Dal dominio alla pulizia etnica. L’industria militare e la strategia di Israele dal 1948

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Israele è uno dei paesi più militarizzati al mondo. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e, più in generale, le forze di sicurezza israeliane costituiscono il nucleo attorno al quale si sono sviluppate le istituzioni, le strutture finanziarie e l’economia del paese da quando David Ben Gurion ordinò la creazione dell’IDF il 26 maggio 1948. Nei decenni successivi, l’economia politica del Paese si è sviluppata attorno a questo principio centrale di organizzazione della guerra, evolvendosi man mano che la natura della guerra cambiava con la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente.

Negli anni ’40, le milizie coloniali decentralizzate si sono riunite per formare un’impresa pubblica gestita dallo Stato per la produzione di materiale militare. Lo Stato israeliano ha limitato le esportazioni di questa industria, una tendenza che è continuata dopo l’indipendenza, con i produttori di armi pubblici che producevano armi per scopi espansionistici. All’inizio della guerra fredda e durante il periodo postcoloniale, la strategia militare israeliana rifletteva questo modello economico. Piuttosto che condurre una guerra convenzionale, la colonizzazione era incoraggiata da piccole unità militari che conducevano campagne di pulizia etnica con armi leggere. Sebbene Israele importasse armi, principalmente dalla Francia, equipaggiava queste milizie principalmente grazie alla produzione nazionale.

È stato dopo la guerra arabo-israeliana del 1973 (guerra dello Yom Kippur), con l’aumento dei finanziamenti militari da parte degli Stati Uniti, che le pratiche di approvvigionamento dell’esercito israeliano sono cambiate. La nuova fase della guerra fredda mondiale ha segnato l’inizio di un periodo di cambiamento settoriale nell’industria della difesa israeliana. La guerra ha messo in evidenza gravi debolezze nella difesa israeliana, che aveva combattuto contro gli eserciti dei paesi arabi equipaggiati dall’Unione Sovietica. La risposta di Israele è stata un rapido e forte aumento delle importazioni di sistemi d’armamento statunitensi. Ma questa decisione ha richiesto un adeguamento strutturale: al fine di rafforzare i suoi legami con l’industria della difesa americana, Israele ha privatizzato e liberalizzato il suo apparato militare nazionale. Negli ultimi decenni del XX° secolo, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) si sono trasformate in una forza di polizia coloniale ad alta tecnologia, che gestisce le popolazioni palestinesi di Gaza e della Cisgiordania attraverso la sorveglianza e il controllo. Mentre le importazioni di armi dagli Stati Uniti continuavano a ritmo sostenuto, Israele ha riorientato la propria produzione verso nuove tecnologie specializzate di sorveglianza e incarcerazione. È emersa una nuova divisione mondiale del lavoro nella produzione di attrezzature militari, plasmata dalla guerra al terrorismo e dall’industria mondiale della difesa guidata dagli Stati Uniti fino al 2023.

La campagna genocida condotta da Israele nella Striscia di Gaza segna una rottura con lo status quo che prevaleva da decenni. Dal 7 ottobre, l’industria militare israeliana cerca sempre più di compensare la sua schiacciante dipendenza dalle importazioni militari con la propria produzione nazionale, tornando così alle sue origini di nazione-milizia mobilitata per ostilità costanti. Questo cambiamento è sia qualitativo che quantitativo. Producendo per il consumo nazionale, il complesso militare-industriale israeliano ha iniziato a ricomporre il proprio profilo produttivo attorno ad armi a bassa tecnologia progettate per la distruzione e lo sfollamento di massa, quindi per prodotti e pratiche più vicini alla sua strategia fondante.

Uno Stato colonialista

Le radici dell’industria degli armamenti israeliana sono anteriori alla fondazione dello Stato stesso. Israel Military Industries, la società che ha creato la Desert Eagle (pistola semiautomatica) e l’Uzi (mitragliatrice), è stata fondata nel 1933 come produttore di armi leggere per rifornire le prime milizie sioniste. Le sue armi erano prodotte in segreto [era il periodo del mandato britannico, che durò dal 1922 al 1947, a seguito della decisione del 1917], introdotte di contrabbando e immagazzinate illegalmente per essere utilizzate da questi gruppi armati sionisti. Le milizie che in seguito formarono l’esercito israeliano erano armate principalmente con mitragliatrici Sten [di origine britannica], mortai e veicoli blindati leggeri, armi ben adatte a intimidire i civili e infine efficaci nella pulizia etnica della Palestina. Queste armi favorivano le tattiche delle piccole unità e la guerra irregolare su terreni accidentati, in linea con la dottrina iniziale di Israele di alta mobilità e comando decentralizzato, e illustrando ciò che i generali israeliani descrivevano spesso come l’ideale di un «esercito piccolo e intelligente».

