Quando chi sta in alto parla di pace…

Quando chi sta in alto parla di pace,
la gente comune sa
che ci sarà la guerra.
Quando chi sta in alto maledice la guerra,
le cartoline precetto sono già state compilate.

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

Bertold Brecht

Caldo torrido in agosto: in primo luogo perché questa estate segna un ulteriore gradino nel processo di riscaldamento climatico (con la maggioranza dei governi che hanno abbandonato anche le pur timide misure di contenimento che erano state predisposte sotto la pressione oggettiva degli avvenimenti e quella soggettiva dell’opinione pubblica), ma anche perché la fase politica e economica è gravida di minacce per il futuro delle classi lavoratrici e dei popoli, segnata sempre più dall’agire conflittuale delle grandi potenze imperialiste e dal protagonismo cinico e violento dei loro gruppi dirigenti (quasi una gara tra questi per candidarsi all’oscar del più determinato e spietato). Non è facile per la stragrande maggioranza delle persone capire cosa stia avvenendo anche perché ogni fatto, ogni scelta sono giustificati da impressionanti campagne di copertura mediatica delle diverse classi dominanti impegnate nello scontro geopolitico.

Non è dato sapere cosa dicono e cosa concordano Trump e Putin nei loro progetti di spartizione del mondo, ma sembrerebbe delinearsi un accordo sulla guerra in Ucraina, con clausole assai pesanti per Kiev, che confermerebbe a Mosca non solo la Crimea, ma lascerebbe nelle sue mani anche le altre 4 regioni (contese ed occupate solo in parte dall’esercito russo) attraverso qualche forma giuridica transitoria. Per parte sua la Russia si impegnerebbe a rinunciare a nuove invasioni ed interventi verso altre regioni; questa clausola sarebbe garantita nei fatti da una forte presenza militare occidentale, compresa una copertura aerea degli USA, per dare le necessarie garanzie di sicurezza al governo di Kiev; si farebbe riferimento alle coperture previste nell’articolo 5 della Nato in caso di attacco esterno. [1] Per la sua difesa l’Ucraina comprerebbe dagli Usa 100 miliardi di armi, che sarebbero però pagate dai paesi dell’UE.

Nel frattempo la guerra continua, perché Mosca ha rifiutato quello che pure dovrebbe essere logico ed indispensabile, cioè un immediato cessate il fuoco e le bombe continuano a cadere  sulle città ucraine.

Al momento in cui scriviamo sembrerebbe che sia in programma a breve un incontro diretto tra Putin e Zelensky, a cui seguirebbe un incontro a tre con la presenza di Trump, più che mai proteso nella sua megalomania per concorrere per il Nobel della pace (sic.). [2]  Ma il gioco tra i potenti è più che mai aperto, pieno di insidie, di possibili inganni e forzature.

Partire dalle contraddizioni profonde: il conflitto interimperialista

Per non farsi sommergere e confondere dagli atti scomposti che avvengono sul proscenio del teatro del mondo (il campo di golf irlandese, Anchorage, Casa Bianca, le calls telefoniche) occorre rimanere lucidi e partire dal bandolo della matassa, dalle contraddizioni profonde oggettive del sistema economico che oggi plasma il mondo.

I vecchi equilibri che, pur con molte contraddizioni, caratterizzavano le dinamiche degli avvenimenti mondiali dalla seconda guerra mondiale, sono venuti meno con il crollo dell’Unione sovietica, con il ritorno alle leggi del mercato dei cosiddetti paesi a “economia pianificata” dell’Europa dell’Est e con la trasformazione della Cina in una grande potenza capitalista; per una fase intermedia, grazie alle dinamiche della globalizzazione un certo equilibrio ha potuto mantenersi, anche se nel frattempo le strutture politiche internazionali (ONU) di regolazione dei rapporti tra i paesi subivano un processo di marginalizzazione e di irrilevanza. 

