“Il messaggio da Washington e Gerusalemme è chiaro: voi [palestinesi] non avete futuro qui. Non sorprende che Amit Segal pensi che Israele abbia vinto.”
“Sì, abbiamo vinto”, ha dichiarato l’influente commentatore israeliano Amit Segal in un articolo pubblicato su Israel Hayom il 10 ottobre, dopo che Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti.
A prima vista, la certezza di Segal sembra strana. Sì, l’accordo attuale prevede il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti, un obiettivo ufficiale della guerra e un risultato a cui gli israeliani attribuiscono enorme importanza. Ma Israele avrebbe potuto recuperare tutti gli ostaggi molto prima, quando la maggior parte di loro era ancora viva. “Questo accordo avrebbe potuto essere raggiunto molto tempo fa”, ha scritto Gershon Baskin, un veterano negoziatore israeliano di ostaggi, sul Times of Israel del 9 ottobre. “Hamas aveva accettato tutte queste condizioni nel settembre 2024”.
All’epoca, Israele giustificò il suo rifiuto di accettare un simile accordo sostenendo che Hamas non era ancora stato “smantellato”, cosa che Netanyahu si era impegnato a fare dopo gli attacchi del 7 ottobre. Ma se smantellare Hamas significa distruggere la sua forza combattente, quell’obiettivo rimane ancora oggi disatteso. Israele ha ucciso molti leader e combattenti di Hamas. Ma massacrando non meno di 100’000 palestinesi a Gaza (Haaretz , “100.000 morti: cosa sappiamo del vero strumento di morte di Gaza”, come riporta Nir Hasson riprendendo una pubblicazione del ministero della Salute di Gaza), ha spinto un numero maggiore di palestinesi a Gaza a imbracciare le armi. Come ha suggerito l’ex segretario di stato Antony Blinken lo scorso gennaio, “Hamas ha reclutato quasi tanti nuovi militanti quanti ne ha persi”. E mentre Israele ha distrutto gran parte dell’arsenale di Hamas, gli ha anche fornito i pezzi necessari per ricostruirlo. Un rapporto del dicembre 2024 dell’European Council on Foreign Relations ha osservato che Hamas “ricicla razzi, bombe e proiettili di artiglieria israeliani inesplosi per usarli come ordigni esplosivi improvvisati e fabbricarne di nuovi”. Israele ha fornito queste munizioni a Gaza, sganciando più bombe di quante ne siano state sganciate su Londra, Dresda e Amburgo durante la Seconda Guerra Mondiale. Secondo il New York Times, anche l’esercito israeliano ritiene che la rete di tunnel di Hamas abbia resistito alla sua aggressione.
In teoria, Hamas consegnerà le sue armi nella terza fase dell’accordo di Trump, rispondendo così alle richieste di lunga data di Israele. Ma un alto funzionario di Hamas ha negato la scorsa settimana che un simile passo accadrà (The Jerusalem Post, 5 ottobre). Non è difficile capirne il motivo. Per decenni, il gruppo islamista ha attaccato il suo rivale politico, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) guidata da Fatah, per aver abbandonato la resistenza armata mentre i palestinesi rimangono sotto occupazione. È improbabile che Hamas rinunci a questo principio oggi, in assenza di una soluzione politica accettabile. Persino gli esperti di sicurezza israeliani considerano questa prospettiva non plausibile (The New York Times, 8 ottobre). Lo stesso Segal ha dichiarato che non c’è “alcuna possibilità” che Hamas disarmi (Israel National News , 9 ottobre).
Se la vittoria non significa che Israele ha liberato tutti gli ostaggi possibili, e se non significa che Israele ha distrutto o disarmato Hamas, cosa intende Segal quando proclama “abbiamo vinto”?
Per comprendere questa affermazione, bisogna valutare la vittoria israeliana da un’altra prospettiva. Nella sua cronaca, Segal osserva che “durante la Guerra d’Indipendenza, l’1% della popolazione israeliana morì, ma tutti capirono che la guerra si era conclusa con una vittoria, una vittoria che ancora oggi viene celebrata. Questa guerra, che ancora non ha nome, rimarrà nella memoria allo stesso modo”.
