Le nuove destre latinoamericane combinano in modo complesso immagini di ritorno all’ordine e di ribellione anti-status quo, ma, in realtà, si adattano solo alle circostanze.
«Quando si guardavano i dati del Cile, sembrava impossibile che il sistema potesse crollare […], ma improvvisamente è crollato. Ed è crollato perché, fondamentalmente, non hanno combattuto la battaglia culturale». Questa affermazione confusa di Javier Milei è curiosa, non tanto perché un presidente «libertario» rivendichi la dittatura di Augusto Pinochet – anche molti ultraliberali dell’epoca l’hanno sostenuta –, ma perché il pinochetismo ha effettivamente condotto una battaglia culturale che ha persino trasceso il proprio regime. Ma al di là delle precisazioni storiche, ciò che rivela la frase del presidente argentino è la sua ossessione – e quella delle nuove destre radicali – per la battaglia culturale; una controrivoluzione alla Viktor Orbán in Ungheria, oggi ammirata per la sua lotta anti-woke.
Il termine «woke» (risvegliato), la cui origine risale alla storia del movimento afroamericano, è stato dirottato dalla destra contro i suoi nemici. Se inizialmente serviva a criticare un certo progressismo eccessivamente «paternalistico», oggi è diventato un grido di battaglia contro il progressismo nel suo complesso. Sebbene fino a poco tempo fa fosse sconosciuto nel mondo ispanofono, è finalmente entrato nel discorso pubblico grazie alla nuova destra, in particolare Vox in Spagna.
«Non importa se siamo buoni amministratori o buoni politici, non andremo da nessuna parte senza la battaglia culturale», ha dichiarato Milei nel dicembre 2024, durante una riunione [in Argentina] della CPAC (Conservative Political Action Conference), la rete mondiale molto presente in America Latina, che costituisce uno dei portavoce della reazione internazionale.
Negli ultimi anni l’America Latina ha assistito all’ascesa delle nuove destre radicali, che stavano già trasformando i campi politici nelle democrazie occidentali. La vittoria elettorale di Jair Bolsonaro nel 2018 aveva aperto la “finestra di Overton” – ovvero la possibilità di tenere discorsi estremisti senza essere socialmente penalizzati –, ma è stata l’elezione di Javier Milei a dare un impulso senza precedenti a questo fenomeno, che ha avuto come contropartita la crisi delle destre liberali-conservatrici tradizionali. In definitiva, la regione non è estranea alla «ribellione del pubblico» – teorizzata dall’ex analista dei media della CIA Martin Gurri [nel suo libro del 2014 The Revolt of the Public and the Crisis of Authority in the New Millennium, ndt] –, né al risentimento, all’ansia, alla depressione, alla rabbia e alla sfiducia sociale affrontati da Richard Seymour nel suo libro Disaster Nationalism: The Downfall of Liberal Civilization (Verso, 2024).
La sconfitta dell’argentino Mauricio Macri [nel 2019 contro il «peronista» Alberto Fernandez] e la crisi del secondo mandato del cileno Sebastián Piñera [terminato nel marzo 2022] sono solo due espressioni di un fenomeno più ampio. Per l’influencer reazionario Agustín Laje [scrittore argentino, attivo alla guida della Fundacion Faro e della Fundacion Libre], questo è solo il risultato di una «destra codarda» la cui pusillanimità ha finito per aprire la strada al ritorno al potere della sinistra o del centro-sinistra in diversi paesi della regione. Per Agustín Laje – ospite quotidiano in diversi paesi dell’America Latina e la cui influenza ideologica è in continua crescita all’interno del governo Milei – queste destre hanno capitolato di fronte al globalismo, o addirittura all’agenda «woke». Il globalismo, ha dichiarato, è un sistema di dominio mondiale e di controllo totale, «il progetto di potere politico più ambizioso mai visto». Da qui la demonizzazione dell’Agenda 2030 [nel settembre 2015, a livello internazionale, i governi hanno adottato la risoluzione: «Trasformare il nostro mondo: il Programma di sviluppo sostenibile per il 2030»].
Durante i primi due decenni di questo secolo, il centro-destra ha brandito un discorso contro il populismo di sinistra, che enfatizzava le istituzioni repubblicane, accusava i populisti di autoritarismo e brandiva la difesa della democrazia liberale. Oggi, tuttavia, le destre radicali sono lontane da queste veementi posizioni. In Argentina, i sostenitori di Milei definiscono «repubblicani antiquati» i liberali che criticano il disprezzo dell’esecutivo per le istituzioni e gli insulti costanti di Milei rivolti a chiunque osi metterlo in discussione. Ecco perché il presidente autoritario salvadoregno Nayib Bukele può apparire come un modello nella lotta alla criminalità – anche se, nella pratica, il suo modello è difficilmente esportabile –, o Milei può continuare a dire che «odia lo stato» pur essendo capo dello stato, e Bolsonaro è stato sedotto dall’idea di organizzare un colpo di stato [nel gennaio 2023].
Le connessioni globali di un progetto «antiglobalista»
Budapest, un tempo lontana geograficamente e culturalmente dall’America Latina, è oggi una mecca reazionaria. La sua influenza non ha più bisogno di essere tradotta in spagnolo da Vox. Sempre più figure di spicco della destra latinoamericana si recano nella capitale ungherese in cerca di ispirazione.
