Riduzione delle tariffe elettriche nel 2026? Discutiamone…

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A inizio settembre sono apparse le nuove tariffe elettriche per l’anno 2026. Le principali aziende di distribuzione di energia elettrica ticinesi presentano, per il secondo anno di fila, una riduzione della fattura finale. Tanto è bastato alle associazioni di categoria per parlare di “tendenza al ribasso”, messaggio prontamente propagato da diversi media compiacenti o semplicemente disinteressati ad approfondire la questione.

Effettivamente i prezzi sono diminuiti, ma sembra un’operazione ardita quella di intravedere una “tendenza al ribasso” su una base calcolo di soli due anni. Tanto più che, come vedremo in seguito, la politica di approvvigionamento della maggior parte delle aziende elettriche è rimasta esattamente la stessa rispetto agli anni dell’esplosione dei prezzi (2023-24), ciò che non costituisce di certo una garanzia affinché l’esperienza vissuta due anni fa non si ripeta a corto termine, anche tenuto conto dell’instabilità speculativa connaturata alla liberalizzazione del mercato europeo dell’energia elettrica e, parzialmente, anche di quello svizzero.

La situazione attuale merita un approfondimento e dovrebbe essere l’oggetto di un ampio dibattito politico e pubblico. Nell’attesa che questo veda mai il giorno, vogliamo comunque apportare fin da subito il nostro contributo.

Una sola vera tendenza in corso: l’aumento delle tariffe grazie alla liberalizzazione…

Se si vuol parlare di tendenza, l’unica stabilita oggettivamente è che con la liberalizzazione del mercato europeo dell’energia le tariffe elettriche sono cresciute costantemente. Gli effetti di questo processo europeo si sono fatti sentire anche in Svizzera, nonostante nel nostro paese la liberalizzazione formale sia stata contenuta, limitandosi ai solo i grandi consumatori di energia elettrica. Le aziende elvetiche hanno completamente abbracciato il meccanismo fondamentale alla base della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, ossia la transazione rapida da un sistema nel quale i prezzi al dettaglio basati sui costi di produzione erano relativamente stabili, a un sistema nel quale i prezzi al dettaglio sono calcolati in maniera crescente sui prezzi del mercato all’ingrosso europeo.

Questo rappresenta il secondo pilastro della liberalizzazione. Il mercato all’ingrosso è formato dalle diverse borse di scambio dell’energia elettrica, dove i grandi produttori vendono ai fornitori (distributori). La vendita e l’acquisto di vettori energetici non avviene più, appunto, sulla base di prezzi fissati per coprire i costi di produzione, di trasporto e di distribuzione di elettricità ma in funzione del costo marginale. In parole semplici, il costo marginale è il prezzo fissato dall’ultima centrale necessaria per soddisfare la domanda, il quale è poi applicato a tutta l’energia prodotta in dato momento. Questo prezzo, determinato appunto dagli attori che dominano il mercato all’ingrosso, riflette il costo della fonte energetica più cara attivata in quel momento, quasi sempre le centrali a gas. Quindi l’energia idroelettrica, meno cara, sarà venduta a un prezzo più elevato corrispondente a quello del gas. Questo combustibile è inoltre più soggetto a variazioni di prezzo anche perché più sensibile all’evoluzione della situazione geo-politica, ciò che rendente molto instabile l’intero sistema delle tariffe elettriche sul mercato liberalizzato.

Le aziende elettriche svizzere e ticinesi hanno partecipato fin da subito alla liberalizzazione del mercato europeo dell’energia, approvvigionandosi ampiamente presso le borse europee. Così facendo hanno subito le oscillazioni al rialzo dei prezzi. La configurazione particolare del sistema elvetico, ossia la suddivisione monopolistica delle zone di distribuzione, ha permesso alle aziende elettriche di ripercuotere automaticamente gli aumenti dei prezzi sulle tariffe imposte ai consumatori finali, soprattutto alle economie domestiche, garantendo così anche i propri margini di profitto.

A livello nazionale, dal 2011 al 2026 per la categoria H4 standard (economie domestiche), le tariffe sono aumentate del 35,09%, in Ticino la crescita è stata del 27,76%. In Svizzera, la tariffa totale della categoria H4 standard è passata da una media di 20,59 a 27,82 cts/kWh. In Ticino nel 2011 si pagavano mediamente 19,67 cts/kWh, diventati 25,13 nel 2026.

