Difesa dei diritti di chi lavora e lotta al dumping, comincia la campagna

Come ci si poteva aspettare, la maggioranza del Gran Consiglio ha respinto l’iniziativa popolare presentata quasi 6 anni fa dall’MPS. Ora la parola passa agli elettori e alle elettrici che saranno chiamati/e a pronunciarsi verosimilmente il prossimo 8 marzo. Da oggi comincia la nostra campagna a sostegno dell’iniziativa. Dobbiamo e possiamo vincere.
Qui di seguito l’intervento pronunciato nel corso della seduta di martedì 18 novembre in Gran Consiglio che illustra i contenuti e le ragioni dell’iniziativa. (Red)

Un primo aspetto sul quale è necessario soffermarsi riguarda l’origine dell’iniziativa, nonché tempi e modi con i quali essa è stata trattata.
Essa è stata dichiarata valida il 31 gennaio 2020. Se andremo a votare il prossimo 8 marzo saranno passati più di 6 anni. Una bella dimostrazione di quanto le richieste popolari (un’iniziativa è questo) contino agli occhi di questo parlamento!
Sul tema del dumping poi, il Parlamento è recidivo.
Infatti già nel 2011 avevamo lanciato una iniziativa simile. Anche questa aveva dovuto attendere 5 anni per essere sottoposta a votazione popolare; per sconfiggerla si ricorse alla presentazione di un controprogetto, alla fine approvato di poco (il 55%) che riuscì nel suo unico obiettivo: far cadere l’iniziativa (che ottenne comunque il 46% dei voti).
Il tema del dumping salariale non è quindi una cosa recente. Si è manifestato negli ultimi due decenni  e si è prepotentemente imposto, installato nella realtà economica e sociale di questo Cantone. La questione salariale, con i suoi addentellati di ordine sociale, economico e fiscale è la questione centrale di questo Cantone; e la perdita di qualsiasi controllo sul mercato del lavoro è ciò che contribuisce nel contesto del nostro Cantone allo sviluppo del dumping.
D’altronde persino la maggioranza politica ha dovuto, indirettamente, ammetterlo: i 15 o 16 contratti normali di lavoro approvati in questo stesso periodo non sono altro che il riconoscimento di questo dato di fatto: contratti normali di lavoro che in realtà hanno contribuito non a combattere il dumping, ma a favorirlo e stabilizzarlo, facendo diventare norma legale, riconosciuta e accettata il pagamento di salario attorno ai 3’000 franchi mensili. È questa politica che ha imposto nella realtà economica e sociale di questo paese un salario da fame come salario di riferimento.

Ma il dumping non si nutre solo di bassi salari. Il dumping si sviluppa, come abbiamo detto, laddove il mercato di lavoro diventa una luogo selvaggio, senza regole; laddove il mercato del lavoro è ormai fuori controllo
Potrei fare qui molti esempi che mostrano questa realtà (li faremo nel corso di questo dibattito, ad essi dedicherà spazio nel suo intervento il collega Pronzini).
Mi limiterò a citare un piccolo ma significativo esempio apparso di recente sul quotidiano laRegione che, nell’ambito di un articolo dedicato all’aumento dei costi della fisioterapia, così titolava:. “Cresce il numero di studi di fisioterapia ma non si sa in quanti ci lavorano”, aggiungendo, e cito, che “Il numero esatto di fisioterapisti attivi in Ticino non è noto”; e il responsabile dell’Ufficio di sanità  commentava: “quanti siano i fisioterapisti che lavorano in questi studi, il cui lavoro è fatturato a carico della LAMal tramite fatture emesse a nome dello stesso studio, non è invece conosciuto”.
Una situazione imbarazzante per chi vuole, come pretendono la maggioranza del Gran Consiglio e il governo, contribuire a “contenere” i costi della sanità, anche attraverso la limitazione del numero dei fisioterapisti.
Non si sa quanti e chi sono coloro il cui lavoro viene fatturato: immaginiamoci se qualcuno ha un’idea di quanto vengono pagati, di quante ore lavorano e tutti gli altri elementi che costituiscono il rapporto di lavoro e sono regolati da contratti, leggi e regolamenti.