La mentalità collettivista dei coloni ha svolto un ruolo essenziale nel militarismo del movimento sionista, nelle sue strategie di armamento e nei suoi rapporti con la popolazione palestinese indigena. Sotto la guida dell’ex primo ministro israeliano David Ben Gurion, leader del Partito Laburista e dei sindacati [fu anche leader del gruppo armato Haganah], lo Stato ha monopolizzato la produzione di armi israeliane. Questo monopolio sulla produzione di armi ha favorito lo sviluppo del settore pubblico del Paese, poiché i proventi sono stati reinvestiti nella ricerca e nello sviluppo [1]. Questo tipo di guerra ha influenzato anche la politica di reclutamento militare. Al fine di mantenere la coesione e la lealtà delle unità, Israele ha esentato dalla coscrizione gran parte della popolazione: i palestinesi, gli ebrei ultraortodossi e, più tardi, un numero crescente di ebrei laici. Questa strategia si è rivelata efficace nel 1948, nel 1956 e nel 1967, quando unità leggere e agili sono riuscite a prevalere su forze arabe meno organizzate. Tuttavia, con lo scoppio della guerra nel 1973, i limiti di questa strategia sono stati rapidamente messi in evidenza.

L’infrastruttura del dominio

Se i successi militari di Israele contro Egitto, Siria e Giordania durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967 hanno generato un’eccessiva fiducia tra le élite militari israeliane, la guerra dello Yom Kippur del 1973 ha scosso questa concezione di autosufficienza, anche nella produzione di armi. Gli acquisti massicci di attrezzature militari russe da parte dei governi iracheno e siriano, insieme all’esplosione dei proventi petroliferi arabi e all’ afflusso di armi acquistate grazie a tali entrate, hanno segnato l’inizio di una corsa agli armamenti regionale su molteplici fronti di conflitto. Quando scoppiò la guerra nell’ottobre 1967, le piccole unità israeliane e persino la superiorità aerea non riuscirono a fermare l’avanzata delle divisioni siriane ed egiziane. Nel bel mezzo della guerra, Israele si è rivolto alle importazioni di armi fabbricate negli Stati Uniti, il che ha richiesto nuove tattiche e, alla fine, una nuova strategia.

La dipendenza dai finanziamenti militari statunitensi è iniziata nel bel mezzo della guerra dello Yom Kippur ed è diventata rapidamente una caratteristica essenziale dell’industria israeliana degli armamenti. L’intrinseca ostilità di Israele nei confronti dei governi socialisti arabi finanziati dall’Unione Sovietica lo rese un alleato naturale degli interessi statunitensi durante la guerra fredda. Salvando Israele dalla distruzione, gli Stati Uniti hanno ottenuto un nuovo strumento per proiettare il loro potere in Medio Oriente e un’occasione perfetta per ristrutturare l’industria militare israeliana in base alle proprie priorità economiche e geostrategiche.

Negli anni successivi, gli Stati Uniti hanno utilizzato i finanziamenti militari per esercitare pressioni sul tipo di tecnologie e attrezzature che Israele poteva produrre internamente. Il Pentagono ha identificato i progetti di ricerca militare israeliani che potevano competere con le aziende statunitensi del settore della difesa e ha negoziato la loro chiusura definitiva. Tra questi figuravano i lavori su un missile anticarro destinato a competere con il missile LAU di fabbricazione statunitense, nonché il progetto di armamento di punta di Israele, il caccia Lavi, sviluppato negli anni ’80 e progettato per superare il caccia F-16 della Lockheed Martin [2]. Il Pentagono ha anche monitorato le esportazioni di armi israeliane contenenti tecnologie statunitensi, vietandone la vendita a paesi come la Russia e la Cina.

