Corea del Nord: la nuova Kim e i dilemmi dinastici

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Kim Ju Ae non è solo una bambina. È il futuro di un regime nucleare, l’erede di una dinastia che governa 25 milioni di persone attraverso il terrore e ora anche lo spettacolo

In una fredda mattina di gennaio, mentre i cittadini di Pyongyang si affrettavano verso i loro luoghi di lavoro avvolti in pesanti cappotti, all’interno del maestoso Stadio del Primo Maggio si consumava una scena che avrebbe definito il nuovo corso della comunicazione del potere nordcoreano. Kim Jong Un, seduto in prima fila con sua figlia Kim Ju Ae, assisteva a una sontuosa celebrazione di Capodanno che abbandonava le tradizioni protocollari dei suoi predecessori. L’assenza di Ri Sol Ju, la moglie del leader, si protraeva ormai da tempo, ma questa volta assumeva un significato diverso. Kim Ju Ae, già nota al pubblico per le sue precedenti apparizioni in occasioni solenni, per la prima volta partecipava ai festeggiamenti di Capodanno, un palcoscenico mai calcato prima dalla tredicenne. Il “Caro Leader” si presentava al suo popolo come padre premuroso, stringendo la mano della figlia in un gesto che trasudava calcolo politico quanto affetto genuino. Ma la vera novità era un’altra: accanto a loro, Kim Yo Jong, la potente sorella del leader, faceva il suo ingresso accompagnata da due bambini, un maschio e una femmina, che gli analisti dell’intelligence sudcoreana ritengono essere i suoi figli. Tre elementi che, presi singolarmente, potevano apparire casuali, ma che insieme disegnavano una strategia comunicativa del tutto inedita.

La trasformazione è evidente. Dove Kim Il Sung e Kim Jong Il, rispettivamente nonno e padre dell’attuale “regnante”, mantenevano un rigido distacco tra vita privata e pubblica, Kim Jong Un ha fatto della sua famiglia un vero e proprio “brand dinastico”. Le apparizioni di Kim Ju Ae non sono casuali: dal primo debutto nel novembre 2022 durante il lancio di un missile intercontinentale, ogni sua comparsa è stata orchestrata con la precisione di una campagna pubblicitaria. Il regime ha sviluppato quello che gli esperti definiscono una “politica visiva” senza precedenti. Kim Ju Ae appare in giacche di pelle e tessuti pregiati, sempre perfettamente pettinata, mentre accompagna il padre in ispezioni militari o eventi di stato. Le immagini, diffuse dalla televisione centrale nordcoreana, la mostrano concentrata e composta, una piccola figura in miniatura del potere che verrà.

È però la presenza dei presunti figli di Kim Yo Jong a rivelare la vera portata di questa strategia. Per la prima volta nella storia nordcoreana, il “sangue del Monte Paektu”, come viene definita la stirpe Kim, viene esibito al completo, trasformando eventi ufficiali in una sorta di “royal reality show” dove ogni membro della famiglia ha un ruolo specifico nel rafforzare la narrazione dinastica. Questa teatralizzazione del potere serve obiettivi multipli. Innanzitutto, l’effetto “cameo”: la presenza di Kim Ju Ae attira l’attenzione su specifiche politiche, dai programmi nucleari alle prospettive economiche del paese. In secondo luogo, proietta l’immagine di Kim Jong Un come leader lungimirante, capace di bilanciare il ruolo di supremo comandante con quello di padre devoto. Infine, introduce gradualmente l’idea della continuità dinastica senza ancora formalizzarla politicamente.

La rottura con il passato è netta. Kim Jong Il aveva tenuto nascosta l’esistenza stessa di Kim Jong Un fino ai suoi ultimi anni di vita. Il figlio, invece, ha fatto della trasparenza familiare un pilastro della sua comunicazione, consapevole che in un’era di connettività globale, per quanto limitata in Corea del Nord, l’opacità totale non è più sostenibile. Ma dietro questa apparente modernizzazione si cela un calcolo antico quanto il potere stesso, la legittimazione attraverso la dinastia. Ogni apparizione pubblica di Kim Ju Ae è un messaggio al popolo nordcoreano e ai leader internazionali che il futuro è già scritto, che la stabilità del regime è garantita dalla continuità familiare. Una strategia che trasforma una ragazzina di tredici anni nella garanzia vivente della durata di un sistema che governa venticinque milioni di persone.

