Francia, i risultati del movimento e le prospettive

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La mobilitazione attorno alla giornata del 10 settembre, il movimento “Blocchiamo tutto”, ha dato un colpo definitivo per far cadere Bayrou, e costretto il nuovo primo ministro Lecornu a fare un primo passo indietro e rappresenta un fattore decisivo per determinare le scelte sindacali.

La Francia non è rimasta paralizzata il 10 settembre, ma c’è stato molto di più. È accaduto qualcosa di significativo nella storia delle lotte sociali in Francia, probabilmente una svolta, la cui portata forse non ci è immediatamente chiara, ma che avrà certamente un impatto considerevole sul futuro.

Il movimento “Blocchiamo tutto”, senza bloccare completamente il paese, lo ha comunque bloccato a sufficienza da render la giornata del 10 innanzitutto un successo innegabile, con 250-500.000 partecipanti, a seconda dei conteggi, blocchi in tutte le città e oltre 1.000 scioperi, più importanti quindi per questa congiunzione di due movimenti rispetto al primo giorno dei Gilet Gialli. Ma ciò che è più importante non sta in queste cifre, che indicano che ci sono state manifestazioni, scioperi e blocchi ovunque in tutte le città, ma nel fatto che queste cifre sono il risultato di una mobilitazione dal basso, al di fuori dei consueti percorsi istituzionali.

Così, importanti settori avanzati delle classi lavoratrici si sono organizzati per la loro emancipazione sui social network e poi in assemblee generali, senza aspettare l’iniziativa dei professionisti del movimento sociale. Fino ad allora, le classi inferiori erano condannate ad aspettare che tutto venisse dall’alto, cioè mai, poiché nulla può venire da un intersindacale alla cui guida c’è la CFDT, un’organizzazione che ha invitato Bayrou alla sua riunione di avvio dell’anno 2025-26 e che si oppone da tempo a qualsiasi movimento sociale di una certa importanza.

Questa ascesa delle classi subalterne, che si autoproclamano tali, sulla scena politica è un evento storico; in ogni caso, non si vedeva nulla di simile dal 1968.

Naturalmente, ci sono già stati tentativi di sollevare la pesante coltre che il cosiddetto sistema politico rappresentativo ha posto sulle rivolte dei poveri, dalle elezioni orientate al denaro alle leadership di partito e sindacale, alla polizia e ai media. Tra questi recenti tentativi di scavalcamento, possiamo citare, a partire dal 2008, in vari ambiti, il Nuovo Partito Anticapitalista, la Nuit Debout (il movimento semispontaneo del marzo 2016 contro la legge di riforma del diritto del lavoro del governo “socialista”, N.d.T.), il Fronte Sociale, i Gilet Gialli… ma nessuno di questi tentativi ha avuto un successo così concreto nell’autodeterminazione di massa, nell’associare allo stesso tempo obiettivi sociali e politici, attivisti sindacali, politici e organizzazioni non governative, donne e uomini, giovani e anziani.

Eppure mai prima d’ora un movimento del genere, annunciato con largo anticipo, ha incontrato così tanti ostacoli, prima con il tentativo di Bayrou di riportare il movimento ai giochi istituzionali, poi con quello dell’intersindacale che opponeva la data concorrente del 18 settembre e poi, naturalmente, con gli attacchi dei media e dei politici che hanno denunciato questo movimento come di estrema destra e di estrema sinistra e che, nel complesso, ne hanno annunciato un inevitabile fiasco, senza dimenticare le minacce del ministro di polizia Retailleau di violenza sfrenata da parte delle “forze dell’ordine”.

Niente ha funzionato. L’effetto della rottura di questo movimento con le vecchie forme di lotta è stato abbagliante: in poche settimane di preparazione e un giorno di lotta, centinaia di migliaia di persone hanno iniziato ad agire in modo diverso, autonomamente.

