Il teatro sociale di Bellinzona ha lanciato una nuova campagna rivolta al pubblico giovanile per attirarlo ai suoi spettacoli. La campagna utilizza immagini di opere d’arte classiche accompagnate da slogan come “Fai la giocata di portarlo a teatro ma ti becchi la tua ex” o “Quando il rizz dei bro funziona”. Con annessa traduzione per i cosiddetti boomer.
Ovviamente la pubblicità ha i suoi linguaggi e risponde spesso all’idea che tutto va bene purché faccia parlare del prodotto. Questa scelta comunicativa, che vorrebbe essere ironica e accattivante, si fonda in realtà su una rappresentazione stereotipata e riduttiva delle giovani generazioni. L’uso forzato di un linguaggio pseudo-giovanile, mutuato da slang da social network e privato di qualsiasi profondità, non solo infantilizza i giovani, ma li dipinge come incapaci di comprendere o apprezzare la cultura se non attraverso filtri caricaturali e banalizzanti.
Ma c’è di più. Alcuni dei messaggi veicolati da questa campagna contengono anche una sfumatura vagamente sessista, o quantomeno una rappresentazione delle relazioni tra i sessi basata su dinamiche di potere, conquista e competizione. Espressioni come “fai la giocata” o “il rizz dei bro” evocano un immaginario relazionale in cui il teatro diventa lo sfondo di una performance virile, più che uno spazio di condivisione, riflessione e crescita reciproca. È una visione che banalizza le relazioni affettive e rafforza stereotipi di genere che dovremmo invece impegnarci a superare.
In generale è un approccio che tradisce una visione paternalistica e superficiale, che presume che i giovani non siano in grado di avvicinarsi al teatro se non con l’esca di un meme o di una battuta da chat. Ma i giovani non sono questo e lo hanno dimostrato con forza in questi anni facendosi promotori di mobilitazioni sociali, femministe e ambientali e essendo al centro anche della mobilitazione in difesa del popolo palestinese. Senza contare che molti sono anche attivi in gruppi artistici, musicali e culturali.
Il teatro dovrebbe essere uno spazio di apertura, di dialogo, di sfida intellettuale e di emozione condivisa. Ridurlo a un contenitore di battute da TikTok non lo rende più accessibile: lo svuota di senso. E soprattutto, tradisce la fiducia e l’intelligenza di un pubblico giovane che merita ben altro. Sarebbe stato interessante, per esempio, coinvolgere i giovani nella programmazione del teatro e aprire il teatro stesso a gruppi di giovani che fanno attività culturali o musicali.
La campagna pubblicitaria del Teatro Sociale si inserisce in un contesto più ampio di una politica giovanile cittadina che, purtroppo, continua a mancare di una visione strategica e di progettualità concreta. La città non dispone di spazi per le attività giovanili e centri giovani, le poche iniziative esistenti sono quasi esclusivamente affidate ad associazioni private, che operano con risorse limitate e senza un vero coordinamento. Questa delega sistematica rivela una mancanza di volontà politica nel costruire un rapporto strutturato e continuativo con le nuove generazioni, che invece meriterebbero una vera politica giovanile, spazi di espressione e di ritrovo che siano al di fuori delle logiche di mercato e che siano co-progettate.
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