«L’immigrazione illegale non è un incidente. È una strategia. È una decisione politica. È un’arma contro la libertà dei nostri popoli», ha denunciato il cileno José Antonio Kast, candidato alle elezioni presidenziali di quest’anno [uno dei tre candidati della destra, oltre a Evelyn Matthei e Johannes Kaiser, libertario], riprendendo così la teoria complottista della «grande sostituzione» diffusa dal francese Renaud Camus [prima edizione 2011]. Ma se in Europa il cuore di questa «teoria» è legato alla paranoia civilizzatrice nei confronti dell’Islam, in America Latina la migrazione è intraregionale (e nel caso del Cile, vota in gran parte a destra, soprattutto i venezuelani). Laje, la cui Fundacion Faro è stata sostenuta dal governo Milei, ha anche trovato nell’Ungheria di Viktor Orbán un modello per il suo progetto “antiglobalista” (antimondializzazione). Queste nuove destre hanno anche “acquistato” l’occidentalismo modellato dalle estrema destra del Nord. I messaggi pubblicati sui social network dai libertari argentini contro i «pericoli» dell’Islam possono ignorare il fatto che non vi è stata alcuna immigrazione musulmana recente nella regione, riprodurre visioni fantasiose sulla «civiltà giudaico-cristiana» [vedi a questo proposito l’opera di Sophie Bessis, La civilisation judéo–chrétienne: anatomie d’une imposture, Liens qui libèrent, 2025] e esagerare il loro sostegno a Israele, sull’esempio del «sionismo cristiano», degli evangelici filoisraeliani molto influenti in paesi come il Brasile o il Guatemala. «L’Occidente è in pericolo» a causa del socialismo, ha avvertito Milei durante il Forum economico mondiale di Davos nel 2024. «Coloro che dovrebbero difendere i valori occidentali sono cooptati da una visione del mondo che conduce inesorabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà». Questo Occidente si riduce spesso agli Stati Uniti di Donald Trump e all’Israele di Benyamin Netanyahu.
Una destra ribelle?
Come altrove, le nuove destre latinoamericane combinano in modo complesso immagini di ritorno all’ordine e di ribellione contro lo status quo. Se Milei incarnava maggiormente una destra ribelle, il cileno José Antonio Kast incarna una destra della legge e dell’ordine. Ma in realtà entrambi articolano i due elementi. Milei si è vantato di aver ristabilito l’ordine nelle strade contro le proteste sociali e, nonostante il suo odio per lo stato, ha aumentato la spesa per i servizi di intelligence. Da parte sua, Kast invita a «osare» votare per lui, e il suo cripto-pinochetismo fa rima con il suo appello ad «essere audaci».
Sebbene facciano appello a retro-utopie, queste destre sono ben lungi dal rappresentare un ritorno lineare al passato. Si adattano piuttosto alle nuove circostanze. A volte la tragedia si trasforma in farsa: Milei, militante natalista, ha solo «bambini a quattro zampe» [cani clonati] (lo stesso Elon Musk gli ha già fatto notare che questo non conta!). Né Milei, né la sua potente sorella Karina, né la sua vice presidente Victoria Villarruel sono sposati. Queste destre possono persino definirsi «gay anti-queer» e annoverare tra i loro leader numerose donne «anti-ideologia di genere».
Il progressismo regionale si trova quindi di fronte a un paradosso: sebbene le forze di centro-sinistra governino un gran numero di paesi, tra cui Brasile e Messico, si sentono indebolite di fronte alla battaglia culturale condotta dalle destre che contendono loro la strada. E anche sui social network, da cui queste destre trollano, ingannano i loro bersagli e opprimono i loro avversari progressisti per metterli sulla difensiva. Le destre hanno anche conquistato un gran numero di giovani, soprattutto, ma non solo, uomini. I loro discorsi, in particolare quelli libertari, sembrano più adatti a interpretare i cambiamenti socio-tecnologici in atto. Tutto ciò fa pensare che molti governi progressisti potrebbero essere sostituiti da forze di destra tra il 2025 e il 2026.
Tuttavia, negli ultimi anni le società latinoamericane hanno subito profonde trasformazioni, in particolare l’adozione del matrimonio per tutti e del diritto all’aborto in diversi paesi, e non sembrano disposte ad accettare passivamente le restaurazioni conservatrici. Non è un caso che una delle più grandi manifestazioni contro Milei sia stata organizzata dai collettivi LGBTI+ dopo le sue dichiarazioni al Forum di Davos, dove il suo anti-wokismo lo ha portato ad associare l’omosessualità alla pedofilia (un’analogia che, come ha poi precisato, si applicava solo ai gay woke). Lo slogan «Non torneremo mai nell’armadio» ha mobilitato migliaia di persone, non solo omosessuali, nel centro di Buenos Aires.
Per ora, nessuno di questi estremisti di destra è riuscito a imporre il proprio progetto politico (stabilire un’egemonia), ad eccezione di Bukele, le cui posizioni ideologiche sono piuttosto complesse e che governa un piccolo paese (El Salvador). Bolsonaro non è stato rieletto ed è oggi ineleggibile. Milei si giocherà parte del suo futuro nelle elezioni di medio termine di quest’anno, mentre altri, come Kast, cercheranno di vincere alle prossime elezioni. Il progressismo rappresenta ancora – nonostante l’erosione della sua «sicurezza ontologica» [fiducia nella continuità della propria identità e nella costanza dell’ambiente sociale] – ampi settori sociali e conserva una notevole capacità di mobilitazione quando trova una bandiera unificante. In effetti, si potrebbe dire che parte della radicalità delle nuove destre nasce dal timore che i progressisti ritrovino la loro fiducia in se stessi e passino all’offensiva.
* articolo apparso sul quotidiano spagnolo El Pais il 22 luglio 2025. Pablo Stefanoni è ricercatore presso la Fondazione Carolina (Spagna) e Caporedattore della rivista latinoamericana “Nueva Sociedad”. È stato direttore di “Le Monde Diplomatique-Bolivia” e membro della redazione del settimanale “Pulse”.
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