Francia. I meandri della crisi politica

Giovedì scorso, il 16 ottobre, con la bocciatura della mozione di censura presentata da La France Insoumise – LFI (per 18 voti di scarto) contro il governo Lecornu, riconfermato dopo un primo tentativo senza successo, Macron è riuscito a insediare temporaneamente un nuovo governo le cui basi saranno ancora più deboli degli ultimi due (Michel Barnier e François Bayrou) che hanno gestito gli affari correnti dalle elezioni legislative del giugno 2024, durando, ognuno di loro, solo pochi mesi.

Nelle ultime settimane, dall’8 settembre al 15 ottobre, un valzer di nomine e dimissioni di Sébastien Lecornu, fedelissimo di Macron, h alla fine portato alla formazione di un governo con il reale sostegno di nessun altro se non del presidente stesso. Anche i gruppi che fanno parte del “blocco di centro” (RenaissanceHorizon e Modem) stanno mettendo in evidenza le loro differenze con Macron e il suo governo di fine mandato.

Edouard Philippe (Horizon), ex primo ministro di Macron [maggio 2017-luglio 2020], chiede apertamente e insistentemente le dimissioni di Macron e elezioni presidenziali anticipate. Gabriel Attal (Renaissance), anch’egli ex primo ministro di Macron [gennaio-settembre 2024], non perde occasione per sottolineare la sua distanza dal Presidente. Infine, i repubblicani – LR, che avevano sostenuto i due governi precedenti, hanno deciso di non partecipare al governo formato dal macronista Lecornu, non volendo essere contaminati dalla radioattività di Macron e dei suoi ultimi fedelissimi.

In breve, stiamo assistendo alla fine del regno di Macron e alla disintegrazione del macronismo, riflesso degli equilibri sociali del paese, del rifiuto massiccio delle sue politiche e dei suoi leader politici. Questo disconoscimento va di pari passo con un’esasperazione che prende di mira i super profitti delle grandi aziende e la ricchezza sempre più arrogante dei “super ricchi” (il 15 ottobre, in un solo giorno, grazie all’impennata delle azioni LVMH, Bernard Arnaud ha visto il suo patrimonio – il più grande di Francia e il settimo al mondo – aumentare di 16 miliardi di euro, raggiungendo i 164 miliardi di euro), e con la crescente affermazione della necessità di giustizia sociale e fiscale. Questa affermazione si è riflessa nelle mobilitazioni sociali delle ultime settimane, in particolare nelle giornate del 10 e del 18 settembre.

Questo crescente isolamento, anche all’interno della maggioranza presidenziale, aveva portato Lecornu ad abbandonare l’idea di formare un governo il 6 ottobre, dopo aver perso il sostegno dei repubblicani di Bruno Retailleau. Il rischio maggiore era un fallimento totale che avrebbe portato allo scioglimento dell’Assemblea nazionale e a nuove elezioni legislative 16 mesi dopo le precedenti. La maggior parte dei sondaggi prevede, in questo caso, un massacro per i partiti politici del “campo presidenziale” (RenaissanceHorizonModem e UDI-Unione dei Democratici e degli Indipendenti), con la perdita di un terzo dei voti e della metà dei seggi (162 su 577 oggi). Qualunque sia la validità di questa previsione, oggi la maggioranza della popolazione esprime una critica verso il presidente, due terzi ne vorrebbero le dimissioni.

Macron aveva riconfermato Lecornu il giorno delle sue dimissioni, il 6 ottobre, per formare un governo in grado di evitare lo scioglimento e approvare il bilancio 2026, adottando, a grandi linee, glistessi orientamenti di fondo dei due governi precedenti, ma senza essere immediatamente rovesciato. Dato l’equilibrio dei rapporti di forza in parlamento, l’unica via d’uscita era ottenere la benevolenza del Partito Socialista – PS, per evitare che una nuova mozione di censura ottenesse la maggioranza all’Assemblea Nazionale. La France Insoumise aveva comunque chiesto la censura di qualsiasi nuovo governo. Il PCF e i Verdi hanno fatto lo stesso, dopo due incontri con Lecornu che avevano dissipato ogni illusione su un cambio di rotta.

Poiché anche il Rassemblement National aveva annunciato che avrebbe votato immediatamente per la censura, l’unica possibilità rimaneva quella di fare un gesto per ottenere l’approvazione del PS senza mettere in discussione la politica di austerità complessivamente orientata a favore del padronato e senza offendere troppo i gruppi politici del campo neoliberista. Inoltre, Lecornu, nella sua dichiarazione di politica generale, ha voluto anche lusingare la destra e l’estrema destra impegnandosi a inserire nella Costituzione le clausole dell’accordo di Bougival su Kanaky [del 12 luglio 2025] che mira a distruggere ogni processo di decolonizzazione e che è denunciato dal FLNKS (il Fronte di Liberazione Nazionale Canaco e Socialista).