Dal 1973, Israele è diventato il principale beneficiario degli aiuti militari stranieri degli Stati Uniti nel mondo e, dalla rivoluzione iraniana del 1979, il principale acquirente di attrezzature militari statunitensi nella regione, e di gran lunga. Dall’inizio della guerra dello Yom Kippur, gli Stati Uniti hanno concesso a Israele un aiuto militare complessivo di oltre 171 miliardi di dollari, senza tenere conto dell’inflazione e senza interessi [3]. Questo cambiamento nella base degli acquisti militari israeliani ha profondamente riorientato il ruolo dei produttori di armi locali. Se gli Stati Uniti sono di gran lunga il più grande esportatore di armi al mondo, Israele è diventato a sua volta un importante esportatore di armi, con il più alto tasso di esportazione di armi pro capite al mondo. Tuttavia, mentre le esportazioni di armi statunitensi privilegiano i membri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), la maggior parte delle esportazioni di armi israeliane è destinata a paesi non membri della NATO.

L’unione tra gli interessi militari degli Stati Uniti e di Israele avrebbe avuto due conseguenze. In primo luogo, sotto l’influenza degli Stati Uniti, le aziende private produttrici di armi hanno preso il sopravvento su quelle pubbliche negli acquisti dell’esercito israeliano, mentre il Paese attraversava un periodo di intensa privatizzazione. Le pressioni a favore della privatizzazione sono aumentate a causa dei dolorosi adeguamenti imposti dagli Stati Uniti alla produzione di armi e dei tagli alla spesa militare che riflettevano la fine della guerra fredda. Nel 1993, una commissione governativa presieduta dal professor Israel Sadan si è riunita per studiare il futuro degli acquisti militari israeliani e ha raccomandato la privatizzazione delle funzioni “periferiche”, dallo stoccaggio e dalla distribuzione agli acquisti logistici, fino alla sicurezza delle basi stesse. La concorrenza tra i fornitori privatizzati è stata presentata come una misura di risparmio che, secondo le assicurazioni date agli israeliani, non avrebbe compromesso la sicurezza. L’efficienza era la parola d’ordine del giorno, un principio ripreso dall’allora capo dell’esercito israeliano Ehud Barak [capo di Stato Maggiore delle FDI dal 1991 al 1995, poi ministro degli Affari esteri e primo ministro dal 1999 al 2001], che ha dichiarato: « Tutto ciò che non spara o non aiuta direttamente a sparare sarà eliminato». [4]

La privatizzazione non si è limitata all’industria degli armamenti. Con il piano di stabilizzazione strutturale del 1985, Israele ha avviato un processo di privatizzazione su larga scala delle sue infrastrutture e dei servizi di telecomunicazione, della compagnia aerea nazionale, del settore bancario, nonché una privatizzazione parziale dei settori dell’acqua, della sanità e dei porti [5]. Oltre a rispondere alle preferenze degli Stati Uniti, la privatizzazione ha offerto ai membri dell’élite della sicurezza israeliana opportunità lucrative nella gestione di aziende private di armamenti.

In secondo luogo, queste aziende private sarebbero state sempre più coinvolte nella guerra globale al terrorismo condotta dagli Stati Uniti. La privatizzazione è andata di pari passo con la specializzazione nelle tecnologie utilizzate nella guerra cibernetica, nei droni d’attacco e nei sistemi elettronici avanzati per i veicoli militari [6]. A seguito della seconda Intifada [2000-2005] e degli attentati dell’11 settembre 2001 [World Trade Center], Israele e Stati Uniti hanno condiviso un interesse comune per lo sviluppo di sistemi ad alta tecnologia per la sorveglianza, la regolamentazione e il controllo.