Resta solo il fatto che il capitalismo significa concorrenza, scontro economico, lotta per i mercati, dazi e controdazi, sostegno politico e militare delle diverse economie in campo, quindi anche guerre commerciali e guerre vere e proprie; la globalizzazione e le sue dinamiche economiche hanno rideterminato i rapporti di forza tra le diverse potenze, a partire dal ruolo egemonico degli USA, una nazione imperialista che mai aveva cessato di utilizzare la forza militare per intervenire nelle più diverse zone del mondo per mantenere il suo dominio. Questi ultimi 30 anni sono poi stati segnati dalla messa in atto delle politiche liberiste, dall’attacco al welfare nei paesi dove era stato conquistato, da pesanti arretramenti e sconfitte della classe lavoratrice, dalla correlata e sempre più profonda crisi di democrazia, dall’affermazione di forze politiche di destra e di estrema destra, dal ripiegamento e dalle sconfitte delle forze della sinistra, sia socialdemocratica che radicale, cioè dalla sconfitta di ogni progetto di società alternativa e democratica. Se vi pare poco!

Gli USA, sotto il peso di un debito pubblico colossale, hanno dovuto sempre più misurarsi con lo sviluppo della Cina, diventata l’avversario maggiore in un quadro poi di nuove potenze regionali emergenti ben decise ad affermarsi nella giungla capitalista. La Cina era la preoccupazione di Biden, come oggi è quella di Trump.

Infine c’è stata la “risorgenza” della Russia, che si è ripresa dopo la sua grande crisi e marginalizzazione successiva allo scioglimento dell’URSS. Abbiamo già scritto altre volte di come la Russia grazie alle enormi risorge energetiche e allo sviluppo dell’industria militare abbia potuto ricostruirsi come grande potenza capitalista ed imperiale e come Putin abbia ricentralizzato il potere politico ed economico, rimettendo in piedi, pezzo dopo pezzo, con la forza, la guerra e i metodi più violenti il vecchio impero zarista.

Un conflitto obiettivo con gli USA e con la Nato era inevitabile (anche se qualcuno lo ha negato) e si è via via dispiegato attraverso forme di frizione semi automatiche, ma anche agite soggettivamente dai diversi protagonisti. Putin ha preteso dal cosiddetto Occidente che questo suo rinnovato ruolo fosse riconosciuto, puntando a una nuova spartizione concordata di aree di influenza. Non avendo ottenuto questo riconoscimento ha scelto di consolidare il suo muovo impero riprendendosi anche quel paese fondamentale, in quanto zona cuscinetto, cioè la povera Ucraina negando il suo stesso diritto ad esistere come nazione.

Non ne aveva alcun diritto: lo ha fatto in spregio al diritto internazionale, e soprattutto  negando il diritto all’autodeternazione dei popoli, e segnatamente di quello ucraino.

Sulla base di una guerra che dura da tre anni quel riconoscimento e quella spartizione di aree di influenza sembra oggi portarlo a casa sulla base di frenetiche e ovviamente oscure trattative, avendo probabilmente scelto gli USA di Trump di chiudere la partita Ucraina, da cui hanno comunque già tratto grandi vantaggi economici e altri ne potranno trarre in fase di ricostruzione, preferendo avere le mani libere per agire da altri parti del mondo.

Lo vedremo nelle prossime settimane.  Per ora la guerra continua.

Alcune considerazioni sulla guerra in Ucraina: per l’autodeterminazione dei popoli

In realtà l’onere politico ed ora anche economico maggiore della difesa di Kiev è toccato alla UE, per altro priva di una vera governance politica, subalterna agli USA come mostra l’accordo sui dazi e l’aumento al 5% delle  spese militari per foraggiare la Nato. I dirigenti dell’UE si sono precipitati alla casa Bianca, presentandosi come i migliori difensori della libertà dell’Ucraina, in realtà per garantirsi un loro ruolo nel gioco delle potenze capitaliste. 

