Genocidio progressivo, il modello sionista in Palestina

Tempo di lettura: 8 minuti
image_print

Il genocidio della popolazione palestinese non è iniziato il 7 ottobre 2023, ma nel 1948, dopo la creazione dello Stato di Israele.

29 settembre 2023: «La regione del Medio Oriente è oggi più tranquilla che negli ultimi vent’anni». Queste sono state le parole di Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti dal 2021 al 2025 durante il governo di Joe Biden e Kamala Harris. È stato durante un’intervista pubblica all’Atlantic Festival con l’editore della storica rivista The Atlantic, Jeffrey Goldberg.

7 ottobre 2023, otto giorni dopo: più di 1200 combattenti delle Brigate di Ezzeldin Al-Qassam – braccio armato di Hamas -, della Jihad Islamica e di altre forze della resistenza armata palestinese, hanno lanciato un attacco senza precedenti in territorio israeliano contro postazioni militari terrestri, navi militari e kibbutz (fattorie collettive).

Durante la loro sanguinosa incursione, i miliziani hanno anche sparato indiscriminatamente contro centinaia di giovani che hanno incontrato lungo il loro percorso mentre partecipavano a un festival musicale all’aperto vicino al confine con Gaza. Il bilancio: più di 1200 morti, circa 400 dei quali membri dell’esercito e di altre forze di sicurezza, e 251 rapiti.

Nonostante la sorpresa dell’attacco, la zona era ben lungi dall’essere tranquilla, come aveva assicurato il massimo consigliere del presidente Biden otto giorni prima. Da gennaio 2023 al 6 ottobre erano già morti 247 palestinesi e 32 israeliani in violenti scontri dopo il fallimento di un nuovo tentativo di tregua con il Qatar, l’Egitto e l’ONU come mediatori.

La versione più diffusa dai media in seguito è stata che, nonostante i servizi segreti israeliani e statunitensi avessero ricevuto informazioni secondo cui Hamas stava preparando un attacco, non prevedevano che fosse imminente né che avrebbe avuto una portata così ampia.

Questa versione, che sia Israele che gli Stati Uniti sembravano interessati a diffondere, è sempre risultata poco credibile, date le sofisticate risorse tecnologiche di cui dispongono sia il Mossad, lo Shin Bet e la CIA.

Israele è stato in grado di far esplodere contemporaneamente i cellulari, i cercapersone e i walkie-talkie di migliaia di membri di Hezbollah in Libano e Siria nel settembre 2024, ma non di individuare la preparazione durata mesi di oltre 1000 combattenti palestinesi in un territorio minuscolo come la Striscia di Gaza, che lo spionaggio israeliano controlla metro per metro?

Grazie ai servizi forniti dai satelliti Starlink, l’azienda di Elon Musk, l’esercito israeliano è stato in grado di scrutare ancora più dettagliatamente ogni strada, ogni negozio, ogni ospedale, ogni università, ogni angolo di Gaza.

Da molti anni i droni spia israeliani sorvolano costantemente il territorio di Gaza e della Cisgiordania, e le telecamere fisse, le perquisizioni domiciliari, i controlli di routine nelle strade e il lavoro di informatori e infiltrati rendono molto difficile per le forze della resistenza nascondere i propri piani.

Come è successo con gli attentati di Al Qaeda dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 è pieno di aspetti oscuri e dà adito a teorie di ogni tipo. Dopo l’11 settembre, il Congresso americano ha nominato una commissione d’inchiesta bipartisan che, dopo due anni di lavoro, dimissioni di alcuni dei suoi membri e irregolarità, scomparsa di prove chiave e boicottaggio da parte del governo Bush e delle sue agenzie di intelligence, ha concluso in un rapporto di 585 pagine che né la CIA né l’FBI erano riuscite a individuare i preparativi dell’attacco.

Il rapporto non ha convinto molti analisti ed esperti di strategia e ha portato alla formazione del 9/11 Truth Movement, che riunisce diversi gruppi che chiedono la riapertura delle indagini, alcuni con argomenti validi e altri con teorie rocambolesche tipiche del forte movimento complottista statunitense.

Le conseguenze di entrambi gli attacchi, quelli dell’11 settembre e quelli del 7 ottobre, e le prove di chi ne siano stati i beneficiari finali hanno rafforzato i sospetti che gli autori materiali di entrambi i massacri possano essere stati utilizzati dai loro nemici; che i loro piani siano stati scoperti sia dai servizi segreti statunitensi nel caso dell’11 settembre, sia da quelli israeliani nel caso del 7 ottobre, ma che entrambi abbiano volutamente distolto lo sguardo, facilitando così la loro realizzazione.