Dal 2001, tra il 70 e l’80% delle armi prodotte in Israele sono state vendute all’estero. Le aziende israeliane produttrici di armi si sono guadagnate la reputazione di venditori di armi a clienti marginali: paesi soggetti a embargo militare, gruppi ribelli, milizie, Stati senza relazioni diplomatiche con gli altri grandi produttori di armi e persino clienti che hanno poi utilizzato queste armi contro Israele [7]. Israele si è guadagnato questa reputazione negli anni ’60, al culmine della guerra fredda mondiale, esportando armi in Uganda, Angola, Cile, Sudafrica, Singapore, Taiwan, Nicaragua, Guatemala e Iran pre-rivoluzionario. Successivamente, con l’evolversi della geografia delle guerre calde, le sue esportazioni si sono spostate verso Ruanda, Jugoslavia, Turchia, Azerbaigian e India. Negli ultimi decenni, gli Stati del Golfo hanno iniziato a importare sempre più armi israeliane [in aggiunta a quelle statunitensi]. Sebbene Israele sia molto indietro rispetto ai principali esportatori mondiali di armi come Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Germania, ha raggiunto lo status di primo esportatore mondiale di armi pro capite intorno al 2009, dopo che l’invasione della Striscia di Gaza nel 2008 ha causato la morte di circa 1400 palestinesi [8].

Nel 2003, il presidente americano George Bush ha creato il Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS- Department of Homeland Security) con un budget di oltre 59 miliardi di dollari. Il DHS e il clima della GWOT (Global War on Terrorism) hanno offerto alle aziende militari e di sicurezza israeliane l’occasione ideale per sfruttare la loro esperienza nei territori occupati. Le aziende israeliane hanno presentato i territori palestinesi occupati come un banco di prova per sviluppare prodotti adatti a un progetto americano di sicurezza interna in continua evoluzione, e Tel Aviv è diventata rapidamente la capitale mondiale del settore della sicurezza dell’industria degli armamenti [9]. La serie di operazioni militari israeliane a Gaza, in Libano e altrove è stata una manna per le aziende produttrici di armi del Paese, consentendo loro di commercializzare i propri prodotti come “collaudati in combattimento” durante le varie fiere dell’armamento che hanno seguito ogni operazione [10]. Attualmente, questi prodotti militari sono diventati un’attività molto redditizia e un settore chiave dell’economia israeliana. Nel 2012, Israele ha incassato 7,5 miliardi di dollari grazie alle esportazioni militari; nello stesso anno, l’ex ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha dichiarato che 150’000 famiglie israeliane dipendono dall’industria degli armamenti per il loro reddito.

Il rapporto speciale tra Israele e gli Stati Uniti è fondamentale in tutto questo. Si tratta di un rapporto essenzialmente militare, in cui i flussi monetari e le esportazioni/importazioni di armi svolgono un ruolo strutturale nell’economia israeliana. Se circa il 75% dei 3,1 miliardi di dollari di aiuti militari statunitensi a Israele deve essere speso in armi americane, il resto può essere destinato ad armi prodotte localmente. Questo rafforzamento dell’allineamento diplomatico ha facilitato l’integrazione industriale, come quando la società americana Magnum Research ha trasferito la produzione delle sue pistole Magnum e Desert Eagle in Israele. Oggi, anche quando Israele acquista armi fabbricate negli Stati Uniti, queste sono spesso costruite con componenti israeliani. I fondi per la ricerca stanziati dal governo e i programmi di ricerca universitari congiunti hanno conferito legittimità scientifica alle tecnologie di repressione [11]. Nel 2018, l’ondata di privatizzazioni e la nuova domanda di esportazioni hanno portato all’acquisto della società pubblica Israel Military Industries da parte della società privata Elbit Systems. Quest’ultima è così diventata la più grande azienda produttrice di armi di Israele e la ventottesima più grande azienda produttrice di armi al mondo nel 2019. Fornisce le forze armate non solo direttamente, ma anche indirettamente come subappaltatore di grandi aziende come General Dynamics e Airbus [12]. Elbit Systems incarna chiaramente il nuovo volto dell’industria degli armamenti israeliana: tecnologie di oppressione, gamme di prodotti complementari piuttosto che concorrenti alle armi degli Stati Uniti ed esportazioni globali che puntano sul valore che i governi di tutto il mondo attribuiscono all’esperienza di Israele in materia di occupazione.

Nei cinque decenni successivi alla guerra del 1973, le milizie dei coloni sostenute dallo Stato israeliano si sono trasformate in un sistema ad alta tecnologia destinato a opprimere i palestinesi. Nel suo esercito ormai ad alta intensità di capitale, le aziende produttrici di armi dimostrano la loro tecnologia all’avanguardia attraverso gli assalti militari contro i palestinesi e la sorveglianza e il controllo quotidiano dell’occupazione [13 e 14].

