I super-ricchi devono passare alla cassa, rapidamente!

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L’iniziativa sui premi di cassa malati (iniziativa 10%) ha ovviamente aperto il dibattito attorno al finanziamento della sua eventuale realizzazione. Giustamente.
L’MPS sta strutturando la sua campagna sulla necessità che questa risposta a un problema sociale urgente sia pagata dagli “ultra-ricchi secessionisti”, ossia coloro che dichiarano un patrimonio superiore ai 5 milioni di franchi. Questi ultimi, grazie soprattutto alle innumerevoli politiche neoliberiste di sgravio degli alti redditi e dei patrimoni più consistenti, hanno visto la loro ricchezza letteralmente esplodere.
Dal 1981, i soggetti con a disposizione una sostanza superiore ai 5 milioni di franchi detenevano il 15,7% di tutta la sostanza dichiarata entro i confini cantonali. Nel 2003 questa fetta era ancora del 15%. In poco più di 20 anni, la loro quota è rimasta stabile. Una situazione insopportabile che andava modificata. Così è stato.
Dal 2003 al 2021 si è infatti consolidata una rottura, una vera e propria “secessione” sociale che ha permesso a questo ceto privilegiato di moltiplicare per 7,6 i propri patrimoni, arrivando a detenere ben il 42,1% della sostanza totale! In cifre nude e crude: da 4,8 a 36,9 miliardi di franchi!

Gli amici dei multimilionari: una difesa quasi religiosa…

La nostra campagna, coerente e determinata, sulla necessità di far pagare a questi “ultra-ricchi secessionisti”, mostrando l’insopportabile distribuzione di classe della ricchezza sociale prodotta nel nostro paese, ha infiammato il dibattito.
Come sempre, quando si parla di ripartizione della ricchezza e di aumento della tassazione dei super-ricchi, i fedeli servitori degli interessi di questa classe scendono in campo appassionatamente. Ecco allora che puntualmente viene tirata fuori dallo sgabuzzino la Madonna dei milionari di turno, oggi rappresentata dal professore di diritto tributario Samuele Vorpe.
In generale, l’idolatria non necessita di prove oggettive, ma solo di una solida e irrazionale richiesta di cieca fede. Il nostro Vorpe si colloca perfettamente nella tradizione dei predicatori di servizio, pronti a difendere gli interessi di classe dei ricchi possidenti.
Dal compiacente Corriere del Ticino (9.9.2025), Vorpe, rispetto all’ipotesi di un ripristino dell’aliquota massima del 3,5 per mille sulla sostanza, affermava: «Questa imposta è infatti poco digerita dai contribuenti più facoltosi, che spesso, per evitarla, scelgono di trasferirsi in un altro cantone». E aggiungeva: «Il principio però funziona a condizione che i contribuenti con redditi e patrimoni importanti rimangano sul territorio. Il rischio infatti è che un aumento della pressione fiscale spinga i cosiddetti buoni contribuenti a trasferirsi altrove e che riduca gli arrivi, lasciando al ceto medio il compito di finanziare la solidarietà cantonale».
Ovviamente Vorpe, come sua abitudine, non apporta mai uno straccio di riscontro oggettivo o numerico a sostegno di queste affermazioni. Ma che bisogno ne ha? Il suo obiettivo, e quello di chi difende la “secessione dei super-ricchi”, non è la ricerca della verità o il desiderio di uno scontro fertile di idee opposte su basi oggettive. Si tratta solo di fomentare la “paura”, ricorrendo a ipotetiche tragedie fiscali dovute a un aumento dell’imposizione sui grandi patrimoni – l’undicesima piaga d’Egitto, secondo i difensori nostrani dei super-ricchi – che scatenerebbe la loro fuga…

Una realtà ben diversa: ce lo dice l’approccio scientifico…

Per fortuna, non tutti i ricercatori scientifici (sic!) sono entrati nella Chiesa dei super-ricchi. Nel mese di luglio, il francese Conseil d’analyse économique, collegato al Primo ministro di turno e con l’obiettivo ufficiale di «chiarire, attraverso il confronto dei punti di vista e delle analisi dei suoi membri, le scelte del governo in materia economica», ha pubblicato uno studio dal titolo eloquente: Fiscalità del capitale: quali sono gli effetti dell’esilio fiscale sull’economia? (1)

Lo studio, pubblicato sotto il governo Bayrou, ha voluto verificare due questioni importanti partendo dall’analisi degli effetti delle modifiche di legge in materia tributaria avvenute in Francia. In primo luogo, se e in che modo l’aumento della tassazione del capitale favorisce l’esodo di contribuenti (flussi di partenza). Secondariamente, se esiste un impatto economico dovuto all’eventuale partenza di questi ricchi contribuenti.

Gli studiosi hanno formulato una prima conclusione: «Il primo dato significativo emerso dalle nostre analisi è che le famiglie con redditi da capitale elevati tendono relativamente poco a espatriare dalla Francia» (p.3). L’analisi prosegue con un’altra affermazione interessante: «La tassazione sul capitale spinge i patrimoni elevati a lasciare la Francia? L’analisi dell’andamento delle partenze dalla Francia mostra che i patrimoni elevati francesi sono relativamente sensibili alla tassazione, ma che i flussi totali di espatri rimangono molto bassi in termini di percentuale della popolazione. Stimiamo quindi che un aumento di un punto percentuale dell’imposizione effettiva sul reddito generi un espatrio supplementare a lungo termine compreso tra lo 0,02 e lo 0,23% dei patrimoni elevati francesi» (p. 5). Non sembrano verificarsi gli esodi biblici promessi da Vorpe e soci.

