Basta con gli attacchi di Trump contro il Venezuela e l’America Latina

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Pubblichiamo un Dichiarazione dell’Ufficio esecutivo della Quarta Internazionale adottata un paio di settimane orsono e che, alla luce degli avvenimenti delle ultime ore, mantiene più che mai tutta la sua attualità. (Red)

I ricatti e le minacce economiche nei confronti di Brasile, Colombia, Messico e Argentina fanno parte di una nuova fase della politica statunitense nei confronti dell’America Latina. Ma il pericolo maggiore grava sul Venezuela, il cui governo Trump è determinato a rovesciare. Il dispiegamento di 10.000 soldati, un arsenale gigantesco nei Caraibi e attacchi che hanno già ucciso più di 60 persone in mare, minacciano non solo il Venezuela ma l’intera regione. È dovere urgente degli attivisti di tutto il mondo alzare la voce e mobilitarsi contro l’interventismo degli Stati Uniti governati da Trump.

Schieramento militare senza precedenti nei Caraibi

L’obiettivo principale dell’offensiva americana è senza dubbio il Venezuela. Con una virulenza senza precedenti, il leader imperialista e i suoi segretari di Stato e alla Guerra, Marco Rubio e Peter Hegseth, hanno emesso un decreto che definisce i cartelli criminali della droga «organizzazioni terroristiche», hanno indicato Maduro come capo di un cartello che non esiste (il Cartello dei Soles) e hanno offerto una ricompensa di 50 milioni di dollari per qualsiasi informazione che possa portare alla cattura del venezuelano.

Ancora più minaccioso è stato lo schieramento nei Caraibi di circa 10.000 marines, con portaerei (le più grandi della loro marina), cacciatorpediniere e sottomarini nucleari, navi da guerra dotate di missili a medio raggio, bombardieri B52 e una capacità tecnologica che consente di effettuare analisi di dati su larga scala, nell’ambito di una manovra definita dagli specialisti come “riorganizzazione sismica”. Porto Rico è stato rimilitarizzato e gli accordi di cooperazione militare con i paesi dei Caraibi sono stati utilizzati per costruire un’infrastruttura militare che sembra precedere un attacco su larga scala contro il paese che è stato teatro della grande rivoluzione bolivariana. Negli ultimi due mesi, queste forze hanno condotto attacchi contro imbarcazioni (presunte trafficanti), causando più di 60 morti.

Il 15 ottobre – cosa che non era mai avvenuta nemmeno durante la guerra fredda, poiché le operazioni della CIA erano segrete – Trump ha annunciato di aver autorizzato la CIA a condurre operazioni in Venezuela. Secondo il Washington Post, il presidente avrebbe firmato un documento che autorizza la CIA a condurre operazioni segrete in paesi stranieri, che vanno dalla raccolta clandestina di informazioni alla formazione di forze di guerriglia dell’opposizione e alla realizzazione di attacchi mortali.

Domenica 19 ottobre, in un nuovo passo verso l’escalation, le forze statunitensi hanno condotto un attacco mortale nell’Oceano Pacifico contro una nave che si suppone appartenesse al gruppo colombiano dell’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale). Di fronte alla giusta protesta di Gustavo Petro, Trump ha insultato il presidente colombiano definendolo «trafficante di droga» e capo di un «governo debole e pessimo», minacciando, come al solito,di imporre dazi doganali e tagliare i finanziamenti, oltre a revocare il visto americano a Petro, alla sua famiglia e ai suoi consiglieri. Mentre Petro richiamava l’ambasciatore colombiano a Washington, Trump dichiarava in una conferenza stampa, in risposta a un giornalista, che non aveva bisogno di una dichiarazione di guerra per condurre le sue operazioni contro il traffico in quelle che considera le sue acque territoriali. «Ci andiamo e li uccidiamo».

Secondo le speculazioni pubbliche negli Stati Uniti, i principali consiglieri di Trump lo starebbero incitando a invadere il Venezuela per rovesciare Maduro. E l’assegnazione del premio Nobel per la pace alla leader di estrema destra venezuelana María Corina Machado – che, se non fosse seria, sarebbe uno degli scherzi di cattivo gusto della nostra epoca – fa parte di un piano deliberato volto a rafforzare quella che i falchi considerano l’alternativa a Maduro. L’amministrazione Trump sembra voler forzare una transizione verso un governo di estrema destra guidato da Edmundo González Urrutia e María Corina Machado – che ha già chiesto sanzioni contro il Venezuela, senza curarsi degli effetti che queste avrebbero sulla popolazione impoverita, e che ora consegna il destino della nazione agli stivali dei soldati yankee.

Può sembrare improbabile che gli Stati Uniti invadano via terra i paesi i cui governi accusano di complicità nel traffico di droga, come il Venezuela, la Colombia e persino il Messico. In primo luogo, perché una guerra di invasione terrestre prolungata incontrerebbe una forte resistenza da parte delle forze armate sotto il comando di Maduro, eventualmente con l’aiuto e la simpatia della popolazione della regione, il che significherebbe un nuovo Iraq, ma più vicino. Impegnarsi in un conflitto armato di questa portata contraddice il discorso di Trump rivolto al suo pubblico nazionale, al quale ha promesso di «porre fine alle guerre». In terzo luogo, perché ci sono segni di opposizione da parte di alcuni alti funzionari statunitensi a una soluzione di questo tipo, come sembra indicare le dimissioni anticipate del capo del Comando militare sud, l’ammiraglio Alvin Hosley, il 16 ottobre.