Il dilemma della successione prematura

La storia si ripete, ma mai allo stesso modo. Quando nel 1974 Kim Il Sung designò ufficialmente suo figlio Kim Jong Il come successore, il fondatore della Corea del Nord aveva sessant’anni e il paese era ancora nel pieno della sua fase rivoluzionaria. Quello che sembrava un atto di lungimiranza si trasformò in un peso che avrebbe gravato sui successivi ventiquattro anni di regno del “Grande Leader”, fino alla sua morte nel 1994. “Kim Il Sung si pentì amaramente di aver designato Kim Jong Il così presto”, rivela Ri Jeong Ho, ex alto funzionario della Stanza 39 del Partito dei Lavoratori nordcoreano, in un’intervista a Radio Free Asia. “Nei regimi ereditari, quando viene creato un successore, il potere inizia inevitabilmente a spostarsi verso quest’ultimo. È per tale motivo che i dittatori non sollevano mai per primi la questione della successione.” Questo precedente storico getta una luce inquietante sulla strategia attuale di Kim Jong Un. A differenza del nonno, che aveva costruito il suo potere attraverso decenni di lotta partigiana e consolidamento politico, e del padre, che aveva avuto vent’anni per preparare la transizione, Kim Jong Un si trova in una posizione strutturalmente più debole. La sua ascesa al potere nel 2011, a soli ventotto anni e senza una preparazione adeguata, ha creato quello che Ri Jeong Ho definisce un “regime instabile fin dall’inizio”.

Le prove di questa instabilità sono evidenti nelle continue purghe e sostituzioni di quadri che hanno caratterizzato il suo regime. Dalla spettacolare eliminazione dello zio Jang Song Thaek nel 2013 alle più recenti rimozioni di alti funzionari militari, Kim Jong Un ha governato attraverso quello che gli analisti chiamano un “regno del terrore”, cercando di compensare con la brutalità ciò che gli manca in legittimità tradizionale. Ma il paradosso della successione prematura si manifesta oggi in tutta la sua complessità. Kim Jong Un ha bisogno di assicurare la continuità dinastica per stabilizzare il proprio regime, ma ogni passo verso la designazione formale di Kim Ju Ae come erede rischia di accelerare quello stesso trasferimento di potere che i suoi predecessori hanno imparato a temere.

Gli esperti sono divisi sulla reale natura di questa preparazione successoria. Jiro Ishimaru, rappresentante dell’ufficio di Osaka di Asia Press e profondo conoscitore delle dinamiche interne nordcoreane, interpreta le attuali politiche del regime – dal rafforzamento del controllo statale alle politiche anti-unificazione – come una preparazione sistematica per la quarta generazione dinastica. “Tutto sembra orientato verso la creazione delle condizioni per un passaggio di potere”, osserva nell’intervista radiofonica. Ma Ri Jeong Ho offre una lettura più cauta: “Prima di parlare di quarta generazione, Kim Jong Un deve preoccuparsi della stabilità del suo stesso sistema”. Secondo l’ex funzionario, il regime è troppo fragile per permettersi il lusso di una pianificazione successoria a lungo termine. Le continue politiche di repressione, dalla messa sotto controllo dei mercati spontanei alla standardizzazione linguistica, sono sintomi di un potere che fatica a consolidarsi, non di uno che si prepara serenamente al futuro.

La questione si complica ulteriormente quando si considera il ruolo di Kim Yo Jong. La sorella del leader ha acquisito un’influenza senza precedenti nella storia nordcoreana per una donna, gestendo ambiti che vanno dalla propaganda di stato fino ai rapporti con la Corea del Sud. La sua presenza costante accanto a Kim Ju Ae durante gli eventi pubblici potrebbe essere interpretata come un mentoring politico, ma anche come un modo per mantenere il controllo familiare su una successione ancora incerta. La comparsa dei presunti figli di Kim Yo Jong nelle cerimonie ufficiali aggiunge un ulteriore livello di complessità. Se confermata la loro identità, la presenza di questi “principi” alternativi potrebbe rappresentare una forma di assicurazione dinastica o, al contrario, una fonte potenziale di conflitto futuro all’interno della famiglia al potere.

