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L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i dati sulla percezione dei ruoli di genere e della vita famigliare. Il modello di organizzazione preferito dalle famiglie intervistate è quello con entrambi i partner che lavorano a tempo parziale. Sembra quindi emergere una cultura che promuove un maggiore equilibrio nella suddivisione dei compiti professionali e famigliari.
La realtà però e ancora molto diversa. Il modello prevalente è ancora quello dell’uomo che lavora a tempo pieno e la donna a tempo parziale, seguito dal modello tradizionale con l’uomo a tempo pieno e la donna senza attività professionale. Solo nel 13% dei casi entrambi i partner lavorano a tempo parziale. È evidente quindi che la conciliazione lavoro-famiglia è ancora una questione privata, accessibile solo a chi può permetterselo.
È necessario invece che diventi una questione sociale e politica, con misure incisive per permettere alle famiglie di fare scelte diverse da quelle tradizionali. Torna di attualità la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari e il rafforzamento dei servizi di cura.
L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i dati sulla percezione dei ruoli di genere e della vita famigliare. Il modello di organizzazione preferito dalle famiglie intervistate è quello con entrambi i partner che lavorano a tempo parziale. Sembra quindi emergere una cultura che promuove un maggiore equilibrio nella suddivisione dei compiti professionali e famigliari.
La realtà però e ancora molto diversa. Il modello prevalente è ancora quello dell’uomo che lavora a tempo pieno e la donna a tempo parziale, seguito dal modello tradizionale con l’uomo a tempo pieno e la donna senza attività professionale. Solo nel 13% dei casi entrambi i partner lavorano a tempo parziale. È evidente quindi che la conciliazione lavoro-famiglia è ancora una questione privata, accessibile solo a chi può permetterselo.
È necessario invece che diventi una questione sociale e politica, con misure incisive per permettere alle famiglie di fare scelte diverse da quelle tradizionali. Torna di attualità la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari e il rafforzamento dei servizi di cura.
È da lunedì di Pasqua che i media parlano della successione di Papa Francesco. Ad essere interpellati solo figure religiose maschili: cardinali, vescovi, frati, sacerdoti. E le donne? Eppure le religiose sono la componente più numerosa della Chiesa (559’228 nel 2022, contro 407’730 sacerdoti); ma, malgrado questo, restano invisibili nel dibattito.
A nessuno viene in mente di intervistare una suora, magari con responsabilità in un ordine, per sentire il suo parere sulla successione di Francesco; figuriamoci invitarne una in televisione! La loro voce non interessa, nonostante il ruolo centrale che svolgono nella vita concreta delle comunità. Quando compaiono, è solo per far raccontar loro aneddoti da retroscena domestico; alla suore di Santa Marta si chiede cosa mangiava il Papa, che barzellette amava raccontare, se andava a letto tardi o si alzava presto.
A nessuno interessa la loro opinione di religiose, ma quella di servizievoli donne, considerate cioè né più né meno che delle serve. Perché non siamo sorpresi di tutto questo?
Ascoltando il PLR (e non solo), da anni sembrerebbe che stiamo affrontando una “esplosione” dei costi della salute. In realtà, negli ultimi anni l’aumento dei costi sanitari è stato in linea con il rincaro generale. Lo confermano i dati relativi al 2023 pubblicati oggi.
Apprendiamo infatti che i costi complessivi della salute sono aumentati del 2,4%, passando da 91,7 a 93,9 miliardi di franchi, mentre nello stesso periodo l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 2,1%. Nel 2023, tuttavia, i premi di cassa malati sono aumentati ben oltre: +6,6% a livello nazionale e +9,2% a livello cantonale.
Un’ulteriore conferma che l’“esplosione” riguarda in realtà i premi delle casse malati, non i costi della salute. Negli ultimi tre anni, infatti, i premi sono aumentati di quasi il 20% a livello nazionale e di oltre il 30% in Ticino.
Secondo laRegione, tira aria di maretta tra il CdA di AIL SA e il Comune di Lugano. Il CdA non vedrebbe di buon occhio la presenza del responsabile delle finanze, temendo pressioni per usare i fondi dell’azienda elettrica – ricchissima – a favore delle casse comunali, sempre più vuote.
È una lotta per la “roba”, visto che AIL è un vero e proprio forziere, che custodisce un tesoro da 180 milioni di franchi. La trasformazione, anni fa, in società anonima di diritto privato permette alla società di privilegiare i propri obiettivi finanziari, operando in totale autonomia dalla politica.
E la “sete di denaro” del Municipio? Non è che il sintomo di una politica interamente piegata agli interessi imprenditoriali, il cui prezzo diventa sempre più insostenibile per la collettività.
Una sola certezza: i “cittadini-clienti” di AIL SA continueranno a pagare tariffe elettriche salate per riempire il forziere, indipendentemente da chi, alla fine, ne deterrà le chiavi.