Al di là degli imperativi politici, c’è soprattutto una paura e una richiesta che provengono dalle fila dei datori di lavoro, dei grandi gruppi capitalisti. Il timore che il malcontento sociale porti a un’esplosione sociale, o quantomeno a una forte e prolungata mobilitazione come quella vissuta in Francia nel 1995 o nel 2023, una situazione che, data la debolezza dei partiti di centro e di destra, metterebbe quantomeno in discussione tutte le riforme liberali della “politica dell’offerta” attuate a vantaggio dei capitalisti dal 2012 e sotto la  presidenza di François Hollande.

Avvertendo la debolezza politica del governo, il Medef (l’associazione padronale francese) aveva annunciato una grande manifestazione nazionale per il 13 ottobre, invitando tutti i dirigenti aziendali a recarsi a Parigi per opporsi esplicitamente a qualsiasi ulteriore pressione fiscale (in altre parole, al mantenimento dei loro privilegi fiscali), a qualsiasi politica che porti a mettere in discussione i circa 200 miliardi di aiuti e sgravi di bilancio concessi alle imprese, e a qualsiasi politica fiscale che colpisca i più ricchi e i loro patrimoni. Un esempio di questi privilegi fiscali è la legge Dutreil, che consente l’esenzione dalla maggior parte delle imposte di successione, dalla tassazione ordinaria su eredità, donazioni o successioni relative a azioni o quote di società industriali o “holding madre” . Questa esenzione di classe costa 4 miliardi all’anno.

Macron è così riuscito a superare per il momento questa situazione di stallo. Il Partito Socialista ha deliberatamente indebolito il fronte politico che rifiutava Macron, la caotica ma reale marcia verso lo scontro sociale, aiutando così la maggioranza dei vertici sindacali (CFDT, CGC, CFDT e FO) a sfuggire allo slancio di mobilitazione iniziato a inizio settembre. Per fare ciò, Macron ha dovuto fare un’importante concessione simbolica: promettere una sospensione dell’estensione dell’età pensionabile e del periodo di contribuzione per la pensione completa. In breve, un blocco a 62 anni e 9 mesi come età pensionabile per la pensione completa (con la condizione di aver versato i contributi per almeno 170 trimestri), un blocco fino al 2027, ovvero fino alle prossime elezioni presidenziali.

Senza questo blocco, ogni anno sarebbero necessari 3 mesi aggiuntivi (in termini di età e periodo di contribuzione) per avere accesso a una rendita piena. Dato che la questione previdenziale è al centro dello scontro sociale e politico dal 2023, la misura del blocco potrebbe apparire, almeno simbolicamente, come un significativo passo indietro. 300’000 persone potrebbero quindi teoricamente andare in pensione con tre mesi di anticipo nel 2026 e nel 2027. Questo potrebbe apparire come un incoraggiamento, un passo indietro per le politiche aziendali di fronte al movimento sociale, un passo indietro che ne richiederebbe altre. Ma il Partito Socialista ha preferito vendersi per un piatto di lenticchie, e Macron è riuscito a fare una “scommessa”, un piccolo sacrificio che potrebbe dargli la speranza di evitare una catastrofe immediata. Per ora, sta salvando ciò che conta, e in particolare la poca credibilità che gli è rimasta presso i gruppi capitalisti.

La promessa di “sospensione” è solo un impegno orale di Lecornu, non recepito nel progetto di bilancio presentato all’Assemblea Nazionale, e dovrebbe concretizzarsi in un emendamento alla Legge sul finanziamento della previdenza sociale (LFSS), da discutere e votare a novembre/dicembre. Le promesse sono quindi vincolanti solo per chi ci crede. Ma soprattutto, l’intera struttura finanziaria dello stato e i progetti di bilancio della previdenza sociale prevedono risparmi per oltre 30 miliardi, principalmente a spese delle classi lavoratrici, dei dipendenti e dei pensionati.