In questo scontro crudele e drammatico per i popoli coinvolti molti soggetti hanno fatto ipotesi sbagliate rivelatesi fallaci. Prima fra tutte quella di Putin che ha creduto di poter assoggettare l’Ucraina in una settimana trovando invece una capacità di tenuta dello stato ucraino grazie non solo alla forza dell’esercito, ma soprattutto alla fortissima resistenza della popolazione: la seconda è quella delle potenze occidentali, europee e gli USA che hanno ritenuto che l’invio delle armi agli ucraini e le sanzioni avrebbero piegato la Russia e che la guerra sarebbe stata vinta, in subordine che il prolungarsi della guerra avrebbe indebolito fortemente il capitalismo russo. I russi hanno anche saputo modificare, dopo alcune sconfitte subite, i loro piani militari. Così è andata avanti una guerra interminabile che ha ormai mietuto forse un milione di vittime sia civili e militari, un prezzo terribile ed insopportabile in primo luogo per la popolazione ucraina, ma anche per la stessa Russia. La guerra è per i mercanti di cannoni non solo una fonte di grandi guadagni, ma sta permettendo loro di sviluppare nuove tecnologie militari, sempre più letali, potendole testare immediatamente sul campo. Così si alimenta una corsa generalizzata al riarmo.

Per tutte queste ragioni la guerra deve finire; ne va del destino delle classi lavoratrici in Europa. 

Nessuno nelle discussioni di questi giorni si pone il problema che spetterebbe ai popoli delle regioni contese e coinvolte per storia, scelta politica o giudizio, dove collocarsi. E questo potrebbe essere fatto in libertà solo col ritiro dell’esercito russo, e ovviamente di tutte le altre parti che hanno partecipato a questa guerra e, a presiedere a una pace più o meno giusta, ma di certo necessaria, non potrebbe che essere una struttura esterna, cioè l’ONU, l’unico organismo che potrebbe garantire un forza di interposizione “neutrale”. Ma questo sarebbe possibile solo se da subito ci fosse un cessate il fuoco, quel cessate il fuoco che a seconda degli accadimenti della guerra favorevoli o meno è stato è richiesto o rigettato da una parte o dall’altra. Uno scenario forse impossibile, ma che invece andrebbe rivendicato. Spetta oggi, in ogni caso, solo al popolo ucraino decidere quale giudizio dare e che cosa fare in relazione alle trattative in corso che avvengono largamente sopra la sua testa.

Le guerre della UE: deperimento della democrazia e ricerca di un rinnovato ruolo imperialista 

Una parola in più va detto sull’UE, che invece di giocare un possibile ruolo politico e diplomatico per fermare subito la guerra, ha scelto fin dall’inizio di parteciparvi attivamente ponendosi come limite solo la rinuncia all’invio diretto di truppe militari. 

Questa Europa si vuole presentare come paladina dell’Ucraina, in realtà è preoccupata soprattutto dal non essere tagliata fuori da quella che si presenta una spoliazione delle risorse di quel paese con gli USA che già hanno imposto a Kiev un accordo sulle terre rare, con la Russia che controlla alcune regioni importanti, con una serie di riunioni dei paesi occidentali che hanno avuto come titolo “la ricostruzione futura dell’Ucraina”, ma che sono servite a decidere quale sarà la parte del business attribuito a ciascun paese. All’Italia sembra toccherebbe la zona intorno ad Odessa. La UE risulta anche quella che ha fornito i maggiori prestiti all’Ucraina, oltre che la maggior quantità di armi.

E qui veniamo a un altro nodo fondamentale. Quando la guerra finirà l’Ucraina e il suo popolo si troveranno sulla spalle un territorio devastato, una popolazione ridotta, un debito enorme. Questo debito deve essere azzerato. Questa è una rivendicazione fondamentale se si vuole veramente la pace ed aiutare la ricostruzione e l’indipendenza di quel paese.  

Infine un corollario non indifferente sull’Europa: da venti e più anni l’UE, cioè la sua direzione espressione delle borghesie europee ha condotto con le politiche dell’austerità una guerra di classe, una guerra economica contro le classi lavoratrici del continente, ed oggi pensa di superare le sue contraddizioni attraverso una politica di riamo generalizzato. Si presenta come espressione politica istituzionale democratica in alternativa a tutti le forze autoritarie, proprio quando, anche per la sconfitta delle classi lavoratrici, ha subito una forte torsione antidemocratica e condotto una guerra ai migranti trasformando il Mediterraneo in un cimitero. Infine i paesi della UE con il loro sostegno politico e con il ruolo giocato dalle sue aziende hanno sostenuto e sostengono il governo sionista di Israele nel massacro del popolo palestinese. 