Specializzato in sistemi di sorveglianza, attrezzature antisommossa e infrastrutture carcerarie, questo “laboratorio” ha prodotto strumenti ideali per mantenere l’occupazione, ma poco adatti alla guerra convenzionale. Non essendo più una forza di combattimento, l’esercito israeliano si è trasformato in un esercito di polizia coloniale, privilegiando la dissuasione, l’umiliazione e la repressione della resistenza palestinese piuttosto che la supremazia sul campo di battaglia. Decine di migliaia di agenti di sicurezza privati sono stati addestrati allo sviluppo e alla manutenzione di queste tecnologie.

La strategia di annientamento, di pulizia etnica

La dipendenza di Israele, da decenni, da questo modello di sorveglianza high-tech delle popolazioni palestinesi isolate è stata messa in discussione dagli attentati del 7 ottobre. Indagini interne divulgate nel marzo 2025 rivelano che gli ufficiali avevano scartato la possibilità di un attacco palestinese, ritenendo che il loro regime di dissuasione fosse infallibile. Quando Hamas ha infranto questa illusione, il governo di estrema destra israeliano è tornato a quella che fino ad allora sembrava una forma di guerra superata: armi pesanti fornite dagli Stati Uniti (artiglieria, carri armati, droni armati, bombardamenti navali e aerei da combattimento) per assediare in modo prolungato un’intera popolazione.

Il genocidio perpetrato da Israele a Gaza, così come l’invasione del Libano e gli attacchi aerei in Siria, Yemen e Iran, hanno un importante punto in comune: sono condotti principalmente con armi importate. La maggior parte di esse è sovvenzionata dai contribuenti americani, anche se Israele paga un prezzo più alto per le armi provenienti dalla Germania, dalla Serbia e, sempre più spesso, «da paesi con cui non abbiamo relazioni diplomatiche, compresi Stati musulmani di tutti i continenti» , ha dichiarato un funzionario della Difesa israeliana a Yediot Aharonot nel novembre 2024. Mentre l’esercito israeliano ha esaurito le munizioni e le armi durante la campagna post-7 ottobre, i commercianti di armi israeliani si sono trasformati in avvoltoi in un commercio mondiale di armi i cui prezzi sono gonfiati dalla domanda in Ucraina, scambiando sistemi d’arma ad alta tecnologia come droni e apparecchiature informatiche con materiale di base come proiettili, polvere da sparo e altri esplosivi [15] . Secondo il Wall Street Journal, nel dicembre 2023 gli Stati Uniti avevano consegnato a Israele più di 5000 bombe non guidate Mk82, 5400 bombe non guidate Mk84 da 1814 kg, 1000 bombe GBU-39 da 907 kg e circa 3000 kit JDAM (Joint Direct Attack Munition). Dal 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno fornito a Israele armi e munizioni per un valore di circa 17,9 miliardi di dollari, oltre al finanziamento militare esterno annuale di 3,8 miliardi di dollari e alle importazioni pagate per 8,2 miliardi di dollari provenienti dalle aziende produttrici di armi degli Stati Uniti [16].

Il passaggio a una strategia volta a massimizzare la distruzione ha anche portato a un rinnovato interesse per la produzione di armi a livello nazionale. Durante la conferenza degli azionisti di Elbit Systems nel 2025, la tendenza era chiara: Israele rimane dipendente dalle importazioni di armi, ma cerca di rifornirsi il più possibile dalle aziende nazionali per sfuggire all’impatto del crescente embargo militare di cui è oggetto. La quota delle esportazioni di Elbit Systems è passata dal 79% nel primo trimestre del 2023 al 58% nel quarto trimestre del 2024. Ma questa ricomposizione della domanda incentrata sul cliente nazionale fondatore dell’azienda non ha ridotto le vendite. Gli ultimi rapporti finanziari di Elbit Systems rivelano che il fatturato e l’utile operativo dell’azienda sono aumentati non grazie alle esportazioni, ma grazie a “un aumento significativo della domanda dei suoi prodotti e soluzioni da parte del Ministero della Difesa israeliano (IMOD) rispetto ai livelli di domanda precedenti alla guerra”. Per l’anno conclusosi a dicembre 2024, l’azienda ha realizzato 1,6 miliardi di dollari di utili su un fatturato di 6,8 miliardi di dollari, contro 1,5 miliardi di dollari di utili su un fatturato di 6 miliardi di dollari nel 2023. Il suo portafoglio ordini è passato da 17,8 a 23,8 miliardi di dollari. Nel complesso, le aziende israeliane produttrici di armi hanno registrato un afflusso di ordini dall’esercito nazionale [17]. Nel maggio 2025, Elbit ha emesso 588 milioni di dollari di nuove azioni, sottoscritte da Bank of America Securities, J.P. Morgan, Jefferies Group LLC e Morgan Stanley.