Un congelamento dell’importo delle pensioni, degli stipendi dei dipendenti pubblici e delle prestazioni sociali; così come un congelamento delle aliquote fiscali [progressione a freddo], che comporta automaticamente un aumento delle imposte; aumento delle imposte per milioni di pensionati, che colpisce quasi 2 milioni di famiglie, limitazione del rimborso di alcuni farmaci e delle indennità di malattia; tagli al bilancio pubblico e soppressione di 3.000 posti di lavoro nella pubblica amministrazione, ma nessun passo significativo verso investimenti massicci nella transizione ecologica, con il Fondo Verde dimezzato a 600 milioni di euro per il finanziamento degli enti locali a progetti concreti per combattere il cambiamento climatico e sviluppare le energie rinnovabili. Una cifra simbolo: il bilancio per l’esercito aumenta di 6,7 miliardi di euro, mentre il progetto di bilancio prevede 7,1 miliardi di euro di risparmi per la sanità.

D’altro canto, non vengono messi in discussione i 91 miliardi di esenzione dai contributi previdenziali di cui beneficiano le aziende, e un’ulteriore riduzione di oltre 1 miliardo di imposte sulla produzione. Dal 2021, la riduzione di tutte queste imposte sulla produzione (CVAE e CFE) è stata di 10 miliardi all’anno.

Quanto alla giustizia fiscale, la linea rossa di Lecornu è la stessa dei governi precedenti: non entra in discussione un modifica della imposizione delle società o quella dei redditi delle imprese. La tassa Zucman [dal nome dell’economista Gabriel Zucman], che vorrebbe introdurre un’imposta del 2% sul patrimonio, è unanimemente respinta dall’estrema destra, dalla destra e dai macronisti in quanto minerebbe le basi degli investimenti e metterebbe a repentaglio le imprese. Tuttavia, colpendo i 1’800 nuclei familiari più ricchi (con un patrimonio superiore a 100 milioni di euro), potrebbe fruttare, secondo Gabriel Zucman, 25 miliardi di euro all’anno. In pratica, ciò non avrebbe l’effetto di ridurre il patrimonio di questi individui molto privilegiati, ma di ridurre la crescita del loro patrimonio, il che è già un crimine per i difensori del sistema. Tra il 2003 e il 2023 , la ricchezza dei 500 maggiori imprenditori in Francia è aumentata di 9,3 volte, raggiungendo i 1’200 miliardi di euro nel 2021 (era di 124 miliardi di euro nel 2003). L’imposta costituirebbe quindi solo un piccolo correttivo a questo aumento di ricchezza a spese delle classi lavoratrici.

Per Macron (e nemmeno per i repubblicani o il Rassemblement National) non entra nemmeno in considerazione l’idea di mettere in discussione i pilastri del capitalismo, i cosiddetti “beni professionali”.

Nel tentativo di evitare i pericoli della mobilitazione sociale, il governo ha anche annunciato una nuova conferenza sociale su pensioni e lavoro, riprendendo la discussione su una transizione da un sistema pensionistico fondato sulla ripartizione a uno incentrato sulla capitalizzazione, ipotizzando la prospettiva di una gestione congiunta sindacal-manageriale, con, come in molti paesi, la porta aperta alla gestione da parte di gruppi bancari e assicurativi. Il problema è che, come all’inizio del 2025, quando Bayrou istituì un “tavolo” sulle pensioni, la maggior parte dei vertici sindacali (CFDT, CFTC, CGC e FO) sta cadendo in questa nuova trappola il cui unico scopo è dividere e rallentare le mobilitazioni frontali contro le politiche di austerità di questo governo e di questo fragile presidente.

La posta in gioco si è quindi spostata negli ultimi giorni. Si tratterà di contrastare queste divisioni aperte e di lavorare per iniziative unitarie, mobilitazioni attorno alle rivendicazioni di giustizia sociale, di bilancio e fiscale, lungo assi già proposti nel programma del Nuovo Fronte Popolare (NFP). La dirigenza del PS spera di sfruttare elettoralmente i residui del macronismo, presentandosi ancora una volta come un amministratore compatibile con il neoliberismo. Eppure, è stato proprio questo orientamento a far affondare il PS con la presidenza di François Hollande, e molti attivisti socialisti non lo hanno dimenticato. Molti dirigenti dei partiti di sinistra hanno tutta l’attenzione concentrata sulle scaramucce parlamentari o sulla preparazione delle elezioni comunali del 2026. Tuttavia, l’attenzione dovrebbe invece concentrarsi sull’organizzazione di una risposta sociale e politica unitaria alle politiche padronali.

I bilanci saranno votati entro i prossimi due mesi. Settimana dopo settimana, emergeranno gli attacchi in essi contenuti, e la destra stessa sarà pronta a rafforzare le sue critiche sociali.

Proprio come un anno fa, il Partito Socialista farà fatica a mantenere un atteggiamento benevolo nei confronti di un governo ancora più debole dei suoi due predecessori. Ciò rende ancora più importante che il movimento sociale trovi la forza per smantellare questa coalizione reazionaria.