Quando si verificò l’11 settembre, George W. Bush, che era al potere da meno di otto mesi, con una vittoria elettorale contestata e una bassa popolarità, riuscì solo due giorni dopo a raggiungere il 90% di popolarità., dopo aver annunciato che avrebbe lanciato una crociata planetaria del “bene contro il male”, una guerra contro il terrorismo,

Poco dopo invocò l’articolo 5 del Trattato NATO che obbliga tutti i paesi membri a venire in aiuto di qualsiasi altro paese membro che sia stato attaccato. “O siete con noi o siete con i terroristi”, disse Bush ai leader di tutto il mondo.

Sotto l’egida della sua crociata del Bene contro il Male furono giustificate l’invasione e la devastante guerra contro l’Afghanistan, la tortura sistematica dei prigionieri, l’utilizzo della (illegittima) base navale statunitense di Guantánamo – ancora aperta – come gulag caraibico per trasferire più di 800 prigionieri, privati per anni di qualsiasi tipo di diritto. In Afghanistan sono arrivate rapidamente a fare affari le compagnie petrolifere e di ricostruzione statunitensi, che poi hanno ripetuto il modello in Iraq, accompagnate da società europee e da diversi dei loro paesi alleati.

Bush ha imposto attraverso il Patriot Act un pacchetto di misure antiterrorismo che ha drasticamente limitato i diritti della sua stessa popolazione, emulato con leggi simili da numerosi paesi.

La minaccia terroristica ha cambiato il concetto di sicurezza nazionale e i membri del Trio delle Azzorre, Bush, Blair e Aznar, hanno difeso l’idea delle guerre preventive. Nulla sarebbe più stato come prima.

Nel caso dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, la teoria secondo cui alcuni dei settori più estremisti dell’intelligence israeliana avrebbero ignorato intenzionalmente gli indizi che Hamas stesse preparando un grande attacco è ancora più consistente.

L’obiettivo di eliminare dalla Palestina storica i suoi abitanti originari e di rendere quel territorio la patria esclusiva dei coloni ebrei di tutto il mondo non è stato definito dal governo Netanyahu dopo il 7 ottobre.

Già nel XIX secolo i fondatori del sionismo avevano previsto che la creazione di una patria ebraica nella Palestina storica avrebbe comportato una graduale occupazione del territorio e l’espulsione della sua popolazione originaria e nel 1948 prende corpo la strategia di un genocidio graduale, con la Nakba (espulsione di 800.000 palestinesi), la repressione e l’occupazione del territorio.

L’attuale governo di Netanyahu, il più razzista e di estrema destra che Israele abbia mai conosciuto, non ha mai nascosto la sua opposizione alla formazione di uno Stato palestinese e la sua volontà di compiere una pulizia etnica per raggiungerlo.

Hamas, la Jihad Islamica e gli altri gruppi armati palestinesi che hanno compiuto gli attacchi del 7 Ottobre hanno commesso un errore gravissimo – con conseguenze terribili e irreparabili per la popolazione – quando hanno calcolato che con la loro azione avrebbero riaffermato il loro potere e sarebbero riusciti a scambiare i loro 251 ostaggi con migliaia di palestinesi di tutte le età detenuti nelle carceri israeliane.

C’era un precedente che i miliziani hanno potuto erroneamente prendere come riferimento: il 25 giugno 2006, quando Hamas, la Jihad Islamica e altri gruppi armati rapirono in un’operazione congiunta vicino a una postazione militare a Kerem Shalon, al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, il caporale dell’esercito israeliano Gilad Shalit. Il caporale diciannovenne viaggiava su un carro armato al momento dell’attacco. Altri due soldati israeliani e due degli aggressori morirono nell’operazione.

Solo due settimane prima Hamas aveva rotto il cessate il fuoco in vigore dal 2005 in risposta al lancio di colpi di mortaio da navi israeliane il 9 giugno contro una spiaggia nel nord della Striscia di Gaza, che aveva causato la morte di sette persone, tra cui tre bambini, e il ferimento di altre 50. Da quel momento gli scontri ripresero con grande violenza.

Hamas chiese il rilascio di parte dei 9000 prigionieri palestinesi allora detenuti nelle carceri israeliane in cambio di Shalit, ma Israele rispose con l’invasione terrestre di Gaza, un intenso bombardamento contro le infrastrutture vitali della Striscia e l’arresto di deputati palestinesi in Cisgiordania. Una reazione che già allora l’ONU aveva definito del tutto sproporzionata.

I negoziati durarono cinque anni. Solo nell’ottobre 2011 fu raggiunto un accordo per lo scambio di prigionieri. Il governo di Netanyahu accettò di liberare 1000 prigionieri in cambio di Gilad Shalit. Già allora, come oggi, Israele si rifiutò di includere tra quei 1000 prigionieri Marwan Barguti, popolare leader di Al Fatah incarcerato dal 2002, il più chiaro sostituto di Abu Abbas, il cui governo – l’Autorità Nazionale Palestinese – ha sempre criticato per la sua corruzione e la linea conciliante e sottomessa nei confronti di Israele.

