sociali e una riduzione delle funzioni dello Stato;
- Il tentativo di riformare il sistema sanitario introducendo una logica di razionamento delle prestazioni e di contenimento dell’intervento pubblico, soprattutto quello in favore delle fasce più fragili della popolazione;
- La progressiva restrizione degli spazi di dibattito democratico, sia nei media che negli organi legislativi;
- La sottovalutazione sistematica delle misure necessarie per affrontare le discriminazioni di genere e la crisi ambientale;
- Una costante diminuzione di risorse per un settore chiave della società come la formazione e la scuola.
Su ciascuno di questi punti esiste una maggioranza consolidata che si esprime a tutti i livelli istituzionali e che spesso riesce a prevalere anche in occasione di votazioni popolari.
Nel complesso, ci troviamo di fronte a rapporti di forza sfavorevoli alla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori. Questa egemonia è stata resa possibile dalla capacità dei partiti borghesi di imporre una narrazione condivisa da ampi settori della popolazione, contribuendo così alla stabilizzazione del modello neoliberale.
3. Un rapporto di forza sfavorevole
Il rapporto di forza sociale sopra delineato trova un chiaro riflesso anche a livello istituzionale. Nei parlamenti cantonali, nei consigli comunali e negli altri organi decisionali, è evidente l’impossibilità di:
- Bloccare gli elementi centrali delle politiche neoliberali;
- Portare avanti con successo rivendicazioni concrete e significative in favore della maggioranza della popolazione.
I pochi “successi” ottenuti sul piano istituzionale riguardano, nella maggior parte dei casi, modifiche marginali, spesso frutto di contingenze politiche piuttosto che di una reale inversione dei rapporti di forza. Anche al di fuori delle istituzioni, le forze sociali – in primis quelle sindacali – hanno mostrato gravi difficoltà nel costruire un’alternativa efficace.
I segnali di arretramento sono molteplici: la stagnazione dei salari, il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’erosione dei diritti, la crescita del lavoro precario e l’assenza di un controllo efficace del mercato del lavoro, soggetto a un dumping salariale che travalica persino i dati ufficiali.
Eppure, le mobilitazioni di massa restano rare. Le organizzazioni sindacali faticano a organizzare la resistenza, sia nei luoghi di lavoro sia nella società nel suo complesso. Il loro indebolimento strutturale ha lasciato campo quasi del tutto libero alle forze padronali.
Solo in casi isolati si sono intravisti segnali di ripresa, come nel caso del settore pubblico cantonale, dove la mobilitazione ha permesso di bloccare un peggioramento delle condizioni pensionistiche, pur senza ottenere il riconoscimento del rincaro. Un episodio significativo, ma ancora marginale, dovuto in buona parte alla spinta di nuovi soggetti, come ErreDiPi, capaci di dare un contributo importante, in termini di analisi e mobilitazioni, a una serie di rivendicazioni (che hanno forzato le organizzazioni sindacali tradizionali a rompere – almeno temporaneamente – la loro logica concertativa).
Va inoltre criticata una visione della mobilitazione sociale intesa esclusivamente come leva per influenzare l’arena istituzionale. In molti casi, non si punta a cambiare i rapporti di forza nella società, ma solo a condizionare le decisioni parlamentari. Una strategia che, al di là di qualche episodio (dovuto anche a calcoli politico-elettorali più che al prevalere di un rapporto di forza), non sembra in grado di produrre risultati significativi.
4. La necessità di un cambiamento di paradigma
Il vecchio modello d’azione istituzionale della sinistra di governo – basato su compromessi e alleanze temporanee – si è rivelato inadeguato ad affrontare l’aggressività crescente del modello di accumulazione capitalista, che mette sistematicamente in discussione conquiste considerate ormai acquisite.
