Prima la scuola o gli “imperativi finanziari”? È ora di cambiare politica

Il dibattito sulla scuola, ciclicamente, torna a concentrarsi sul tema delle “risorse” disponibili per difenderne e migliorarne la qualità. Un tema antico, ma oggi di bruciante attualità: le decisioni prese in queste settimane determineranno concretamente la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento nei prossimi anni. Parliamo di scelte che vanno dal numero di allievi per classe alla dotazione di ore a disposizione dei singoli istituti; dal diritto ad accedere all’insegnamento con un numero di ore sufficiente per vivere alla lotta contro una selezione scolastica in cui prevalgono — oggi più che mai — criteri fondamentalmente classisti.
Eppure, nonostante proclami e dichiarazioni di principio, lo scontro si riduce sempre allo stesso schema: da un lato le esigenze sociali e culturali della scuola pubblica, dall’altro i vincoli dell’equilibrio dei conti pubblici.
Il primo è un bisogno chiaro, ampiamente riconosciuto; il secondo è una disciplina finanziaria fondata su leggi e regolamenti, ma ispirata ai dogmi del capitalismo liberale e neoliberale, che privilegiano il contenimento della spesa a prescindere dal contesto sociale.
Il risultato è sempre lo stesso: buone proposte, ma “peccato costino troppo”.

Due esempi concreti: la doppia docenza e la riduzione del numero di allievi per classe

Questa logica emerge chiaramente nelle risposte del governo a due recenti iniziative parlamentari.
Primo esempio. Il 16 aprile 2024 le deputate Maura Mossi Nembrini e Tamara Merlo hanno presentato una mozione “Per una doppia docenza nella scuola dell’infanzia” con la quale si chiede al Consiglio di Stato di estendere la doppia docenza a tutte le sezioni di scuola dell’infanzia con effettivi superiori a 12 allieve e allievi complessivi.
Pochi mesi fa il governo ha preso posizione chiedendo al Parlamento di respingere la mozione. Interessanti, tuttavia, le motivazioni. Leggiamo la sintesi: “Pur comprendendo la motivazione di fondo che ha condotto le mozionanti a proporre l’introduzione di una doppia docenza in ogni sezione di SI, il Consiglio di Stato ritiene che tale proposta non rappresenti una soluzione percorribile. L’introduzione di una doppia docenza comporterebbe infatti un significativo aumento dei costi in termini di risorse umane e finanziarie. Considerando l’attuale situazione congiunturale e la necessità di una gestione accurata delle risorse, l’implementazione generalizzata di una seconda figura docente per ogni sezione di SI risulterebbe a oggi insostenibile” (sottolineatura nostra).

Secondo esempio. Lo scorso mese di marzo, i deputati dell’MPS hanno inoltrato al Consiglio di Stato un’interrogazione con la quale chiedevano, tra le altre cose, se “Per evitare la dispersione delle competenze acquisite dagli insegnanti abilitati” il governo non ritenesse opportuno “valutare un allentamento dei criteri relativi alla formazione delle classi, in particolare per quanto riguarda il numero di allievi per sezione”.
Anche in questo caso è interessante la risposta del governo: “La necessità di rispondere a situazioni sempre più complesse anche nel mondo della scuola, a seguito di cambiamenti e fragilità della società, richiede sforzi anche in termini di risorse per garantire a tutte e tutti un’adeguata formazione e pari opportunità. Nell’attuale momento congiunturale, che richiede a tutti i servizi dello Stato sforzi finanziari, un aumento del numero di sezioni delle scuole medie superiori per l’anno scolastico 2025/2026 effettuato diminuendo il numero di allievi per sezione è difficilmente realizzabile” (sottolineatura nostra).
Nei due casi vediamo la stessa logica. Da un lato si arriva addirittura a sostenere l’importanza e la necessità di tali proposte (anche per rispondere, come nel caso della seconda, all’emergente problema della precarietà occupazionale degli insegnanti); dall’altro si invoca la necessità di perseguire una politica di contenimento della spesa, nel quadro delle indicazioni approvate dalla maggioranza di governo e Parlamento negli ultimi due anni.

Il DECS: dichiarazioni e scelte che non coincidono

È noto che, nella pratica parlamentare, le risposte formali del Consiglio di Stato riflettono quasi sempre la posizione del dipartimento competente. In questo caso, il Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport (DECS).
E qui nasce una contraddizione evidente: la direttrice del DECS, più volte, ha ribadito la necessità di difendere e rafforzare la scuola pubblica, sottolineando in particolare che, per poterlo fare, sono necessarie risorse adeguate e potenziate. Eppure, nei fatti, il dipartimento sembra allinearsi alla linea restrittiva del governo.
La discrepanza è stata lampante nei due momenti chiave degli ultimi anni: la preparazione dei Preventivi cantonali 2024 e 2025. Quei due Preventivi non solo avevano un segno politico chiaro — caratterizzato da una politica di austerità e di tagli alla spesa sociale, a partire dai sussidi di cassa malati fino alla formazione e ad altri settori —, ma rinunciavano esplicitamente alla ricerca di nuove risorse per dare una risposta diversa alle esigenze politiche e sociali, che restano tuttora insoddisfatte.
Erano documenti così sbilanciati dal punto di vista sociale che alcune delle misure fondamentali previste dal governo — come i tagli ai sussidi di cassa malati, la decurtazione del 2% dei salari dei dipendenti pubblici e la riduzione dei contributi alle scuole comunali — sono state corrette persino da un Parlamento tutt’altro che “progressista”.
Il Preventivo 2025, in particolare, si è distinto per essere quello che chiedeva i maggiori risparmi e “sacrifici” proprio al settore scolastico, con un impatto diretto sulla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Alla luce di queste scelte, il DECS appare di fatto “allineato” alla maggioranza di governo, rinunciando a scontrarsi con le altre forze politiche anche quando esistono margini interni per una politica diversa.
Ad esempio, le decisioni prese quest’estate in materia di formazione delle classi — in assoluta continuità con il passato, nonostante, come già evidenziato, vi sia l’urgenza di un cambio di rotta — mostrano la volontà di evitare qualsiasi scontro con gli altri partiti di governo. E questo accade nonostante esistano “spazi e margini interni” per adottare una linea alternativa.
Un atteggiamento che, inevitabilmente, indebolisce tutti coloro che, nella scuola e nella società, si impegnano per costruire una prospettiva diversa…