Nel 1948, la vittoria di Israele portò all’espulsione di circa 750’000 palestinesi dalle loro terre per creare uno stato con una forte maggioranza ebraica. Da allora, questo è stato il modello di Israele: controllare quanto più territorio possibile con la presenza del minor numero possibile di palestinesi. Segal vede l’attuale vittoria di Israele da questa prospettiva. L’accordo raggiunto da Trump potrebbe non distruggere o disarmare Hamas, ma probabilmente porterà alla frammentazione di Gaza, costringendo i palestinesi a radunarsi in enclave più piccole e meno abitabili e lasciando più terra nelle mani di Israele. Per Israele, questo rappresenta un significativo passo avanti.

Negli ultimi due anni, Israele ha ripetutamente espresso la sua intenzione di fare pressione sui palestinesi di Gaza affinché se ne andassero. Secondo il Washington Post (21 dicembre 2023), pochi giorni dopo il 7 ottobre 2023, Benjamin Netanyahu ha esortato Joe Biden a fare pressione sull’Egitto affinché aprisse i confini e consentisse un afflusso massiccio di rifugiati da Gaza. Nello stesso mese, il ministero dell’Intelligence israeliano ha preparato un documento che suggeriva l’evacuazione dei palestinesi di Gaza nel deserto del Sinai, in Egitto. Quando Donald Trump ha proposto, lo scorso febbraio, che i palestinesi lasciassero Gaza per trasformare la Striscia in un resort turistico, Netanyahu ha accolto l’idea con entusiasmo e il suo governo ha avviato colloqui con Libia, Sud Sudan e Siria per valutare se fossero in grado di accogliere i palestinesi.
Sebbene il nuovo accordo di Trump non proponga un’espulsione di massa da Gaza, promuove questo obiettivo riaffermando il controllo di Israele su gran parte della Striscia di Gaza. Lo scorso autunno, Segal, un seguace di Netanyahu, aveva previsto che, in caso di vittoria di Trump, Israele avrebbe potuto “modificare i confini di Gaza in rappresaglia per gli eventi del 7 ottobre”. Questo obiettivo sembra ora a portata di mano. Nella prima fase dell’accordo, Israele manterrà circa il 53% di Gaza. (Alcuni media stimano questa cifra al 58%). Nella seconda fase, si prevede che Israele si ritirerà da circa il 40% della Striscia di Gaza, una volta installata nel territorio una forza di stabilizzazione a guida araba. Anche nella terza e ultima fase, Israele manterrà il controllo diretto del 15% del territorio. Ma è improbabile che il ritiro definitivo avvenga.
Come ha spiegato la scorsa settimana l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Yechiel Leiter, ciò dipende “dal disarmo di Hamas e dalla smilitarizzazione di Gaza. Se ciò non avverrà, questo piano di pace non prospererà”. Dato che gli stessi esperti di sicurezza israeliani ritengono improbabile il disarmo e che il piano di Trump finora non prevede alcun meccanismo per costringere Israele a ritirarsi, Israele sembra disposto a occupare almeno il 40% della Striscia di Gaza.
È improbabile che molti palestinesi rimangano nel 40% del territorio direttamente controllato da Israele. Il clan Abu Shabab, sostenuto da Israele come alternativa ad Hamas, prevede di rimanere a Rafah, attualmente dietro le linee israeliane. Si dice che anche un’altra forza anti-Hamas, con base a Khan Younis, si trovi nell’area controllata da Israele. Muhammad Shehada, analista politico nato a Gaza e ricercatore ospite presso l’European Council on Foreign Relations, stima che vivano lì anche diverse migliaia di civili palestinesi. Ma Khalil Sayegh, un altro analista nato a Gaza, ci ha confidato che i palestinesi sono stati sfollati dalla maggior parte del territorio che ora Israele controllerà. E Shehada ritiene improbabile che Israele permetta loro di tornare, poiché li considererebbe una minaccia per la sicurezza. La parte di Gaza che Israele manterrà potrebbe quindi diventare l’equivalente dell’Area C in Cisgiordania, un territorio in cui pochi palestinesi sono autorizzati a vivere. Non è noto se Donald Trump, o un altro futuro presidente degli Stati Uniti, permetterà a Israele di costruire insediamenti lì. Ma dato che per decenni gli Stati Uniti non sono riusciti a impedire la costruzione e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, questa è una possibilità reale.