In occasione delle ultime elezioni cantonali, avevamo proposto a PS e Verdi la formazione di liste uniche per il Consiglio di Stato e il Gran Consiglio. La proposta rispondeva a esigenze ben precise: l’avanzata delle destre neofasciste, il riemergere dei venti di guerra in Europa e l’offensiva sempre più intensa del padronato e dei suoi partiti in ambito sociale e ambientale.
Alla base di quella proposta vi era tuttavia una riflessione più ampia, che andava oltre la contingenza elettorale e individuava nella rottura con il paradigma concertativo una condizione imprescindibile. Scrivevamo:
“Di fronte a tutto questo, non vi sono spazi – se mai ve ne sono stati – per riforme graduali in grado di sovvertire l’ordine capitalista. Le resistenze alle politiche del capitale devono legarsi alla proposta di alternative radicali, che rompano con la logica del profitto e offrano risposte concrete alle crisi multiple che minacciano milioni di vite. Oggi, una rottura con il capitale rappresenta una delle opzioni più realistiche per una sinistra coerente. E questa rottura si esprime, innanzitutto, in una chiara scelta di opposizione, tanto sul piano sociale quanto istituzionale.”
Da qui nasceva la proposta di liste comuni fondate su un programma di discontinuità con la tradizionale presenza in governo e su una chiara politica di opposizione, sia nell’esecutivo che nel legislativo. Proposta che PS e Verdi hanno rifiutato.
I primi due anni di esperienza governativa di Marina Carobbio si sono svolti all’interno di una linea politica improntata a un’accelerazione delle politiche di austerità. I due Preventivi presentati (2024 e 2025) sono stati segnati da tagli e misure inaccettabili. Nonostante ciò, anche la ministra socialista ha sostenuto le proposte governative, che solo in parte sono state bloccate da maggioranze occasionali, più attente – come ricordato – al calcolo elettorale che a una reale opposizione di principio.
Tutto ciò conferma quanto sosteniamo da tempo: il ruolo concertativo all’interno del governo non aiuta, quando non ostacola chiaramente, la costruzione di un’opposizione sociale ampia. Da qui l’urgenza di un cambiamento di paradigma.
L’opposizione e la discontinuità devono fondarsi sul conflitto sociale, attraverso la costruzione di mobilitazioni e resistenze alle politiche padronali. Tuttavia, anche sul piano istituzionale è necessario costruire uno schieramento capace di contrastare le logiche del capitale.
Il sistema elettorale ticinese, com’è noto, favorisce la presenza in governo anche di forze con una base elettorale limitata. L’obiettivo di tale sistema è chiaro: cooptare e integrare tutte le forze politiche per garantire la stabilità del sistema. Ma questa dinamica non deve condannare la sinistra alla collaborazione con partiti che rappresentano gli interessi del capitale, e non certo quelli delle lavoratrici e dei lavoratori e della stragrande maggioranza della popolazione.
Riteniamo che anche all’interno del governo (così come, naturalmente, del Parlamento) sia possibile esercitare un’opposizione chiara, pubblica e determinata di fronte a scelte politiche fondamentali che non rispecchiano gli interessi della maggioranza della popolazione. Così non è stato, ad esempio, per i due ultimi Preventivi, né per altre proposte governative.
Adattarsi a uno schema che separa l’azione nel governo da quella in Parlamento favorisce di fatto partiti che possono interpretare con maggiore spregiudicatezza questo doppio ruolo. Basti pensare, negli ultimi due anni, alla evoluzione politica di un partito come Il Centro.