Uno dei punti centrali di questa iniziativa è l’obbligo di notificare all’Ispettorato cantonale del lavoro ogni contratto di lavoro e le relative condizioni (salario, orario, percentuale di impiego, ecc.) stipulato sul territorio cantonale. Lo stesso dovrà avvenire alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò permetterà di verificare immediatamente il rispetto delle soglie salariali e delle condizioni previste dalla legge, senza dover attendere controlli successivi. Non si potrà più dire non sappiamo chi lavora e quanto è pagato e a quali condizioni lavora.

Questo piccolo esempio relativo ai fisioterapisti è solo un indizio di un problema più ampio: un mercato del lavoro, come detto, ormai fuori controllo, nel quale il dumping salariale (cioè la spinta dei salari verso il basso) la fa da padrone.
Salari indecenti, persone assunte ufficialmente al 50% che lavorano al 120%, licenziamenti abusivi, ultracinquantenni sostituiti con personale “meno costoso”, finti stage, lavori non retribuiti, neomamme private dei loro diritti: ormai non passa settimana senza che i media riportino casi di abusi sul lavoro.
È questo mercato del lavoro ormai fuori controllo a costituire il terreno fertile affinché il dumping prenda piede. Non voglio qui dilungarmi ad illustrare i dati contenuti nell’ottimo rapporto di minoranza e che mostrano in modo inequivocabile il rapporto tra questa ormai totale liberalizzazione del mercato del lavoro e lo sviluppo del dumping salariale e sociale. Basterà qui far riferimento capitali 5.1 e 5.2 di questo rapporto per avere chiari elementi di analisi.
Il dumping salariale e sociale si è esteso a macchia d’olio in tutti i settori, in particolare nel settore terziario che occupa la grande maggioranza dei salariati e delle salariate di questo Cantone e nel quale le regolamentazioni sono assai limitate. Nessuno è più al riparo: chiunque, indipendentemente da formazione, competenze o livello salariale, rischia di diventare vittima di sfruttamento senza regole. Il mondo del lavoro in Ticino è diventato un vero e proprio Far West, dove prevale la legge del più forte e lo Stato (ancora meno le deboli organizzazioni sindacali) non riesce più a garantire il rispetto dei diritti sanciti da leggi, regolamenti e contratti.

A questo proposito, ne ho già accennato ieri, sbaglia chi pensa che l’applicazione dei contratti collettivi decretati di obbligatorietà generale spetti alle organizzazioni sindacali firmatarie. Ricordo che il decreto di obbligatorietà generale parte dal presupposto che vi sia un interesse pubblico superiore che, a precise condizioni, permette allo Stato di dare di fatto forza di legge a questo contratto privato tra le parti. Faccio notare, ad esempio, che il più importante contratto di lavoro nazionale decretato di obbligatorietà generale (quello dei lavoratori impiegati attraverso agenzie di collocamento) non rispetta nessuno dei normali criteri necessari alla decretazione di obbligatorietà generale ed è solo un interesse pubblico superiore (cioè quello di garantire criteri di concorrenza corretti sul mercato del lavoro) a far sì che esso sia stato decretato di obbligatorietà generale.
D’altronde in passato, e a più riprese, l’ispettorato del lavoro ha proceduto a controllare l’applicazione di contratti collettivi di lavoro anche quando non erano di obbligatorietà generale.