Barguti, laureato in Storia e Scienze Politiche, che faceva parte del Consiglio Legislativo Palestinese in Cisgiordania ed era segretario generale di Al Fatah, è favorevole alla riconciliazione di Al Fatah con Hamas e altre organizzazioni della resistenza palestinese.

Il suo clan familiare, i Barguti, è quello che ha fondato il BDS, il movimento internazionale che promuove il boicottaggio dei prodotti israeliani e delle compagnie straniere che investono nei Territori Palestinesi Occupati. Il leader palestinese, sostenitore della lotta armata contro l’occupazione israeliana, si è tuttavia sempre opposto con forza agli attacchi contro i civili israeliani.

Il genocidio del popolo palestinese non è iniziato dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, anche se è stato a partire da quel momento che si è intensificato come mai prima d’ora. Il grande storico israeliano Ilan Pappé, costretto all’esilio nel 2008 nel Regno Unito a causa delle vessazioni del governo israeliano, del mondo accademico e delle minacce di morte ricevute per la sua difesa del popolo palestinese, ha coniato il concetto di “genocidio progressivo” o “a gocce” per descrivere ciò che il sionismo pratica da decenni.

Nel suo libro del 2017 Genocidio progressivo in Palestina e il BDS, Pappé sostiene che la colonizzazione della Palestina storica, la disumanizzazione dei suoi abitanti originari, il genocidio dei palestinesi e la pulizia etnica sono parte di un tutto.

Secondo il professore ebreo, Israele è riuscito a nascondere il suo brutale piano strategico dietro la facciata formale di uno Stato democratico, difensore dei valori occidentali di fronte a un Medio Oriente fanatico e selvaggio. Pappé sostiene che Israele ha mantenuto per decenni la sua politica di oppressione soffocante di generazioni e generazioni di palestinesi, di repressione costante, di incarcerazioni arbitrarie e di periodici massacri, con il chiaro obiettivo di espellere con la forza la popolazione di Gaza e della Cisgiordania, per ottenere la purezza razziale.

Già nel 2017 Pappé sosteneva che questa strategia di genocidio graduale nel corso di decenni ha permesso a Israele di evitare sempre una forte e generalizzata condanna internazionale che avrebbe finito per isolarlo e impedirgli di completare il suo piano coloniale di un Grande Israele.

Il 7 ottobre è stata la grande prova. La condanna internazionale del brutale e indiscriminato attacco di Hamas, della Jihad Islamica e di altri gruppi armati ha incoraggiato Netanyahu e i suoi complici del governo a fare un grande salto in avanti in questo genocidio progressivo. Era la loro grande occasione. Così si è passati dai massacri di routine ai bombardamenti massicci, alla politica di sterminio. Nel caso specifico di Gaza, si è deciso di considerare obiettivi militari ospedali, scuole, università, abitazioni e civili di qualsiasi età, per rendere la Striscia una terra devastata e inabitabile.

E ha funzionato, la prova è stata superata, la reazione internazionale è stata quasi nulla per Netanyahu e i suoi. Il democratico Biden gli ha dato il via libera e ha continuato ad armarlo e finanziarlo; e poi Trump ancora di più; l’Unione Europea, il principale partner commerciale di Israele, ha mantenuto il suo trattamento di partner privilegiato e ha continuato a vendergli armi.

Netanyahu ha potuto ignorare la condanna dell’ONU e gli ordini di arresto della Corte penale internazionale senza alcuna conseguenza.

Come ciliegina sulla torta, quando la pressione sociale in molti paesi ha costretto diversi leader ad alzare la voce per la prima volta – con molta cautela – dopo decine di migliaia di morti, Trump è venuto in aiuto di Netanyahu proponendo un piano di pace su misura per lui, sapendo che anche se non rispetterà gli obblighi che Israele si è impegnato ad adempiere, il magnate repubblicano lo proteggerà davanti al resto del mondo.

Se i leader dell’UE non continueranno a sentire una pressione sociale continua e potente, potrebbero accontentarsi del piano coloniale imposto da Trump e concordato con Netanyahu. Sarebbero più preoccupati di vedere come anche le loro grandi aziende potrebbero trarre vantaggio, insieme a quelle statunitensi, dalla ricostruzione di Gaza e dai piani previsti per essa dall’imperatore e dal suo socio israeliano, piuttosto che dal futuro molto cupo che attende la popolazione palestinese martoriata da generazioni e generazioni.

Il genocidio progressivo, graduale o a gocce di cui parlava Pappé è per ora in pausa, ma può riprendere con minore o maggiore forza in qualsiasi momento se Trump e Netanyahu non trovano un fronte di resistenza internazionale solido, ampio e sostenuto nel tempo.

*articolo apparso su elsaltodiario.com il 17 ottobre 2025

articoli correlati

Argentina, la domenica viola

La tregua a Gaza. Perché gli Israeliani pensano di aver vinto

Scioperi, blocchi, resistenza. Per una Palestina libera e decolonizzata