Il risultato è stato che il movimento ha evitato la trappola di Bayrou e lo ha abbattuto senza deviare di un millimetro, aggiungendo invece la caduta di Macron ai suoi obiettivi. Il terrore promesso da Retailleau non lo ha spaventato. Non si è lasciato rallentare di un millimetro dalla data dell’iniziativa intersindacale. Al contrario, lo spirito del movimento del 10 ha spinto la base sindacale a spingere due direzioni sindacali nazionali (CGT e Solidaires) a fare lo stesso, e poi tutti i partiti di sinistra.

E poiché, a differenza delle tradizionali giornate sindacali senza seguito, nessuno vuole fermarsi al 10, mobilitandosi nuovamente sabato 13 e da allora in poi tutti i giorni fino al 18, anche in numero minore, il movimento ha moltiplicato e rafforzato la sua struttura autonoma, le sue assemblee generali, arrivando persino a immaginare un proprio coordinamento nazionale intorno al 21 settembre. È grazie a questo spirito, grazie alla sua continuazione della lotta dopo il 10 e alla sua continua influenza sulla situazione e sul movimento operaio organizzato, che il movimento del 10 ha appena ottenuto, oltre alla caduta di Bayrou, un passo indietro del nuovo premier macroniano, Lecornu, che ha appena annullato la cancellazione dei due giorni festivi. Ma questo non fermerà il movimento. Al contrario, lo incoraggerà a continuare a ottenere veri passi indietro e a farli tutti andare a casa.

Inoltre, questa dinamica di mobilitazione è sulla buona strada per garantire che la data del 18 non rappresenti la presa del controllo del movimento da parte dell’intersindacale, come vorrebbe, e quindi la fine del movimento, ma al contrario la presa del 10 sul 18, ovvero un possibile punto di espansione verso qualcosa di ancora più grande. Lo spirito del 10, ovvero l’abbandono delle giornate una tantum e la fine della rottura tra sindacato e movimento civile, la fine della divisione tra sociale e politico, le rivendicazioni, il movimento di piazza e la caduta di Macron, potrebbero ben condurre i partecipanti del 18 oltre ciò che l’intersindacale auspica.

La dirigenza sindacale aveva già tentato di bloccare l’ascesa del movimento studentesco con la giornata d’azione del 13 maggio 1968. Fu l’enorme successo di quella giornata a portare a una proliferazione di scioperi nei giorni successivi. Passeremo da un blocco totale a uno sciopero generale dopo il 18? Allora facciamo pressione sulle assemblee generali locali e di fabbrica per una continuazione dello sciopero il 19 e una manifestazione nazionale a Parigi il 20, o addirittura una moltiplicazione di iniziative la settimana successiva attorno a un possibile coordinamento, se verrà creato il 21.

In ogni caso, il 18 sarà vissuto da molti come un passo consapevole verso la costruzione di un vero sciopero generale, perché è questo lo spirito del 10 che peserà sul 18. Questo spirito, fin dall’inizio del movimento del 10, è l’incarnazione vivente delle lezioni apprese dal movimento dei gilet gialli e da quello sulle pensioni, condivise sia dal movimento dei cittadini che dalla base sindacale, e questo perché è associato alla consapevolezza generale della situazione, della necessità di affrontare la controrivoluzione reazionaria, sociale e democratica, che i ricchi stanno conducendo ovunque da anni, se non attraverso soluzioni politiche istituzionali e le infinite giornate di mobilitazione sindacale, senza un piano e senza futuro.

Il movimento del 10 settembre è una rottura, è la volontà manifestata dalle masse per un altro orientamento, per un’altra politica operaia. È un passo importante nella lotta di classe. È la classe proletaria che sta gradualmente acquisendo fiducia in se stessa, la classe operaia in senso lato, che da classe oppressa e sfruttata sta imparando a fare a meno dei rappresentanti istituzionali e si sta costituendo come classe per sé, classe politica indipendente, il peggior incubo delle classi possidenti, perché così facendo, sta salendo sulla scena politica non solo per fermare il piano Bayrou, ma per cambiare il mondo.

*dalla pagina facebook dell’autore, militante sindacale

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