5. Costruire un fronte unico della sinistra contro la guerra e il riarmo, in difesa dei diritti democratici e contro la regressione sociale
Oggi non esistono spazi istituzionali concreti per riforme graduali capaci di invertire le logiche del capitalismo e rispondere adeguatamente alle urgenze sociali della maggioranza della popolazione. Di fronte a questa realtà, riteniamo urgente costruire un fronte unico della sinistra, con l’obiettivo di organizzare e sviluppare un’opposizione sociale forte, autonoma e radicata, articolata attorno ai seguenti assi prioritari:
Affrontare la crisi economica e sociale
In Ticino, le condizioni di vita, di lavoro e di reddito della stragrande maggioranza della popolazione sono peggiorate, e la tendenza continua. Il dumping salariale e sociale è un dato ormai innegabile. Occorrono misure urgenti – da porre come priorità – per la difesa e rivalutazione di salari, pensioni e redditi familiari, nonché per un controllo del mercato del lavoro e l’estensione dei diritti di chi lavora. Solo attraverso una redistribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro si potranno soddisfare le esigenze economiche e sociali della maggioranza. Rientra in questo quadro una politica fiscale che imponga un contributo proporzionato ai detentori di alti redditi e patrimoni, così come alle imprese (industriali, immobiliari e finanziarie) che continuano ad accumulare profitti.
L’urgenza della lotta alla crisi ambientale
Nonostante i proclami, non si registrano svolte significative nella politica ambientale, né a livello federale né cantonale. Anzi, la pandemia e la guerra hanno rilanciato ricette energetiche obsolete, come il ritorno al nucleare.
Serve un cambiamento radicale – e non cosmetico – nella gestione della crisi climatica, che deve restare una priorità. La lotta per il clima va inquadrata in una prospettiva anticapitalista, convinti che solo una trasformazione profonda del sistema economico e sociale potrà rendere possibile una reale transizione energetica, altrimenti ridotta a vuoti proclami.
Contro il riarmo in Svizzera e altrove
L’aggressione di Putin all’Ucraina ha messo in luce mire imperialiste che si rafforzano su scala globale: da Mosca a Washington, da Pechino all’Europa. I primi mesi di Trump confermano la natura imperialista degli Stati Uniti, pronti a un confronto con gli altri imperialismi in nome del dominio del grande capitale.
A questa situazione non si può rispondere con un neutralismo ipocrita, che copre la politica imperialista della Svizzera e una diplomazia rivolta alla difesa degli interessi delle classi dominanti.
È necessario opporsi alle politiche di riarmo (interne ed esterne) e schierarsi dalla parte dei popoli, dei loro diritti (come quello all’autodeterminazione del popolo ucraino e di quello palestinese) e dei loro bisogni, dicendo no all’aumento delle spese militari, all’acquisto di nuovi aerei da combattimento, alla progressiva integrazione nella NATO. Continuiamo a batterci per una Svizzera disarmata e solidale, sul piano nazionale e internazionale, e per l’abolizione dell’esercito.
Combattere le discriminazioni di genere
Nonostante leggi e dichiarazioni, le discriminazioni di genere – salariali, lavorative, formative, sociali – persistono e si aggravano. A trent’anni dalla Legge sulla Parità, è evidente che senza una rottura sistemica nessun progresso sarà possibile. Lo stesso vale per la lotta alla violenza contro le donne, dove le istituzioni ignorano anche le proposte più basilari (ad esempio, un numero unico di emergenza). La giustizia di genere non può più aspettare.
Costruire un’alternativa alla crisi del sistema formativo
Scuola e formazione sono sempre più al servizio del mercato, e la selezione sociale continua a caratterizzare le scuole obbligatorie e post-obbligatorie. Il sistema duale di formazione professionale mostra segni di crisi, con il padronato che detiene il monopolio sui posti di tirocinio, aggravando lo squilibrio tra domanda e offerta. Occorre ripensare radicalmente il sistema formativo, rafforzare una prospettiva pubblica ed equa, sottratta agli interessi padronali e dotata delle risorse necessarie per migliorare le condizioni di insegnamento e apprendimento.