Come nei periodi precedenti, questa svolta economica è stata accompagnata da cambiamenti nella strategia militare. Il nuovo cannone Sigma (Ro’em) da 155 mm di Elbit Systems ne è un esempio significativo. A prima vista, il suo sviluppo sembra paradossale: Israele sta affrontando una grave carenza di proiettili da 155 mm, quindi perché investire in un cannone che raddoppia la cadenza di fuoco? Le innovazioni del Sigma rivelano le priorità profonde dell’esercito israeliano: il suo caricatore automatico robotizzato riduce il fabbisogno di personale da sette soldati a soli due, consentendo a unità più piccole di operare con un minimo di coordinamento o disciplina. Con il continuo afflusso di bombe americane e l’aiuto finanziario degli Stati Uniti per l’acquisto di munizioni da parte di Israele in tutto il mondo, questa nuova attrezzatura può facilitare una riorganizzazione della strategia dell’esercito israeliano.

Il Sigma è un’arma destinata a bombardamenti di tipo miliziano, che massimizza la distruzione per soldato istituzionalizzando al contempo la mancanza di disciplina che ha caratterizzato la campagna israeliana a Gaza. Incarna la trasformazione dell’esercito israeliano: un esercito tecnologicamente avanzato che torna all’artiglieria, dove la potenza di fuoco sostituisce la strategia e dove lo sterminio sostituisce l’occupazione.

Questi strumenti sono utilizzati con la mentalità delle milizie dei coloni. “L’artiglieria e i colpi diretti dei carri armati sono più efficaci delle costose armi di precisione”, ha dichiarato un ufficiale dell’esercito israeliano a novembre. «Uccidere un terrorista con un proiettile di carro armato o un cecchino, piuttosto che con un missile lanciato da un drone, è considerato più “professionale” [18]. I carri armati bombardano i campi profughi a distanza ravvicinata; gli attacchi aerei radono al suolo interi quartieri per uccidere un solo militante. La dottrina americana delle armi combinate e degli attacchi di precisione viene ignorata, sostituita da una distruzione indiscriminata. L’industria degli armamenti creata per controllare le zone di occupazione nei paesi del Sud alla fine della guerra fredda si è concentrata sull’interno, al fine di completare una gamma moderna di attrezzature statunitensi con la massima capacità di distruzione.

* Shir Hever è un economista, direttore dell’Alliance for Justice between Israelis and Palestinians. Le sue ricerche riguardano, tra l’altro, le dimensioni economiche della politica di occupazione e colonizzazione dei territori palestinesi. Ha pubblicato The political economy of Israel’s occupation. Repression beyond exploitation, Pluto Press 2010, e The privatisation of Israeli security, Pluto Press 2017. Queto articolo pubblicato da Phenomenal World il 29 agosto 2025

