Obbligo di notifica, un passo avanti nella lotta contro gli abusi sessuali nella Chiesa

Il Parlamento cantonale ha approvato con voto unanime, attraverso un controprogetto che ne riprende i punti fondamentali, i contenuti dell’iniziativa legislativa presentata dai deputati dell’MPS nel settembre 2024. Pubblichiamo l’intervento in Gran Consiglio di Giuseppe Sergi a sostegno delle ragioni dell’iniziativa. (Red)

La nostra iniziativa nasce dall’esigenza, ormai indifferibile, di garantire che i casi di abusi sessuali nell’ambito ecclesiastico vengano segnalati tempestivamente alla giustizia civile.
Non si tratta di un tema nuovo, ma oggi disponiamo di elementi che impongono una presa di responsabilità politica chiara.

Basterà qui ricordare lo studio indipendente, pubblicato nel 2023, commissionato dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e realizzato dall’Università di Zurigo, che ha documentato 1.002 casi di abuso sessuale all’interno della Chiesa cattolica in Svizzera dalla metà del secolo scorso. Più di 500 autori identificati, e vittime in gran parte minorenni.
Questo rapporto è stato, per il nostro Paese, un punto di svolta: ha reso impossibile continuare a considerare il problema come episodico, marginale, o gestibile esclusivamente all’interno delle strutture ecclesiastiche.

A livello nazionale è in corso un importante lavoro di ricostruzione storica, attraverso un progetto pilota e un programma triennale (2024–2026) che sta analizzando archivi, procedure, dinamiche organizzative. Parallelamente, la Conferenza dei vescovi ha annunciato misure interne, dall’ipotesi di un tribunale ecclesiastico a diverse forme di indagine indipendente. Misure certamente utili, ma che da sole non rispondono a una domanda fondamentale.

Peccato e reato non coincidono, fortunatamente da un pezzo, nelle società civili moderne. Le quali hanno acquisito la coscienza che non tutto ciò che è peccato sia reato; ma anche che la preminenza deve sempre essere data alle regole civili e in questo caso ciò che è reato, lo è indipendentemente dalle leggi di Dio.
E questo lo diciamo con grande rispetto per chi è credente, qualsiasi sia la sua fede. È anche questa – o dovrebbe esserlo – una delle acquisizioni fondamentale delle società moderne.

Nel nostro cantone, come sappiamo, non sono mancati casi specifici oggetto di indagine penale, e la Diocesi di Lugano ha istituito una commissione di esperti e un punto di contatto dedicato. Tuttavia, anche da noi, l’attenzione pubblica è cresciuta in modo significativo dopo lo studio dell’Università di Zurigo. Le diocesi hanno aggiornato procedure e creato punti di contatto
Tuttavia, l’opinione pubblica, così come molti attori istituzionali, chiedono maggiore chiarezza sui doveri di notifica, sui limiti del segreto professionale, e sul rapporto tra diritto canonico e diritto penale. In altre parole il problema è come garantire che la giustizia civile riceva tempestivamente le informazioni necessarie per perseguire reati che riguardano tutta la collettività.

La ricerca storica ha mostrato come la mancanza di trasparenza, i casi di trasferimento degli autori e l’assenza di collaborazione sistematica con le autorità civili hanno aggravato il danno, prolungando situazioni di rischio e impedendo la tutela delle vittime.
Per la prevenzione, gli esperti indicano misure ormai note: formazione obbligatoria, screening del personale, supporto professionale alle vittime, e un monitoraggio esterno realmente indipendente.

Tutti questi elementi si sono resi particolarmente concreti nella nota vicenda di Don Rolando Leo, che, nell’estate del 2024, ha sollevato due questioni centrali:

  1. il tempo eccessivo intercorso tra il momento in cui la Curia è venuta a conoscenza dei fatti e la denuncia alla magistratura;
  2. la discrezionalità di cui le autorità ecclesiastiche dispongono nel decidere se e quando segnalare alla giustizia civile situazioni nella quale si sono manifestate ipotesi di reato che riguardano membri del clero.

È partendo da queste due evidenze che abbiamo presentato il nostro atto parlamentare.

Col senno di poi, e considerate le complesse discussioni giuridiche che ne sono seguite, forse sarebbe stato più lineare procedere tramite un’iniziativa parlamentare generica. Tuttavia, di fronte a un caso grave e a questioni rilevanti per la tutela delle persone più vulnerabili, abbiamo ritenuto necessario presentare una proposta concreta, con l’obiettivo di accelerare la discussione politica. E così è stato.

Oggi abbiamo sul tavolo soluzioni differenti rispetto alla formulazione iniziale della nostra proposta. Tuttavia, sia la proposta del Consiglio di Stato sia quella della Commissione condividono due principi che per noi sono essenziali:

  • l’introduzione di un obbligo per le autorità ecclesiastiche di notifica, o segnalazione, di fronte a indizi di abusi su minori o su persone in condizione di vulnerabilità;
  • l’introduzione di un termine chiaro e vincolante affinché non trascorra un tempo eccessivo tra la presa di conoscenza di un possibile reato e la sua segnalazione alla magistratura.

Questi due elementi rappresentano, a nostro avviso, il cuore della riforma necessaria.
Non tolgono nulla alla libertà religiosa, non interferiscono con riti o dottrine, non ledono l’autonomia organizzativa delle istituzioni ecclesiastiche.
Ribadiscono invece un principio che deve essere uguale per tutte e tutti: i reati si denunciano. Senza ritardi, senza zone d’ombra, senza eccezioni.