Yoshihiro Makino, visiting professor all’Università di Hiroshima, introduce una prospettiva temporale cruciale: “Kim Ju Ae potrebbe iniziare ad apparire da sola in pubblico e rilasciare dichiarazioni per costruire l’immagine di ‘leader eccellente'”, suggerisce. Ma sottolinea che qualsiasi formalizzazione politica richiederebbe che lei raggiunga almeno i vent’anni – ancora sette anni di incertezza per un regime che vive in costante equilibrio precario. Il dilemma di Kim Jong Un è quindi duplice: ha bisogno della legittimazione che solo la continuità dinastica può fornire, ma ogni passo verso quella continuità indebolisce potenzialmente la sua presa sul potere presente.

La risposta sociale invisibile

Nelle aule delle scuole nordcoreane, tra i banchi logorati e le pareti decorate con ritratti dei leader, si sta diffondendo una forma di resistenza tanto sottile quanto pericolosa per il regime. Non si tratta di proteste aperte o manifestazioni di dissenso politico, ma di qualcosa di più insidioso, cioè il sarcasmo generazionale.

“Alcune persone possono ereditare persino un intero paese solo perché hanno i genitori giusti”, è diventata la frase-tormentone tra gli studenti delle scuole medie e superiori nordcoreane, secondo quanto riporta un collaboratore anonimo di Asia Press che vive nelle regioni settentrionali del paese. L’espressione, riferita ovviamente a Kim Ju Ae, si è diffusa come un virus linguistico, pronunciata sussurrando nei corridoi quando gli insegnanti chiedono contributi economici che le famiglie faticano a sostenere. Il fenomeno va oltre la semplice invidia adolescenziale. Rappresenta una crepa nel muro dell’adorazione forzata che il regime ha costruito attorno alla famiglia Kim. Quando i giovani nordcoreani vedono Kim Ju Ae in abiti di lusso, quando la osservano camminare su tappeti rossi o essere scortata da ombrelli tenuti dalle guardie del corpo, il contrasto con le loro vite quotidiane diventa impossibile da ignorare.

“Prima che apparisse la figlia, quando i coetanei o gli amici chiedevano favori, si diffondeva come un tormentone la battuta ‘Sei forse il Generale?'”, racconta sempre la fonte di Asia Press, “ma ora che appare la figlia, sono diventate comuni battute che la prendono in giro come ‘Ti serve qualcosa? Basta che lo dici'”. Ma è nei Palazzi dei Bambini, istituzioni d’élite dove i figli dei funzionari di partito e degli imprenditori ricchi imparano talenti artistici e sportivi, che questa dinamica assume contorni ancora più preoccupanti per il regime. Qui, secondo fonti di Daily NK, i bambini stanno letteralmente imitando lo stile di Kim Ju Ae: acconciature elaborate, giacche di pelle, pantaloni a zampa d’elefante, vantandosi di essere “vestiti come la figlia del leader”.

È un aspetto ironico: mentre il regime cerca di utilizzare Kim Ju Ae come simbolo di continuità e stabilità, i figli dell’élite la trasformano in un’icona alla moda, svuotando di significato politico la sua immagine. I genitori, tuttavia, vivono questo fenomeno con ansia crescente. “Anche se le famiglie possono permettersi di comprare questi capi costosi, temono le conseguenze politiche di questa imitazione”, rivela una fonte della provincia di Hamgyong Settentrionale. Il timore è fondato. In un sistema dove imitare il leader supremo o la sua famiglia può essere interpretato come un atto di lesa maestà, questi bambini camminano su un filo sottilissimo. La loro impunità deriva esclusivamente dallo status sociale dei genitori, creando un paradosso in cui solo i privilegiati possono permettersi di emulare il massimo privilegio.

Per i ragazzi comuni, invece, ogni espressione di insoddisfazione comporta rischi enormi. “Anche solo essere scoperti a dire queste cose potrebbe causare problemi ai loro genitori”, sottolinea il collaboratore di Asia Press. Eppure le frasi continuano a circolare, segno che la pressione sociale ha raggiunto livelli critici. Kim Ju Ae diventa così, involontariamente, il simbolo vivente di tutto ciò che i giovani nordcoreani non potranno mai avere. Non solo il potere o la ricchezza, ma la semplice libertà di essere bambini senza il peso della sopravvivenza quotidiana. Quando la vedono sorridere accanto al padre durante le cerimonie di stato, molti ragazzi della sua età stanno probabilmente pensando al prossimo pasto o al riscaldamento per l’inverno.

Questa forma di resistenza sotterranea, fatta di battute sussurrate e imitazioni rischiose, potrebbe sembrare insignificante se confrontata con la potenza repressiva dello stato nordcoreano. Ma nella storia dei regimi autoritari, è spesso proprio dall’erosione del consenso giovanile che iniziano i processi di cambiamento più profondi. Per ora, Kim Jong Un può ancora controllare le strade e le piazze di Pyongyang. Ma controllare i pensieri di una generazione che cresce con la consapevolezza dell’ingiustizia è una sfida ben più ardua.