Opporsi allo smantellamento del sistema socio-sanitario
Da anni assistiamo a un attacco sistematico alla sanità pubblica, con un ruolo crescente delle imprese sanitarie private e, soprattutto, delle assicurazioni malattia. Il futuro del sistema sanitario è minacciato dalla prospettiva di ridimensionare strutture ospedaliere pubbliche, in favore di logiche quantitative e finanziarie che mettono a rischio servizi fondamentali (pronto soccorso, maternità, cure di base). Serve un rilancio della rete sanitaria pubblica, accessibile e territoriale, un netto miglioramento delle condizioni di lavoro e dei salari del personale sanitario, e una riforma radicale del sistema assicurativo.
Contro le destre e il razzismo, diritti e solidarietà
L’estrema destra approfitta dell’insicurezza generale e promette una stabilità solo apparente, combinando neoliberismo estremo, tradizionalismo fondamentalista e razzismo. Questa alleanza ha anche a che fare con gli interessi di classe. Le frange più reazionarie della classe dominante nel Nord globale stanno cogliendo l’occasione per smantellare ciò che resta dello Stato sociale e revocare le concessioni che i movimenti operai e sociali hanno conquistato con tanta fatica nel XX° secolo.
Anche se Trump sta smantellando rapidamente i servizi e le prestazioni statali e sta cercando di trasformare dall’alto il sistema politico verso un regime autoritario, la dittatura fascista non è all’ordine del giorno nei paesi occidentali. Ma già oggi i governi liberali e conservatori stanno facendo proprie le richieste dell’estrema destra. Dobbiamo aspettarci che un brusco aggravarsi delle crisi possa convincere ulteriori settori della borghesia e della popolazione a puntare sulla carta fascista.
In questo contesto dobbiamo combattere le tendenze fasciste, la xenofobia e il razzismo, difendere i diritti dei migranti e i diritti democratici fondamentali di e per tutti e tutte
Per concludere: la necessità di un’opposizione unitaria e a tutto campo
I temi qui delineati non rappresentano un programma esaustivo, ma definiscono alcune priorità per una discontinuità politica rispetto alle scelte dominanti degli ultimi anni.
Un’opposizione coerente e determinata deve nascere dal basso, attraverso mobilitazioni reali contro le politiche del padronato e dei suoi partiti. In questa direzione vanno sviluppate e rafforzate le esperienze positive degli ultimi anni.
Tuttavia, anche sul piano istituzionale è necessario un cambio di paradigma: costruire un fronte che, sul piano economico, sociale e ambientale, si opponga al capitalismo liberale e ai partiti che ne rappresentano gli interessi.
Il sistema elettorale ticinese – che, come detto, consente anche a forze minori di entrare in governo – punta all’integrazione e alla normalizzazione politica. Ma entrare in governo non deve significare abbandonare l’opposizione. Al contrario: deve significare utilizzare quella posizione per sostenere apertamente l’opposizione politica e sociale, a tutti i livelli.
La presenza in governo può – e deve – essere compatibile con un’azione pubblica, chiara e radicale di contrasto, sia nelle istituzioni che nella società. A condizione che esista un programma politico autonomo, alternativo e credibile e che vi sia un cambiamento fondamentale di paradigma.
Questo documento si rivolge a tutte le forze politiche della sinistra che condividono la prospettiva di un’alternativa al capitalismo liberale e che ritengono imprescindibile il rispetto dei diritti democratici fondamentali (libertà di espressione, organizzazione, pluralismo politico, ecc.), per i quali il movimento operaio si è storicamente battuto e che hanno spesso permesso di conquistare. In questo senso, non possono essere accettati sostegni a regimi che – a prescindere dalla loro denominazione – sono in palese contrasto con tali diritti, senza i quali non potrà mai esistere una reale alternativa al capitalismo liberale.
Nel prossimo periodo l’MPS intende diffondere questa sua presa di posizione e rivolgersi a tutte le forze politiche della sinistra per verificare in quale misura esse condividano questa impostazione. E per verificare se, partendo da uno scambio di riflessioni e discussioni, si possa passare ad un’azione politica orientata nella prospettiva che abbiamo indicato.
Bellinzona, 20 maggio 2025