La “pace” di Gaza e il campismo
Il Consiglio di sicurezza dell’ONU all’unanimità impone un intollerabile trattato trumpiano e colonialista a Gaza, cosa che rivela le illusioni di grandissima parte della “sinistra”.
Giorni fa, il 18 novembre 2025, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato all’unanimità (con l’ipocrita ed ininfluente astensione di Cina e Russia) a favore del “piano di pace” per Gaza redatto dall’amministrazione Trump. (nella foto in alto il momento del voto)
Come si è constatato sul campo, il piano si traduce ad un un cessate il fuoco che Israele ha comunque ripetutamente violato, adducendo pretesti unilaterali e fuori da ogni verifica. Prevede la formazione di una “forza internazionale di stabilizzazione” legata ad un “governo di transizione” sostanzialmente senza palestinesi e un “consiglio di pace”, imperialmente presieduto da Donald Trump e guidato dal “viceré” Tony Blair.
Nella sostanza, si tratta di una totale e completa abdicazione da ogni responsabilità umanitaria, una capitolazione totale alla macchina imperialista e il tradimento e l’abbandono del popolo palestinese. Non è un caso se Trump si è rallegrato sui social, affermando che tale “Consiglio di pace” includerà “i leader più potenti e rispettati di tutto il mondo”. Tutto fa pensare che a “garantire la pace” saranno, oltre agli amici di Netanyahu, Trump e Blair, altri aspiranti amici in rappresentanza degli stati del Golfo (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, soprattutto).
In ogni caso, l’accordo di pace ha inaugurato la fase in cui la pace si impone alla vittima senza neanche coinvolgerla nella stesura del patto. E la tragica farsa si sta ripetendo in Ucraina.
Questo sedicente accordo di pace per Gaza, infatti, è stato negoziato senza la partecipazione di una qualunque rappresentanza del popolo palestinese, neanche di quell’Autorità di Ramallah sostanzialmente asservita al governo sionista.
L’approvazione dell’accordo da parte delle Nazioni Unite però non va banalizzato, perché a guardarlo bene rivela alcune importanti verità.
L’illusione “campista”
Tutte e tutti coloro che in buona o cattiva coscienza in questi anni hanno coltivato l’idea che nella Russia di Putin e nella Cina di Xi Jinping ci fosse una sorta di “campo antimperialista” avrebbero oggi un ulteriore occasione di ricredersi, osservando la votazione unanime del consiglio di sicurezza dell’ONU. Il dettaglio della votazione è clamoroso: 13 a favore, 0 contrari, Cina e Russia astenute; tra i favorevoli persino due stati “islamici” (Algeria e Somalia).
La compagine dei favorevoli è chiara: tutti smaniosi di chiudere l’incresciosa parentesi del genocidio di Gaza per rimettersi in fila per godere dei favori della potenza statunitense. Quanto agli “astenuti”, in particolare alla Russia, è evidente la voglia di non avversare Trump per avere in cambio il suo favore sul fronte ucraino. Tutti insieme appassionatamente a favore dell’ordine imperialista.
Un piano anche contro il movimento Pro-Pal
Ma il “trattato di pace” ha anche un evidente significato politico. Tantissimi paesi, compresi gli Stati Uniti e tante delle potenze europee (prima fra tutti l’Italia) hanno dovuto affrontare manifestazioni di massa negli ultimi mesi a sostegno della Palestina, che era diventata il tema caldo del momento. Oggi quelle potenze, da spudorati complici del genocidio, si sono lavate la coscienza diventando sostenitori della “pace”.
Solo chi ha chiaro quel che è accaduto, non solo dal 7 ottobre 2023, ma negli ottant’anni di colonialismo sionista, può tentare di smascherare quell’apparenza di pace e rivelare il piano della violenza imperialista, capitalista e genocida. Per i potenti, era necessario mettere fine a quel diluvio di immagini orribili, di corpi di bambini straziati, di immagini da carestia, della brutalità dell’esercito israeliano. Alcuni obiettano che anche Hamas ha nei fatti accettato il piano. E che lo stesso popolo palestinese ha festeggiato se non la fine del genocidio, perlomeno il rallentamento del suo infernale ritmo. Ma la tenuta sul medio periodo della “pace” si vedrà a breve. Il popolo palestinese, ce lo dice la sua storia pluridecennale, difficilmente accetterà la sostanza del “trattato”.
La stessa Hamas, pur se largamente indebolita dai due anni di guerra, si rifiuta di deporre le armi. Come accetterà il “Consiglio di Pace” e il “governo di transizione” il popolo palestinese? Tutte e tutti coloro che nel mondo hanno sostenuto la causa palestinese devono denunciare questa pace fittizia per quello che è e condannare questo complotto contro il popolo di Gaza.
L’approccio ideologico del campismo
Come abbiamo accennato, quel che è accaduto dovrebbe (non a caso usiamo il condizionale) far riflettere i “campisti”, e in generale la sinistra, in particolare quella italiana, che, pur se con diverse sfumature, in modo più o meno compiuto, quasi unanimemente ritiene che il mondo sia diviso in “campi”, o, se vogliamo usare un linguaggio meno gergale, in coalizioni rivali di stati-nazione.

Nella loro visione distorta, esiste una coalizione egemonica e “imperialista” composta da stati-nazione, generalmente provenienti dal “nucleo imperiale”, mentre il campo opposto sarebbe una coalizione “antimperialista” composta da altri stati-nazione, ma generalmente provenienti dalla “periferia”.
Per dare sostanza a questa visione si riesuma il campismo della Guerra Fredda, quando i “campi” rivali erano, da un lato, la coalizione degli stati-nazione occidentali, già allora provenienti dal nucleo imperiale, e, dall’altro, i cosiddetti paesi “del socialismo reale”, assieme ad alcuni stati-nazione anticolonialisti provenienti dalla periferia.