In ogni caso, la prudenza consiglia di non escludere la possibilità di una «follia» bellicista da parte del leader neofascista. Per lo meno, stando ai suoi discorsi, è possibile che opti per attacchi con droni o aerei contro obiettivi specifici in Venezuela, al fine di continuare a indebolire il governo.

Un ritorno al passato

Fin dai primi giorni del suo ritorno nello Studio Ovale della Casa Bianca, Donald Trump, incoraggiato dai suoi falchi neofascisti, mantiene il Messico sotto forte pressione tariffaria e politico-militare (affinché il governo di Claudia Sheinbaum ponga fine al flusso migratorio alla frontiera e combatta i cartelli locali del traffico di droga). I droni della CIA sorvolano il territorio messicano alla presunta ricerca di laboratori di cocaina e altre droghe.

Trump si è intromesso nella politica interna del Brasile per difendere il suo amico Bolsonaro, condannato per tentato colpo di Stato (imponendo dazi doganali del 50% sulle esportazioni brasiliane verso gli Stati Uniti e aprendo un’indagine commerciale contro le timide politiche brasiliane volte a limitare le aziende americane della big tech). Anche l’Argentina, governata dal suo amico Javier Milei, non sfugge alle minacce e ai ricatti: a metà ottobre, commentando un nuovo prestito di 20 miliardi di dollari del FMI al Paese, Trump ha subordinato il proseguimento del suo sostegno al neofascista libertario del Sud alla vittoria del partito di Milei alle elezioni legislative del 26 ottobre. «Se [Milei] perde, non saremo generosi con l’Argentina», ha dichiarato Trump. Questo episodio testimonia una normalizzazione della retorica e della pratica di ingerenza diretta del governo americano negli affari politici interni degli Stati sovrani. (E sembra proprio che la decisione di Trump sia stata uno dei fattori che hanno determinato la vittoria dell’amministrazione Milei alle elezioni).

Tutte queste prese di posizione, questi discorsi punitivi e questo enorme dispiegamento militare costituiscono un attacco ai vicini latinoamericani senza precedenti dall’invasione di Grenada nel 1982. Nel quadro del sostanziale cambiamento che la Casa Bianca di Trump sta imponendo ai rapporti di potere mondiali in vigore da otto decenni, la politica americana nei confronti dell’America Latina sta tornando al passato interventista, caratterizzato dall’aggressione militare e dall’ingerenza politica aperta, che aveva già caratterizzato i rapporti della potenza imperialista con tutto il Sud durante la guerra fredda.

Appello alla solidarietà internazionale antimperialista

L’accusa mossa contro Maduro e gli alti dirigenti del governo venezuelano di essere membri di cartelli, per quanto stupida, mira a giustificare la violazione del principio di autodeterminazione dei popoli e della sovranità territoriale del Venezuela.

È tempo di chiamare le forze democratiche, anticolonialiste, progressiste e rivoluzionarie del mondo, e della regione in particolare, a difendere l’integrità territoriale del Venezuela, dei paesi dei Caraibi e di tutta l’America Latina, di fronte ai tentativi di intervento militare o politico, cioè ai tentativi di definire « dall’alto e dall’esterno » (leggi: nell’Ufficio Ovale) l’orientamento politico dei paesi sovrani. Spetta al popolo venezuelano decidere del proprio governo, senza interferenze di alcun tipo. Sono i popoli sovrani dell’America Latina e di ogni angolo del globo che devono decidere cosa fare dei loro tiranni, dei loro parlamenti e delle sentenze emesse dai loro sistemi giudiziari.

Dobbiamo esigere che i governi di Lula, Petro, Boric e Sheinbaum facciano tutto il possibile per impedire qualsiasi possibilità di aggressione militare e di intervento politico in Venezuela. È positivo che Lula si proponga come «mediatore», come ha fatto durante il suo incontro con Trump, ma tutti questi governi devono respingere chiaramente, e ripeterlo incessantemente, qualsiasi iniziativa americana contro il Venezuela.

La solidarietà della IV Internazionale con il Venezuela include la richiesta a Maduro di ripristinare le libertà politiche per il movimento sociale, la sinistra e i lavoratori e le lavoratrici del Venezuela. Questa è la strada da seguire, parallelamente alla legittima mobilitazione militare popolare, per costruire una vera unità nazionale e regionale contro l’aggressione imperialista. Solo la più ampia unità d’azione può contenere, resistere e sconfiggere l’aggressione in corso.

Truppe e armi yankee fuori dal Mar dei Caraibi!

Basta con i bombardamenti nella regione!

Demilitarizzazione immediata di Porto Rico!

Basta con le aggressioni degli Stati Uniti contro il Venezuela e tutta l’America Latina!

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