Negli ultimi due anni ci è stato ripetuto che il FC Lugano dev’essere trattato come un’azienda vera e propria. Ora però – sorpresa! – il Corrierone (vedi commento di Massimo Solari, edizione del 23 luglio 2025) ci racconta che il club è, in realtà, una “famiglia“. Una famiglia allargata, certo: quasi 200 dipendenti, una corte di fedelissimi, e ovviamente una narrazione da operetta.
Peccato che, per questa “famiglia”, le cose non vadano esattamente a gonfie vele. Specialmente nel rapporto con il pubblico, che resta tiepido nonostante la martellante campagna promozionale legata alla nascita del nuovo stadio. In occasione della prima partita stagionale di coppa, il pubblico ha potuto leggere slogan da setta apocalittica tipo: “Mancano 10 mesi e 5 giorni alla nuova era!”.
Il sottotesto? Una sorta di visione messianica secondo cui il nuovo stadio scatenerà una febbre collettiva: le masse luganesi – fino a ieri disinteressate – si precipiteranno in 8’250 per occupare ogni singolo seggiolino della futura AIL Arena, gioiello del PSE, ciascuno dei quali è costato quasi 15’000 franchi (contro una media europea di 6’000 euro: l’Allianz Arena di Monaco, tanto per dire, ne è costato 4’500). Genialata da manuale del perfetto PSE.
La realtà, però, è che l’entusiasmo non decolla. Il “calore” della città verso la “famiglia” resta confinato agli immarcescibili tutto sommato relativamente pochi fedelissimi. I numeri parlano da soli: con una media di 3’880 spettatori nella stagione 2024/2025, il Lugano è penultimo nella Super League, davanti solo all’Yverdon. E questo dovrebbe essere il futuro radioso?

La “nuova era” comincia già in salita. Lo stesso CdT è costretto ad ammettere che “a fronte dell’iniziativa della società che ha legato le tessere di questo campionato a quelle del nuovo impianto, gli abbonamenti staccati si attestano a un livello paragonabile a quello dell’estate 2024”; per poi ricordare il commento dei dirigenti del FCL nella recente conferenza stampa: «Al momento non ravvisiamo un “effetto AIL Arena”, la quota degli abbonamenti realmente vendutisi conferma attorno alle 1.600 unità»” e concludere, con felice litote, che la prospettiva del nuovo stadio “… a oggi, non sembra infiammare ancora il pubblico”. Tradotto: il pubblico se ne frega.
Ma non finisce qui. La società si lancia in crociate pedagogiche degne del Ministero della Propaganda. Obiettivo? “Plasmare (sic!) una nuova generazione di tifosi”. Parte così un programma da libro Cuore: i giocatori faranno visita alle prime elementari (immaginiamoci l’entusiasmo degli allievi), e poi, per non farsi mancare niente, si pensa ai neonati. Esatto: ai neonati. Entro il 2026, “grazie all’appoggio della Divisione sport cittadina, ogni neonato riceverà un kit bianconero con tutina, bavaglino, certificato di benvenuto e 6 anni di membership”. Lavaggio del cervello fin dalla culla. Orwell applaudirebbe. E, ci chiediamo, l’Istituto Scolastico di Lugano, di fronte alla crisi che attraversa – a tutti i livelli – l’insegnamento primario, non ha proprio null’altro da fare che pensare a campagne di promozione della squadra di un miliardario americano?
Ma il delirio identitario continua. Il “sostenitore critico” Massimo Solari (“intellettuale” sportivo del CdT) ci illumina sul “processo di legame e identificazione” che dovrebbe passare – udite udite – “dall’integrazione dei talenti ticinesi in prima squadra”. Un ritornello che tutte le società cantano e che nessuna realizza. La realtà è che il “progetto” (altro termine vuoto che ormai dovrebbe essere vietato per legge) è quello di usare il club come piattaforma di compravendita di giovani calciatori stranieri. I “talenti locali”? Utili solo per le interviste nostalgiche.
Così, si favoleggia di una U21 che “… si vorrebbe alimentare con l’80% di giocatori prodotti in casa e che dovrebbe – già da quest’anno -favorire l’esordio di 2-3 elementi agli ordini del Crus”. Affermazioni nelle quali l’unica cosa vera e certa è l’uso del condizionale.
L’unico “prodotto locale” resta il povero Bottani, spremuto e stanco, sbandierato come foglia di fico identitaria.
Tutta questa farsa dell’interesse per i giovani serve un doppio scopo: obbedire alle imposizioni della Lega (che richiede investimenti nel settore giovanile per permettere acquisizioni) e, naturalmente, vendere ai genitori l’illusione di un futuro dorato per i propri figli nel magico mondo del calcio.
Intanto, lo sport come strumento educativo e sociale è stato definitivamente archiviato. Oggi è un circo ipercompetitivo, dominato da interessi commerciali e finanziari. A gestire il tutto, personaggi dal curriculum variegato ma con un unico obiettivo: massimizzare il ritorno sull’investimento.
E a legittimare il tutto, la complice accondiscendenza delle autorità locali, interessate più alla vetrina (che promette qualche ritorno a livello elettorale) che al bene pubblico.
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