Non è qui la sede per approfondire la fondatezza di quella visione ormai archiviata. Quel che è in discussione è la sua applicabilità al contesto attuale. L’opinione dominante tra molti attivisti di sinistra è che il campo imperialista ed egemonico rimanga relativamente lo stesso (la NATO e i paesi amici della NATO), ma che il campo antimperialista sia guidato da Cina e Russia (e persino dall’Iran per molti), come fronte contro l’imperialismo occidentale.
Svaniscono le classi sociali
In questa visione i primi desaparecidos sono le classi sociali all’interno degli stati presuntamente “antimperialisti”. La lotta di classe sopravviverebbe solo all’interno degli stati occidentali (e dei loro alleati). La lotta a livello mondiale non sarebbe più una lotta tra classi sociali, ma tra stati, feticisticamente assunti al ruolo di attori primari sulla scena planetaria. Il feticismo dello stato attribuisce un potere indipendente agli stati-nazione come soggetti, a scapito della soggettività delle classi lavoratrici e dei popoli oppressi.
E, soprattutto, le classi dominanti degli stati “antimperialisti” vengono assolte e liberate dal loro ruolo nell’oppressione e nello sfruttamento dei loro popoli e delle loro classi lavoratrici e trasformate in soggetti positivi della lotta a livello internazionale. Con la conseguenza di negare i loro stretti legami con il capitalismo come sistema globale. Legami invece particolarmente evidenti sia per il capitalismo russo, sia, ancor più, per il capitalismo cinese.
L’approccio dei campisti (nelle loro diverse sfumature) è intrinsecamente ideologico, poiché non solo mistifica gli stati nazionali, ma nasconde anche la complessità del capitalismo come sistema globale. Ideologico nel senso deteriore del termine, perché costruisce una realtà materialisticamente inesistente per far coincidere la presunta “realtà” alle loro linee politiche.
Così, questi stati, nonostante abbiano tutti un ruolo seppur conflittuale (ma il capitalismo è intrinsecamente conflittuale) all’interno del sistema capitalistico, nella visione distorta campista diventano “agenti del cambiamento”, attori “progressisti”. Progressisti gli stati e dunque anche quelle classi che li dominano a al cui servizio gli stati stessi si pongono.
E, soprattutto, cancellano ogni ruolo per le classi oppresse, trascurando deliberatamente e colpevolmente i numerosi episodi di lotta di classe e di liberazione che si sviluppano all’interno di quegli stati.
Fate una prova: cercate nei siti delle varie formazioni politiche campiste qualche traccia delle pur importanti lotte operaie, pacifiste, femministe, antirepressive che in questi anni, nonostante la feroce repressione, si sono sviluppate in Russia, in Cina, in Bielorussia o in altri stati “antimperialisti”. Nessuna traccia. Là la lotta di classe non esiste. Tutti ad applaudire i governanti “antimperialisti”. Se qualche episodio di lotta trapela, subito vienr etichettato come organizzato da agenti “filo-occidentali”.
Una “lotta tra stati”
Nell’ideologia perversa dei campisti, le donne e gli uomini reali, le persone diventano spettatori passivi della storia, a sostegno di una delle squadre nello scontro geopolitico. E come tutte le perversioni ideologiche, il campismo è incapace di autocritica perché la sua intera esistenza dipende dall’accettazione acritica della realtà che hanno costruito nella loro testa (e in quella dei loro militanti). C’è una totale sfiducia nelle capacità liberatorie e rivoluzionarie delle masse e delle classi popolari. Il compito di di “liberare l’umanità” viene assegnato agli stati che il campismo definisce “antimperialisti”.
Per fare ciò si trascura totalmente il gioco di sponda che gli stati (di entrambi i “campi”) fanno tra loro, in un dribbling tra momenti di scontro e momenti di alleanza. E quello che hanno sempre fatto nel corso della storia. I diversi stati imperialisti hanno conosciuto alleanze a geometria variabile (in questo l’Italia sabauda è stata maestra), intervallate da guerra sanguinose tra le loro alleanze.
La Rivoluzione russa li ha provvisoriamente riuniti dopo il 1918 contro il “nemico comune”. Ma come hanno dimostrato gli anni tra le due guerre il balletto tra momenti di alleanza e di conflitto è presto ripreso, per poi sfociare nella carneficina della Seconda Guerra Mondiale. Poi, c’è stata la Guerra Fredda di cui abbiamo già parlato. Ma dal 1989 anche quella fase si è conclusa ed è ripreso il tragico balletto della guerra e delle strette di mano tra imperatori.
Oggi, Trump nei suoi incontri e nelle sue telefonate con l’amico del Cremlino, ha esplicitato con la sua consueta brutalità reazionaria e “imprenditoriale”, il gioco di sponda con Putin (e, seppur indirettamente, con Xi Jinping). La sua corsa al “Nobel per la pace” non è evidentemente ispirata né dal destino del popolo di Gaza né da quello del popolo ucraino, ma dalla voglia di assumere la collocazione migliore nella competizione tra le classi dominanti (e tra i singoli capitalisti) per l’accumulazione di capitale.
In questo quadro, chi vuole analizzare la realtà alla luce degli interessi materiali, non si sorprende che i “campioni dell’antimperialismo”, Cina e Russia, commercino con Israele. Così come non sorprende che le stesse Cina e Russia si siano astenute al consiglio di sicurezza, avallando l’apposizione del timbro della massima istanza del “diritto internazionale” sul progetto colonialista di Trump (e di Blair). In attesa del cambio di favori sull’Ucraina.
*articolo apparso su refrattario e controcorrente il 25 novembre 2025