Nel frattempo, il 60% di Gaza non occupato dalle truppe israeliane rimarrà probabilmente un luogo estremamente inospitale. Queste aree sono quasi completamente distrutte: Israele ha raso al suolo il 90% delle case di Gaza e l’80% dei suoi terreni agricoli. La Striscia di Gaza ospita attualmente 17’000 bambini senza cure. Le Nazioni Unite stimano che gli ultimi due anni abbiano “fatto arretrare lo sviluppo umano a Gaza di 69 anni”. Anche con aiuti aggiuntivi, potrebbe essere difficile fornire loro cibo a sufficienza. Come sottolinea Eyal Weizman, direttore del gruppo di ricerca sui diritti umani Forensic Architecture, in base all’accordo di Trump, la maggior parte dei terreni agricoli di Gaza rimarrà in mano israeliana.
Le Nazioni Unite stimano che rendere Gaza nuovamente abitabile richiederà 50 miliardi di dollari e almeno 15 anni. Se le case di Gaza venissero ricostruite al ritmo seguito ai precedenti conflitti, il processo potrebbe protrarsi fino al XXII secolo. Ma secondo il piano Trump, Israele controlla ancora tutti i punti di accesso a Gaza, incluso il valico di Rafah con l’Egitto, il che significa che sarà lui a decidere cosa far entrare e cosa far uscire. Segal prevede che Israele seguirà un principio semplice: “La ricostruzione”, afferma, “avrà luogo solo in cambio della smilitarizzazione”. Poiché quest’ultima è improbabile, anche la prima è improbabile.
I difensori di Israele potrebbero sostenere che le forze israeliane sarebbero disposte ad abbandonare gran parte di Gaza se Hamas deponesse le armi. Ma le organizzazioni della resistenza raramente disarmano prima di aver ricevuto rassicurazioni sulla fine dell’oppressione del loro popolo. Sia l’African National Congress che l’Irish Republican Army hanno insistito sul fatto che avrebbero deposto le armi solo in vista di un nuovo sistema politico. E le azioni di Israele in Cisgiordania – dove l’Autorità Nazionale Palestinese ha in gran parte abbandonato la resistenza armata negli ultimi due decenni – indicano che il disarmo palestinese non impedisce ulteriori espropriazioni. L’anno scorso, Israele ha espropriato più terra palestinese in Cisgiordania che in qualsiasi altro anno dalla sua conquista del territorio nel 1967. Le Nazioni Unite stimano che, dal 7 ottobre 2023, Israele abbia espulso più di 10’000 palestinesi della Cisgiordania dalle loro terre.
Pertanto, sebbene possa essere allettante credere che il disarmo di Hamas porrebbe fine al controllo israeliano su Gaza, è più plausibile che le confische di terre da parte di Israele facciano parte di un modello storico di espropriazione iniziato molto prima della nascita di Hamas. Prima del 1948, gli ebrei occupavano circa il 7% del territorio del Mandato britannico in Palestina. Durante la sua “guerra d’indipendenza”, che i palestinesi chiamano Nakba, o catastrofe, Israele creò uno stato sul 78% dell’ex colonia britannica. Designò la maggior parte del territorio di questo nuovo paese, gran parte del quale fu confiscato ai palestinesi, come “terra statale”, distribuendolo principalmente agli ebrei. Dall’occupazione della Cisgiordania nel 1967, Israele ha anche designato almeno un quarto di questo territorio come “terra pubblica” (terra nazionale) e lo ha sviluppato a beneficio dei coloni ebrei.
Il piano di Trump conferma qualcosa di simile a Gaza (1). La Striscia di Gaza, che rappresenta meno del 2% del territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, ospita circa il 30% della popolazione palestinese, in gran parte perché molti palestinesi vi cercarono rifugio quando furono espulsi dalle loro case nel 1948. I loro discendenti probabilmente ora vivranno in un’enclave che non solo è stata ridotta in rovina ma, in seguito all’accordo raggiunto, avrà perso quasi la metà della sua estensione originale. Il messaggio da Washington e Gerusalemme è chiaro: non hanno futuro qui. Non c’è da stupirsi che Amit Segal pensi che Israele abbia vinto.
*articolo apparso su Jewish Currents il14 ottobre 2025
1. Sul sito web Le Grand Continent, il 15 ottobre 2025, Hakim El Karoui scrive: “Il piano di Trump riflette una visione di pace proveniente dalla destra israeliana, che crede che la pace arriverà solo quando Israele sarà abbastanza forte da imporre le sue condizioni. Questa proposta, come il piano Blair, dice la stessa cosa: Gaza sarà un protettorato USA-Israele-Golfo (Stati del Golfo) con Tony Blair come suo esecutore e un governo locale trasformato in un consiglio di amministrazione di Gaza Inc.” (N.d.T.)
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