Diplomazia dinastica e proiezione internazionale

Il 9 maggio 2025, nell’ambasciata russa di Pyongyang, si è consumato un momento che gli storici potrebbero ricordare come il debutto diplomatico della quarta generazione Kim. Mentre Kim Jong Un pronunciava il suo discorso celebrativo per l’80° anniversario della vittoria sovietica nella Seconda Guerra Mondiale, sua figlia Kim Ju Ae sedeva in prima fila accanto all’ambasciatore russo Alexander Matsegora. Al termine della cerimonia, le telecamere hanno immortalato il diplomatico mentre baciava leggermente la guancia della tredicenne, un gesto di cortesia che ha assunto proporzioni geopolitiche. Per la prima volta nella sua breve vita pubblica, Kim Ju Ae non appariva semplicemente come appendice del padre, ma come soggetto diplomatico autonomo. La Korean Central News Agency nordcoreana ha sottolineato il cambiamento chiamandola “la figlia più amata” invece dei precedenti “rispettata bambina” o “amata bambina”, un aggiornamento terminologico che nel linguaggio codificato nordcoreano equivale a un annuncio ufficiale.

La scelta del palcoscenico non è casuale. La Russia rappresenta oggi l’alleato strategico più importante per la Corea del Nord, quello che garantisce protezione internazionale in cambio di armi e soldati per la guerra in Ucraina. Presentare Kim Ju Ae in questo contesto equivale a chiedere implicitamente a Mosca di riconoscere la continuità dinastica nordcoreana, un investimento diplomatico per il futuro. “Questo episodio segna effettivamente il debutto di Kim Ju Ae sulla scena internazionale”, osserva Cho Han Bum, ricercatore senior del Korea Institute for National Unification. “Formalizza il fatto che sta ricevendo una formazione successoria, sia a livello interno che internazionale”. Ma Cho aggiunge una precisazione cruciale: “Non credo che la Corea del Nord si trovi in una posizione tale da avere bisogno del sostegno esterno per consolidare questo percorso”.

La diplomazia dinastica di Kim Jong Un opera su multiple dimensioni temporali. Nel breve termine, l’esposizione internazionale di Kim Ju Ae serve a normalizzare la sua presenza nel panorama politico nordcoreano. Nel medio termine, prepara il terreno per una futura leadership che dovrà gestire relazioni complesse con potenze nucleari. Nel lungo termine, rappresenta un investimento nella stabilità del regime attraverso il riconoscimento internazionale della legittimità dinastica. Ma il 2025 si presenta come un anno di variabili geopolitiche che potrebbero complicare questi calcoli. L’insediamento di Donald Trump alla presidenza americana il 20 gennaio ha riacceso le speculazioni su possibili negoziati diretti tra Washington e Pyongyang. Ri Jeong Ho, l’ex funzionario della Stanza 39, prevede che Kim Jong Un cercherà di sfruttare la “volontà di dialogo di Trump per ottenere il riconoscimento come stato nucleare e compensazioni economiche attraverso l’allentamento delle sanzioni”. La strategia nordcoreana verso gli Stati Uniti si basa su una lettura cinica dei cicli politici americani. “Il mandato del presidente americano è di soli quattro anni”, nota Ri Jeong Ho. “Kim Jong Un userà questo fattore a suo vantaggio offrendo concessioni limitate, come lo smantellamento o il congelamento di alcune strutture nucleari, a un Trump che vuole risultati a breve termine”.

Ma è sul fronte cinese che si giocano le partite più delicate. La recente scomparsa silenziosa della sezione commemorativa del 75° anniversario delle relazioni diplomatiche sino-nordcoreane dal sito web dei media statali nordcoreani, mentre rimane quella per l’amicizia russo-nordcoreana, invia un messaggio inequivocabile a Pechino. La Cina, che per oltre cinquemila anni ha considerato la penisola coreana come il proprio “cortile di casa”, non può tollerare indefinitamente l’avvicinamento tra Corea del Nord e Russia.