Ovviamente la crisi speculativa innescatasi a partire dal 2022 ha inciso parecchio su questo innalzamento delle tariffe. Ma l’analisi del periodo 2011-2026 dice anche altro. Dal 2011 al 2017 le tariffe hanno subito un’oscillazione senza grandi differenze: un anno erano superiori a quelle del 2011, l’anno dopo scendevano al di sotto di questo valore di riferimento. L’andamento è praticamente identico sia a livello nazionale che a livello cantonale. Nel 2018, invece, si osserva una chiara tendenza al rialzo, nel senso che da questa data i prezzi non scendono più al di sotto del valore registrato nel 2011; anzi, le tariffe saranno sempre superiori a quelle del breve periodo 2011-2017 formando così un evidente scalino tariffario al rialzo. Questo sarà poi polverizzato a partire dal 2022, dove si registrerà un vero e proprio balzo in avanti.

Tutto ciò dimostra che la liberalizzazione del mercato ha esclusivamente provocato un aumento delle tariffe e un consolidamento dei profitti delle aziende elettriche, pubbliche e private. Parlare di tendenza al ribasso in un contesto assolutamente volatile come il mercato liberalizzato dell’energia elettrica appare più come un azzardo che una considerazione oggettiva.

Riduzione delle tariffe o consolidamento di un nuovo innalzamento permanente?

I ribassi registrati nel 2025 e nel 2026 sono lontani dall’aver riportato le tariffe elettriche per lo meno ai livelli precedenti l’impennata speculativa. Il grafico che abbiamo ricostruito mostra questo differenziale ancora molto importante.  

Nel 2026, la differenza delle tariffe rispetto al 2018 va dal 25,02% delle AIL SA, al 29,15% della SES, arrivando al 31,47% dell’AMB e, addirittura, al 55,39% delle AIM. Quindi un divario ancora corposo e costoso per i clienti-utenti. Ora, la questione di fondo è se siamo confrontati a un ulteriore scalino tariffario al rialzo, come quello registrato nel 2018. Il Groupe E – società di produzione e di distribuzione romanda – scrive che «le ragioni più importanti [dell’attuale contrazione dei prezzi] sono la riduzione dei prezzi di mercato, delle tariffe d’uso della rete e della tassa sulle riserve di elettricità. Questi fattori non permettono tuttavia un ritorno alle tariffe precedenti la crisi energetica»[1].

Anche a livello europeo assistiamo a un consolidamento di questo “scalino” o, se si preferisce, di un non ritorno al livello delle tariffe precedenti il 2022. Questa situazione è fotografata dal grafico che segue.

A sostegno dell’ipotesi di un non ritorno alle tariffe precedenti le impennate del 2023-2024, concorrono almeno tre fattori principali.

In primo luogo, la configurazione monopolistica-privata del mercato elvetico – l’impossibilità per le economie domestiche di scegliere un altro fornitore – permette alle aziende elettriche di manovrare liberamente al fine di controllare i propri margini di profitto, soprattutto spingendoli verso l’alto. E ciò anche in caso di nuove impennate speculative sul mercato all’ingrosso europeo della fornitura di energia elettrica. Come vedremo fra poco, durante l’esplosione dei prezzi degli anni 2023 e 2024, molte aziende elettriche ticinesi hanno mantenuto sostanzialmente inalterato il proprio margine di profitto “mungendo” letteralmente il proprio bacino d’utenza, anche attraverso l’aumento di altre componenti che concorrono a formare la tariffa finale.

In secondo luogo, il mantenimento delle tariffe a livelli elevati dipende pure dall’instabilità del mercato liberalizzato dell’energia su scala europea, le cui fluttuazioni, soprattutto quelle al rialzo, dipendono in massima parte dal tasso di profitto ricercato dalle grandi società all’ingrosso che controllano le “borse elettriche” e, in buona parte, anche i loro prezzi determinati dal costo di funzionamento (costo marginale) della centrale di produzione più cara, in generale una centrale a gas.

