Anchorage, Alaska, il palcoscenico è di Putin
È probabilmente troppo presto per dare un giudizio complessivo sull’incontro tra i “grandi” tenutosi ieri ad Anchorage, in Alaska. Basarsi solo su quel poco che è stato detto nella conferenza stampa finale, laconica e propagandistica è del tutto fuorviante. Dovremo aspettare qualche notizia in più e seguire l’incontro di Trump con Zelensky, che si terrà a Washington lunedì.
Naturalmente le dichiarazioni per le quali “un accordo sarebbe imminente” sono tutt’altro che incoraggianti. I riferimenti allo “scambio di territori” sono agghiaccianti. L’Ucraina non rivendica alcun territorio, se non la restituzione dei territori che sono stati violentemente annessi dalla Federazione Russa. La realtà democratica, politica, sociale ed umana di quelle regioni occupate militarmente è drammatica: bambini rapiti e deportati in Russia, russificazione forzata, obbligo per tutti all’uso della lingua russa, divieto di aborto, amministrazioni locali non elette, coscrizione forzata nell’esercito russo… Peraltro, basterebbe parlare con qualche residente nella Crimea (annessa alla Russia da oltre 10 anni) per desumere il destino delle altre regioni sotto occupazione.
Ma anche per quel che riguarda le rivendicazioni della stessa Russia, esse, nei tre anni e mezzo di guerra, sono state sempre vaghe e indefinite, andando dalla “denazificazione” al cambio di governo, alla totale negazione dell’esistenza di una “nazione ucraina”. Sappiamo che la “base minima per un accordo” per Putin è quella di annettere tutta l’Ucraina orientale, ma certo sono del tutto misteriose le “concessioni” che sarebbe disposto a fare, “in cambio”.
Certo, il vertice stesso, persino al di là dei contenuti dell’ipotetico accordo, costituisce una vittoria politica per Mosca. Trump ha ricevuto Putin con tutti gli onori, con ciò riabilitandolo dopo anni di isolamento, anzi di condanna come “criminale di guerra” da parte della Corte Penale Internazionale, che nel marzo 2023 ha emesso contro di lui un mandato di cattura internazionale.
La sinistra filoputiniana ha giustamente condannato l’atto di legittimazione del criminale Netanyahu quando quest’ultimo è stato accolto a Washington dal medesimo Trump. Oggi invece esulta perché il tappeto rosso, gli applausi, gli onori da “capo di stato” e l’atto stesso dell’incontro di Anchorage attestano che Putin e la “sua” Russia sarebbero “usciti dall’isolamento e dalla delegittimazione” in cui l’Occidente li avevano cacciati. E gioisce perché non si parla più di vittoria dell’ Ucraina ma di apertura di “una trattativa”.
Trump, che sull’aereo che lo stava conducendo in Alaska, aveva indicato la fine della guerra come scopo del vertice e aveva aggiunto che qualunque risultato diverso lo avrebbe lasciato insoddisfatto, sembra fare buon viso a cattivo gioco. Ma il risultato dell’incontro era del tutto nelle cose. Trump, da affarista figlio di papà, crede che le concessioni formali siano sufficienti ad convincere i suoi interlocutori. Per fare questo aveva, perfino da prima del suo insediamento alla Casa Bianca, aperto ampi crediti a Putin e alle sue pretese. E dall’altro lato aveva bullizzato e messo nell’angolo Zelensky, per sottolineare che i tempi di Biden erano passati e che i “suoi” Stati Uniti avevano cambiato orientamento a livello mondiale. Ma tutto ciò non ha cambiato per nulla le scelte del Cremlino, anzi ne ha confermato l’arroganza e la determinazione neoimperiale.
Certo, ha fatto gioco anche una certa sudditanza culturale di Trump al suo omologo russo, che, nel suo paese è da tempo riuscito ad imporre un assetto autocratico e autoritario, quella “democratura” che costituisce per il presidente americano e per i suoi supporter un modello.
L’accoglienza a Putin, l’uso amichevole del nome, “Vladimir”, i sorrisi, le strette di mano e il clima di cordialità messi in scena ad Anchorage hanno confermato nella testa dell’autocrate russo che è giunto il momento di mettere a frutto in Ucraina (e non solo là) la nuova fase della politica americana. La stessa conferenza stampa congiunta al termine del vertice ha avuto un andamento anomalo rispetto al cerimoniale tradizionale di questi incontri. Putin, l’ospite, ha preso la parola per primo, parlando per nove minuti, sostenendo di “essere fiducioso”, augurandosi che “le capitali europee non ostacolino la pace”, ribadendo che “bisogna rimuovere le cause profonde del conflitto”, affermando, a evidente scopo adulatorio verso Trump, “fossi stato tu presidente, la guerra in Ucraina non sarebbe cominciata”. Trump, il “padrone di casa”, ha detto solo poche parole, semplicemente ricordando che la trattativa continuerà, e che, tautologicamente, “There is no deal until a deal”, cioè che l’accordo non c’è finché non c’è un accordo…
Peraltro, l’accordo tra i “grandi”, anche se ci fosse, andrebbe poi fatto ingoiare al popolo ucraino, che proprio nelle scorse settimane, con le mobilitazioni contro la corruzione, ha fatto vedere di essere certo prostrato da quasi 43 mesi di guerra (oltre gli altri 8 anni di conflitto “a bassa intensità”), ma di non essere affatto disposto ad accettare un accordo quale che sia. Anche questo è un aspetto che tanti “pacifisti” della “sinistra” trascurano.
Non possiamo neanche escludere che nell’ambito dell’incontro si siano definite alcune cose a cuore ad entrambi, ma che entrambi, sia Trump sia Putin, preferiscono almeno per il momento non rivelare. Ne ipotizziamo alcune, come possibili: appunto, come far ingoiare e digerire quanto eventualmente stabilito all’Ucraina e agli europei; come gestire gli accordi economici sulle “terre rare”, sull’energia, ecc.; sondare la disposizione della Russia nell’equilibrio globale; capire la posizione della Russia rispetto alle diverse opzioni in campo per Gaza e il Medio Oriente…
Il presidente ucraino ha commentato gli esiti dell’incontro di Anchorage con un post su X (vedi qui sopra), nel quale ha anche preannunciato il suo imminente viaggio a Washington.
Non è un caso se tutta la stampa internazionale parla di “trionfo” di Putin. Noi abbiamo riprodotto l’editoriale del quotidiano ucraino The Kyiv Indipendent.
Possiamo stare certi che Putin si rivenderà bene il successo del suo viaggio in Alaska
Dice bene Ida Dominijanni sul suo profilo Facebook: “La logica delle grandi potenze è ristabilita, ma rovesciata in logica dell’impotenza: chi si era spinto a paragonare l’incontro di Anchorage a una “Yalta senza Churchill” dovrebbe realizzare che se a Yalta si disegnò un ordine mondiale, a Anchorage si rimane in un disordine fuori controllo”.
La guerra intanto sul fronte ucraino continua e, se possibile, si inasprisce al di là delle chiacchiere e della propaganda di Anchorage.
*articolo apparo su refrattario e controcorrente il 16 agosto 2025