Il genocidio di un popolo

E qui veniamo all’altro scenario di guerra, non una vera guerra, perché non ci sono due eserciti che si fronteggiano; esiste solo un esercito, quello israeliano che conduce una campagna di distruzione del popolo palestinese.

Il governo sionista di Israele ha scelto di mettere in atto lo scellerato progetto, da tempo ricercato ed apertamente rivendicato dai partiti di estrema destra che lo compongono, di fare cioè un passo decisivo verso la costituzione della Grande Israele, con l’occupazione di Gaza e la cacciata dei palestinesi, mentre contemporaneamente si opera sempre più anche la colonizzazione della Cisgiordania: una nuova grande Nakba, anzi, come la chiamano gli arabi, una karitha (disastro).

Conduce questo disegno scellerato e genocidario di pulizia etnica un personaggio Netanyahu che più oscuro non potrebbe essere, segnato dalla corruzione, dal cinismo e dalla violenza; un personaggio, un governo e un progetto dello stato israeliano che non avrebbe potuto e tanto meno potrebbe reggersi, quando in tutto il mondo si alzano le voci dei popoli per condannare lo sterminio del popolo palestinese e per difendere i suoi diritti all’esistenza e alla autodeterminazione, se non avesse avuto e non avesse ancora il pieno supporto politico, logistico e soprattutto militare degli USA, prima di Biden e poi di Trump e degli altri governi dell’Occidente a partire da quello italiano, terzo fornitore di armi ad Israele.

Netanyahu, raggiunge il culmine dell’ignominia quando richiama la Shoah, cioè l’olocausto degli ebrei, per giustificare il genocidio attuale che stanno compiendo. E’ un estremo dispregio non solo verso i palestinesi, ma verso i milioni di ebrei vittime della barbarie nazista. Oggi di fronte a un popolo che nuore di fame e alle scelte genocidarie del governo israeliano, molti governi occidentali, dal Canada, alla Francia e all’Inghilterra, ma non dell’Italia dell’estrema destra di Meloni, Salvini, annunciano che in autunno riconosceranno lo Stato della Palestina. Ma questa affermazione, in se positiva, rischia di essere solo un ipocrita diversione per salvare la faccia davanti alla propria opinione pubblica, se non si prendono subito le misure materiali indispensabili per salvare un popolo dalla morte di fame e dal tiro quotidiano delle forze militari israeliane, ovverosia, porre immediatamente lo stop all’invio di armi, imporre la riapertura dei varchi e il carico degli aiuti dai camion bloccati alla frontiera dell’Egitto, rompere le relazioni diplomatiche,  introdurre le sanzioni e tutti gli atti indispensabili  per impedire che il disegno di Netanyahu e delle cricche che le stanno attorno, abbia possibilità di realizzarsi. Perché fra poco non ci “sarà più alcuna Palestina da riconoscere e nessun palestinese che viva in quel luogo”. Vedasi: https://jacobinitalia.it/fra-poco-non-ci-sara-piu-una-palestina-da-riconoscere/ e Gideon Levy: https://mps-ti.ch/2025/08/riconoscere-la-palestina-non-fermera-il-genocidio-a-gaza-solo-le-sanzioni-contro-israele-lo-faranno/

E’ tempo di porre fine al commercio di armi con Israele e di imporre forti sanzioni!

Serve una forte pressione su tutti i governi e una massiccia mobilitazione mondiale per porre fine a questo genocidio.

*Sinistra Anticapitalista, 21 gennaio 2025

1. Scrivono i giornali: “Aerei droni e missili. Così l’Ucraina sarà un porcospino contro nuove invasioni da Est”
2. https://blogs.mediapart.fr/gilbert-achcar/blog/200825/trump-netanyahou-et-le-prix-nobel-de-la-paix