Infine, la possibilità d’imporre qualsiasi aumento dei prezzi a un’utenza senza “vie di fuga” permette alle società di distribuzione di continuare con una politica di approvvigionamento finalizzata quasi unicamente alla massificazione dei profitti, speculando sul mercato all’ingrosso con contratti a cortissimo termine, i quali quando si registrano fluttuazioni dei prezzi al ribasso permettono d’incassare notevoli proventi mentre quando i prezzi esplodono, i profitti di molte nostre aziende elettriche sono comunque “garantiti” dal ribaltamento sugli utenti dell’aumento dei prezzi di mercato, garantendo la stabilità dei profitti. La conferma è palese: molte delle aziende elettriche ticinesi – con in testa i “giganti” AIL SA e SES – anche nel 2023 e nel 2024 hanno dimostrato un’ottima salute finanziaria, presentando i migliori risultati della loro storia:

 

Nel 2024, le AIL SA addirittura hanno realizzato il miglior “Utile operativo prima degli ammortamenti e rettifiche di valore”, pari a 78,1 milioni di franchi, superiore del 48,8% rispetto al 2023 e di quasi 20 milioni di franchi rispetto alla media del periodo 2014-2024. Gli anni della crisi energetica per le economie domestiche ticinesi sono stati gli anni che hanno visto la SES gonfiare a dismisura il proprio patrimonio, come attesta la tabellina che abbiamo ricostruito.

In sostanza, la maggioranza delle direzioni di queste società non trarrà nessuna lezione dall’esperienza apertasi nel 2021, operando differentemente a livello delle politiche d’approvvigionamento. E, d’altronde, perché dovrebbero farlo? Come abbiamo visto, il rischio aziendale è ridotto ai minimi termini, la ricchezza realizzata è elevata. Il massimo per delle imprese che di pubblico hanno solo la proprietà ma che perseguono i massimi obiettivi di redditività patrimoniale.

Manipolare per garantire il massimo profitto

Come abbiamo accennato in precedenza, la conservazione dei margini aziendali è stata dunque assicurata, nella maggior parte dei casi, ribaltando semplicemente gli aumenti derivati dall’esplosione dei prezzi dell’acquisto di energia elettrica sulle bollette elettriche dell’utenza sacrificale.

Le principali aziende elettriche non si sono limitate solo a questo espediente per sostenere i loro margini di profitto, prima e durante la crisi energetica. Spulciando i dati disponibili, emergono infatti altre “operazioni” riconducibili a questo obiettivo. È il caso delle tariffe per il trasporto dell’energia, una componente della tariffa finale inviata ai clienti delle varie aziende. Questa tariffa è scorporata dal supplemento per l’uso della rete riscosso a livello nazionale. La tariffa per l’utilizzazione della rete è il prezzo di trasporto dell’elettricità sulla rete elettrica dalla centrale fino al consumatore. Quindi, in questo caso, è deciso da ogni singola azienda elettrica all’interno del suo comprensorio di riferimento. A cosa serve la tariffa per l’utilizzazione della rete a livello locale? In linea teorica dovrebbe servire a finanziare i costi di gestione della rete e ad assicurare gli investimenti futuri. Sicuramente una parte di questa tariffa è effettivamente usata dalle aziende elettriche per questi scopi. Tuttavia, la tendenza che è possibile estrapolare dai dati pubblicati lascia supporre che questa tariffa sia usata anche come strumento di correzione dei margini di profitto aziendali. Il grafico che segue riproduce l’evoluzione delle tariffe di trasporto dell’energia elettrica delle quattro principali aziende ticinesi.

Tolto il caso dell’AMB, i cui dati indicano un andamento “normale”, probabilmente compatibile con la finalità di questa tariffa, per le altre tre aziende esaminate la dinamica è invece “anormale”. Infatti, queste tariffe esplodono nel periodo preso in esame: per la SES l’aumento è del 137,4%, per la AIL SA la crescita è del 36,5% e le AIM presentano un incremento esattamente del 100%.

Ma c’è un altro movimento che colpisce: sostanzialmente fino al 2020 l’incremento di questa tariffa specifica è tutto sommato graduale, con comunque una tendenza costante al rialzo. Invece, dal 2021, tutte le aziende presentano un’impennata di questa tariffa, con il caso estremo della SES.

Questo importante aumento è concomitante con la crisi energetica che ha comportato l’esplosione delle bollette elettriche del periodo 2021-2024. Considerato il fatto che le tariffe per l’utilizzazione della rete non hanno nessuna correlazione materiale e finanziaria con l’andamento delle tariffe per l’energia, tanto meno sul cortissimo termine, il loro massiccio innalzamento pone più di un dubbio sulla sua reale funzione e giustificazione.