  1. Ya’akov Lifshitz, Security Economy, the General Theory and the Case of Israel, Gerusalemme: Ministry of Defense Publishing and the Jerusalem Center for Israel Studies (2000).
  2. Sharon Sadeh, “Israel’s Beleaguered Defense Industry,” Middle East Review of International Affairs Journal, Vol. 5, No. 1, marzo 2001, pp. 64–77.
  3. Jeremy Sharp, “US Foreign Aid to Israel: Overview and Developments since October 7, 2023,” https://www.congress.gov/crs-product/RL33222, consultato nell’agosto 2025.
  4. Nadir Tzur, “The Third Lebanon War,” Reshet Bet, 17 luglio 2011 http://www.iba.org.il/bet/?entity=748995&type=297, consultato nel dicembre 2013.
  5. Yael Hason, Three Decades of Privatization [Shlosha Asorim Shel Hafrata], Tel Aviv: Adva Center (novembre 2006).
  6. Sadeh, 2001.
  7. Jonathan Cook, “Israel Maintains Robust Arms Trade with Rogue Regimes,” Al-Jazeera, ottobre 2017 https://www.aljazeera.com/news/2017/10/23/israel-maintains-robust-arms-trade-with-rogue-regimes, consultato nel dicembre 2024.
  8. Nazioni Unite, “5. Stime della popolazione a metà anno: 2002-2011”, Annuario demografico, 2013 http://unstats.un.org/unsd/demographic/products/dyb/dyb2011.htm, consultato nel dicembre 2024; Richard F. Grimmett e Paul K. Kerr, “Conventional Arms Transfers to Developing Nations, 2004–2011, “Congressional Research Service, 7–5700, 24 agosto 2012; Amnesty International, “Israel/Gaza: Operation ‘Cast Lead’ – 22 Days of Death and Destruction, Facts and Figures,” luglio 2009 https://www.amnesty.org/en/wp-content/uploads/2021/07/mde150212009eng.pdf, consultato nel dicembre 2024.
  9. Jonathan Cook, “Israel’s Booming Secretive Arms Trade,” Al-Jazeera, agosto 2013 https://www.aljazeera.com/features/2013/8/16/israels-booming-secretive-arms-trade, consultato nel dicembre 2024. Neve Gordon, “The Political Economy of Israel’s Homeland Security/Surveillance Industry,” The New Transparency, Working Paper (28 aprile 2009).
  10. Sophia Goodfriend, “Gaza War Offers the Ultimate Marketing Tool for Israeli Arms Companies,” +972 Magazine,gennaio 2024 https://www.972mag.com/gaza-war-arms-companies/, consultato nel dicembre 2024.
  11. Maya Wind, Towers of Ivory and Steel: how Israeli Universities Deny Palestinian Freedom, Verso (2023).
  12. Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) “The SIPRI top 100 Arms-Producing and Military Service Companies, 2020,” SIPRI, dicembre 2020 https://www.sipri.org/sites/default/files/2021-12/fs_2112_top_100_2020.pdf, consultato nel dicembre 2024.
  13. Yagil Levy, Israel’s Death Hierarchy: Casualty Aversion in a Militarized Democracy, New York: NYU Press (2012).
  14. Questo è comunemente definito il “laboratorio” palestineseun termine utilizzato nella letteratura critica e dalle stesse aziende produttrici di armi israeliane.
  15. Hussein, 2024. Yoav Zitun, “From deals in the Third World to dubious brokers: a glimpse into the IDF arms race,” Ynet, 22 novembre 2024, https://www.ynetnews.com/article/h1tefly71g; Cfr. https://www.haaretz.com/israel-news/ 2024-09-27/ty-article-magazine/.highlight/retired-israeli-general-giora-eiland-called-for-starving-gaza-does-he-regret-it/00000192-33f5-dc91-a1df-bffff4930000, consultato nel gennaio 2025.
  16. Ellen Knickmeyer, “Gli Stati Uniti spendono la cifra record di 17,9 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele dall’ultimo 7 ottobre”, AP, 9 ottobre 2024, https://www.ap.org/news-highlights/spotlights/2024/ us-spends-a-record-17-9-billion-on-military-aid-to-israel-since-last-oct-7/, consultato nell’agosto 2025; Hagai Amit, “89 miliardi di NIS in due anni: i numeri dietro la frenesia di acquisti dell’IDF durante la guerra”, The Marker, 27 luglio 2025. https://www.themarker.com/allnews/2025-07-27/ty-article/.highlight/00000198-4735-deec-ab9e -e73f8bc40000, consultato nell’agosto 2025.
  17. Yuval Azulay, “Israel’s Arms Industry Profits Soar as Wars Fuel Billion-Dollar Contracts,” Calcalist, agosto 2024 https://www.calcalistech.com/ctechnews/article/hkuwdfkic, consultato nel dicembre 2024.
  18. Zitun, “From deals in the Third World to dubious brokers: a glimpse into the IDF arms race,” Ynet, 22 novembre 2024, https://www.ynetnews.com/article/h1tefly71g(Indietro)

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