Una delle novità di questa iniziativa, rispetto a quella precedente alla quale ho accennato in entrata, riguarda la costituzione di una sezione dell’ispettorato del lavoro che si dedichi esclusivamente alla lotta contro le discriminazione di genere, alla luce delle disposizioni di legge e i regolamenti relativi.
È sicuramente un aspetto decisivo e centrale per noi di questa iniziativa. Ho detto che, rispetto a quella precedente, è l’elemento di novità; ma, forse, è più utile ricordare che dal 2011 ad oggi la novità è un’altra, orma incontrovertibile: e cioè che le disposizioni di legge relative alla lotta delle discriminazioni di genere, a cominciare dalla Legge sulla parità, sono rimaste più o meno lettera morta. Non è più necessario dimostrare che gli strumenti messi finora in campo non hanno permesso di cavare un ragno dal buco.
Possiamo allora affermare con sicurezza che quanto noi proponiamo permetterà di mettere in atto, veramente e non solo a parole, strumenti che permettano di verificare, ad esempio, che i molti aspetti della legge sulla parità (da quelle relative ai salari a quelle relative alle molestie, per non citarne che alcune) possano finalmente cominciare ad essere applicati. Basta con le chiacchiere: le donne attendono fatti concreti!

Vi sono poi in questa iniziativa – e ne costituiscono un altro degli aspetti fondamentali – due elementi tra di essi strettamente connessi: l’obbligo di notifica di ogni contratto di lavoro e l’utilizzazione di tutti questi dati per allestire delle statistiche sul mercato del lavoro finalmente credibili.
Non è solo una questione statistica, ma una vera e propria questione di democrazia. Non si comprende infatti come si possano decidere alcune cose (ad esempio fissare dei salari minimi) sulla base di inchieste e studi che possono ispirarsi a dati parziali e non sempre attendibili.
Ricordiamo il penoso dibattito al momento della discussione sulla fissazione del salario minimo e quella, ancora più aleatoria, della cosiddetta verifica dell’applicazione del salario minimo. Tutti ricordano le pagine e pagine di ordine metodologico con il quale una ampia schiera di economisti hanno cercato di giustificare il metodo seguito per poter far capo, partendo da diverse fonti di dati, ad una base di dati affidabile. Penso che tutti ricorderanno, a giustificazione “scientifica” (si fa per dire) di quella operazione un paio di formule contenenti una ventina di elementi (tra cifre e lettere) tuttora incomprensibili a tutti noi.
Ebbene, tutte le discussioni che abbiamo avuto, che abbiamo e che avremmo sulla questione salariale in Ticino sarebbero di gran lunga più serie, più realistiche e più interessanti se avremo a disposizione le ricchissime statistiche che potranno essere realizzate grazie alle proposte contenute nella nostra iniziativa.

Già una volta, nel caso di una precedente iniziativa simile sulla quale abbiamo votato nel 2016, la maggioranza del Parlamento ha giocato un tiro mancino agli elettori e alle elettrici, presentando un controprogetto che, come si immaginava, è poi rimasto lettera morta, riuscendo tuttavia a raggiungere l’obiettivo di far fallire l’iniziativa (che si fermò comunque – sebbene sostenuta dal solo MPS – al 46%). Chi è da più tempo in questo Parlamento ricorderà i numerosi atti parlamentari (interrogazioni, interpellanze, etc.) che, nel corso dei due anni successivi, richiamarono a più riprese il Consiglio di Stato che, palesemente, non aveva proceduto a realizzare quanto promesso con il Controprogetto.

Prepariamoci a non farci fregare un’altra volta: è in gioco non solo la possibilità, finalmente, di conoscere il numero dei fisioterapisti dipendenti, ma anche di fare i primi passi per mettere ordine in un mercato del lavoro ormai sfuggito a ogni controllo, le cui conseguenze pesano sulle condizioni di vita e di lavoro della stragrande maggioranza di chi vive e lavora in questo Cantone.

L’iniziativa mira, per concludere, a costruire un sistema di controllo efficace del mercato del lavoro, che permetta di verificare il rispetto delle leggi, dei regolamenti e dei contratti collettivi. Si tratta di un passo decisivo per contrastare il dumping salariale e sociale, che da anni mina la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori del nostro Cantone.