In questo intreccio di relazioni internazionali, la “politica ostile” verso la Corea del Sud emerge come l’unica costante. Nonostante l’impeachment del presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol e il recente cambio di presidente a Seul, sia Ri Jeong Ho che Jiro Ishimaru concordano che Kim Jong Un non modificherà la propria linea di completa rottura con il Sud. “Quello che la Corea del Nord sta facendo ora non è una mera ‘politica ostile verso il Sud’, bensì una politica di completa rottura dei rapporti con la Corea del Sud”, chiarisce Ishimaru. Kim Ju Ae cresce quindi in un mondo dove la diplomazia è guerra condotta con altri mezzi, dove ogni gesto pubblico è un messaggio codificato e dove il destino di milioni di persone dipende dalle relazioni personali tra leader autocratici. Il suo debutto all’ambasciata russa non è stato solo una cerimonia protocollare, ma l’anticipo di un futuro in cui potrebbe trovarsi a negoziare la sopravvivenza stessa del regime che è destinata a ereditare.

Mentre le telecamere immortalavano quel bacio sulla guancia da parte dell’ambasciatore russo, Kim Ju Ae stava inconsapevolmente partecipando a un rituale antico quanto la diplomazia stessa: la presentazione di un erede al mondo, perché quel mondo ne riconosca la legittimità quando sarà il momento di regnare. In un sistema dove il potere si trasmette per sangue, anche i bambini diventano pedine del grande scacchiere diplomatico.

L’immortalità digitale: quando la dinastia diventa algoritmo

Ma… e se Kim Jong Un non dovesse morire, diventando eterno? È l’ipotesi suggestiva avanzata da The Diplomat in un recente articolo. In un regime costruito sul mito e sull’immagine, dove la realtà è sempre stata più ingegnerizzata che osservata dal vivo, l’intelligenza artificiale generativa potrebbe completare la trasformazione di Kim Jong Un da sovrano mortale a divinità digitale. La tecnologia deepfake, addestrata sui decenni di apparizioni pubbliche del leader, sui suoi gesti caratteristici e sui suoi modelli vocali, potrebbe creare un simulacro inquietantemente convincente. Non si tratterebbe di una semplice evoluzione del culto della personalità, ma di qualcosa di più radicale: la nascita del “sovrano sintetico”, un fenomeno politico inedito dove l’autoritarismo si fonde con l’isolazionismo per generare un potere che sopravvive alla morte biologica del suo detentore.

Il precedente esiste già nella mitologia dinastica. Come Kim Il Sung rimane costituzionalmente il “Presidente Eterno della Repubblica” anche dopo la morte, Kim Jong Un potrebbe continuare a governare attraverso video televisivi, ispezioni militari e annunci politici generati artificialmente. In un paese dove i cittadini comuni non hanno accesso a una rete internet aperta, dove ogni smartphone è collegato solo a una rete nazionale censurata e dove persino le app devono essere acquistate in negozi fisici approvati dal governo, distinguere tra il Kim reale e quello sintetico diventerebbe quasi impossibile. Per un regime che ha sempre controllato la narrazione attraverso la disinformazione sistematica, mantenere l’illusione della leadership intatta non richiederebbe altro che telecamere e algoritmi sufficientemente sofisticati.

Il paradosso finale della successione dinastica assumerebbe così una forma imprevista. Mentre Kim Jong Un orchestra con cura le apparizioni pubbliche di Kim Ju Ae per preparare la quarta generazione al potere, la tecnologia gli offre un’alternativa che potrebbe rimandare indefinitamente quella transizione. Un Kim digitalmente immortale potrebbe continuare a dirigere operazioni militari, autorizzare attacchi nucleari o mantenere l’ordine interno, creando una situazione dove persino i funzionari di alto livello potrebbero non sapere con certezza se il loro leader sia ancora vivo, ipotizza The Diplomat. In un contesto diplomatico, dove l’ambiguità può essere catastrofica, un deepfake del leader nordcoreano che dichiara guerra o minaccia ritorsioni nucleari costringerebbe la comunità internazionale a prendere decisioni cruciali senza il tempo necessario per verificare l’autenticità del messaggio. La dinastia Kim, nata dal culto del leader immortale, potrebbe così realizzare letteralmente la propria promessa di eternità. Fantascienza? Forse. Ma in un paese dove la realtà ha sempre sfidato l’immaginazione, anche gli scenari più improbabili meritano considerazione.

FONTI: RFA, Asia Press, Daily NK, South China Morning Post, The Straits Times, North Korea Leadership Watch, Korean Central News Agency, Asahi Shimbun, Diplomat

 *articolo apparso su substack.com l’8 luglio 2025.

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