Gli studiosi francesi elaborano anche delle ipotesi altrettanto interessanti giungendo alla seguente conclusione: «In relazione all’entità degli shock fiscali considerati, otteniamo che un aumento dell’imposizione sui patrimoni elevati di un punto percentuale comporterebbe ogni anno una diminuzione della popolazione con patrimoni elevati residente fiscalmente in Francia dallo 0,003 allo 0,03%» (p. 10). Lo studio prosegue misurando due scenari legati a un aumento della tassazione sui grandi patrimoni: «Al fine di valutare meglio la portata potenziale degli espatri a seguito di una riforma fiscale di ampia portata, immaginiamo due possibili scenari di riforma: il primo (scenario 1) considera una riforma fiscale che aumenterebbe meccanicamente le imposte sul 1% dei redditi da capitale più elevati di 2 miliardi di euro all’anno. (…) Questo scenario equivale a un aumento medio dell’aliquota fiscale effettiva dell’1% più ricco di 2,6 punti percentuali. Il secondo scenario prevede una riforma fiscale più ambiziosa con un aumento meccanico (…) di 4 miliardi di euro delle entrate dello Stato, ovvero un aumento dell’aliquota effettiva di 5,2 punti percentuali per l’1% più ricco. (…) Una riforma fiscale equivalente al nostro primo scenario (+2,6 pp sull’aliquota fiscale dell’1% più ricco, 2 miliardi di entrate) comporterebbe l’espatrio a lungo termine dello 0,06-0,6% dell’1% più ricco dei redditi da capitale, mentre il nostro secondo scenario (+5,2 pp, 4 miliardi di entrate) comporterebbe l’espatrio dello 0,12-1,2% dell’1% più ricco» (p. 10). Un’elaborazione interessante che indica come la scelta politica di aumentare la tassazione dei grandi patrimoni sia una strada assolutamente percorribile, e sostenibile, senza creare gli sconquassi pronosticati dagli apostoli nostrani del catastrofismo tributario.

Il gruppo di studiosi del Primo Ministro Bayrou concludeva in questo modo il suo contributo: «I risultati di questo lavoro suggeriscono che, sebbene la tassazione patrimoniale abbia un effetto significativo sull’esilio fiscale dei patrimoni più elevati, tale effetto è relativamente modesto. Ciò è dovuto principalmente al fatto che i flussi annuali netti in uscita sono quantitativamente modesti, dell’ordine dello 0,1% – 0,2% della popolazione totale dei patrimoni elevati. Sebbene una parte non trascurabile di questi espatri sia motivata da ragioni fiscali, tali flussi rimangono sufficientemente bassi da avere solo un effetto marginale sull’economia francese, anche tenendo conto del peso significativo dei patrimoni elevati nell’ attività economica e imprenditoriale» (p. 16).

I soldi ci sono, andiamo a prenderli!

Come dice lo studio citato, un innalzamento della tassazione dei grandi patrimoni ha un effetto assolutamente marginale in termini di “fuga” dei super-ricchi. Certo, essi cercano le migliori condizioni fiscali per continuare a ingozzarsi della ricchezza sociale prodotta da lavoratrici e lavoratori. Ma considerano anche altri fattori nella scelta di spostare o meno la loro residenza fiscale: la stabilità sociale e politica di un paese, la qualità dei servizi offerti, l’anonimato della loro permanenza, il basso tasso di criminalità, la centralità geografica, ecc.
Questo significa che, anche nel caso di un aumento legittimo e necessario del regime tributario sui grandi patrimoni, una certa fuga di super-ricchi potrebbe verificarsi, ma sarebbe assolutamente sopportabile, soprattutto in rapporto al guadagno sotto forma di nuove risorse finanziarie.
Per finanziare l’iniziativa “Il 10% basta” non abbiamo bisogno che tutti e 2’383 contribuenti che dichiarano un patrimonio superiore ai 5 milioni di franchi restino in Ticino. Un altro incremento (complementare) delle entrate fiscali potrebbe e dovrebbe provenire da un aumento della miserevole tassazione forfettaria alla quale sono sottoposti i ricchissimi globalisti stranieri che riempiono le nostre lande (2), ma che non rientrano nelle statistiche dell’Amministrazione federale delle contribuzioni, ossia fra i 2’383 contribuenti multimilionari recensiti in Ticino.
Ah, dimenticavamo la concorrenza fiscale fra cantoni. Per Vorpe e soci, aumentare le tasse ai super-ricchi in Ticino significherebbe consegnarli nelle mani di regimi fiscali cantonali più “amichevoli”. Prima di tutto, abbiamo visto come l’esodo derivante da un aumento del carico fiscale di questi paperoni sia marginale. Inoltre, la concorrenza fiscale intercantonale non è un male incurabile: può essere combattuta con il ricorso a una medicina politica, ossia fissare una tassazione unica, a partire da determinati patrimoni, per tutti i cantoni elvetici.
Uno scenario estremamente difficile da applicare in questa fase storica, certo. Ma ciò non significa che sia impossibile. I soldi ci sono, andiamo a prenderli!

1.https://cae-eco.fr/fiscalite-du-capital-quels-sont-les-effets-de-lexil-fiscal-sur-leconomie
2. Per sua stessa ammissione, Angelo Mastrolia, imprenditore italiano del settore alimentare, residente a Paradiso, a fronte di un patrimonio valutato attorno ai 700 milioni di franchi, paga 400’000 franchi di tasse…

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