A partire dalla seconda metà del 2021 almeno, i prezzi dell’energia all’ingrosso sul mercato europeo hanno iniziato ad aumentare in maniera vertiginosa. Molte aziende elettriche, anche quelle nostrane e in particolare le AIL SA e la SES, hanno condotto una politica speculativa di approvvigionamento, acquistando “pacchetti elettrici” a brevissimo termine, per una durata variabile da qualche mese a un anno, massimo due. Quando i prezzi all’ingrosso sono in un trend al ribasso, questi acquisti permettono di realizzare elevati profitti, quasi mai condivisi con l’utenza. Quando, invece, i prezzi schizzano alle stelle, la situazione si ribalta, ossia il profitto si restringe fino ad arrivare a una perdita. Come abbiamo detto, il monopolio privato di cui godono le aziende elettriche permette, in realtà, di disinnescare questa dinamica grazie al ribaltamento dell’aumento dei prezzi all’ingrosso di energia sulle tariffe elettriche imposte alla popolazione consumatrice. È evidente che per difender il loro margine di profitto una buona parte delle società elettriche ha usato anche l’aumento dei prezzi della componente tariffaria legata all’utilizzazione della rete.

A corroborare questo dubbio è la stabilità – nel caso delle AIL SA e della SES – degli investimenti sul periodo 2016-2024, stabilità che dimostra come gli incrementi delle tariffe per l’utilizzazione della rete non sono imputabili a bisogni crescenti in questo ambito specifico, ma sono serviti a conservare, anzi ad aumentare la redditività delle aziende elettriche anche in una fase di “crisi”, subita e pagata esclusivamente dai duecentomila e rotti clienti sacrificali.

Un cambiamento è improcrastinabile. Costruiamo il primo passo

Dal quadro complessivo che abbiamo cercato di tracciare appare evidente come le aziende elettriche ticinesi – evidentemente lo stesso discorso vale anche per quelle a livello nazionale – possano letteralmente fare quello che vogliono sulla gestione di un bene fondamentale come l’energia elettrica, imponendo in particolare la ricerca del massimo tasso di profitto a detrimento della soddisfazione dei bisogni sociali, la quale dovrebbe comprendere anche il diritto di usufruire di questa insostituibile risorsa a prezzi determinati sulla base dei redditi disponibili delle economie domestiche.

La situazione contingente, il cui peggioramento è già garantito dai Bilaterali III che costituiscono un’ulteriore e consistente accelerazione del processo di liberalizzazione del mercato elvetico, imporrebbe il controllo sociale dell’energia elettrica, dalla produzione alla distribuzione. Molto semplicemente, i salariati-consumatori dovrebbero definire la linea delle aziende elettriche di competenza – aspettando una loro “cantonalizzazione”… – sia in termini di approvvigionamento che di distribuzione. I rappresentanti della popolazione salariata dovrebbero perciò occupare i consigli d’amministrazione delle aziende elettriche, estromettendo i rappresentanti dei partiti politici, i quali, risultati alla mano, hanno sempre difeso la redditività finanziaria dello sfruttamento dell’energia elettrica.

Evidentemente siamo ancora molto lontani dalla concretizzazione di uno scenario simile. Per il momento siamo a uno stadio dove la popolazione deve ancora rendersi conto di come il sistema in vigore non sia più sostenibile, di come le aziende elettriche abbiano quale unico obiettivo quello di incrementare i loro margini di profitto – ovviamente con l’accordo delle proprietà pubbliche che le controllano – ciò che le spinge a praticare indefessamente una politica speculativa di approvvigionamento e di redistribuzione dell’energia elettrica, il cui perno è uno sfruttamento sfacciato dei utenti, soprattutto quelli che non hanno altro sostentamento al di fuori della vendita della propria forza lavoro.

Allora, il primo passo in questo senso è quello di rivendicare la pubblicazione dei contratti d’acquisto dell’energia elettrica, le alternative possibili (soprattutto in materia di contratti a lunga scadenza, in Svizzera come all’estero), i prezzi esatti concessi ai grandi clienti del libero mercato dell’elettricità (grandi consumatori), una panoramica degli investimenti realizzati e la loro necessità produttiva. Queste informazioni dovrebbero poi essere materia di un vasto dibattito pubblico, il quale dovrà pure investire le scelte strategiche delle aziende elettriche, anche in materia patrimoniale (ossia indagare la funzione e la legittimità dalla costituzione di veri e propri “tesori” milionari).

I rappresentanti dei poteri dominanti grideranno allo scandalo, pretestando che si tratti di informazioni “sensibili”, di “segreti industriali” irrivelabili. Rispondiamo che in una democrazia, anche a regime liberale, queste informazioni sono un atto dovuto, soprattutto quanto in gioco ci sono degli interessi collettivi fondamentali.

*articolo apparso su naufraghi.ch il 4 ottobre 2025

[1] Tarifs 2025| Groupe E

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