Le ragioni di una protesta

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Nell’ambito della mobilitazione in vista della giornata d’azione del 3 dicembre nel settore pubblico cantonale, si susseguono le prese di posizione. Il documento che segue è stato elaborato dalla Commissione sindacale del Liceo 1 di Lugano e riassume con efficacia gli argomenti a sostegno della mobilitazione in atto. (Red)

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Protestare contro i tagli alle risorse dello Stato ticinese non è un gesto “corporativo” né un riflesso ideologico:
è una scelta di responsabilità civile. Le misure di risparmio, soprattutto quando sono lineari e ripetute, non correggono solo delle cifre a preventivo: cambiano in peggio il modo in cui viviamo insieme, lavoriamo, studiamo, ci curiamo e ci prendiamo cura dei più fragili. Ecco perché è importante mobilitarsi, anche per ricordare che le politiche finanziarie non sono fatalità tecniche ma scelte politiche, e quindi discutibili e modificabili.

1. Perché i tagli colpiscono servizi essenziali e diritti concreti. Quando si riducono risorse a sanità, scuola, servizi sociali e amministrazione, le conseguenze non restano astratte: nelle case anziani la riduzione del personale rende impossibile garantire una presenza sufficiente nei turni, mettendo a rischio sicurezza e dignità; negli ospedali e nelle cure a domicilio il personale è stremato dal sovraccarico, con ricadute sulla qualità della cura; nei foyer per persone con disabilità chiudono atelier e attività fondamentali per benessere e inclusione; nei centri educativi per minorenni mancano risorse per una presa a carico adeguata, e aumentano malattie e abbandoni del posto di lavoro. Anche la scuola pubblica fatica a rispondere a bisogni crescenti legati a disagio giovanile, impoverimento e precarietà.

2. Perché tagliare oggi costa di più domani. Un servizio “sotto-dimensionato” non elimina un bisogno: lo rinvia e lo aggrava. La mancata prevenzione sanitaria, un sostegno educativo insufficiente, l’assenza di misure sociali tempestive producono costi futuri maggiori (oltre a sofferenze evitabili) e trasferiscono problemi su comuni, famiglie e volontariato. Il risparmio immediato diventa spesa differita, spesso più alta e meno governabile.

3. Perché l’austerità non è una legge di natura. L’idea che “tagliando si cresce” (la retorica dell’«austerità espansiva») è stata smentita: ridurre la spesa pubblica in un’economia stagnante significa ridurre domanda, salari e occupazione, alimentando una spirale di impoverimento.

4. Perché la spesa pubblica è anche economia reale. Salari, appalti, servizi e investimenti pubblici non “spariscono”: rientrano nel circuito locale sotto forma di consumi, entrate fiscali, stabilità occupazionale, attrattività del territorio. Tagliare significa togliere ossigeno all’economia locale, riducendo le entrate e peggiorando sul lungo termine proprio quel bilancio che si dice di voler risanare.

5. Perché i tagli scaricano la crisi su chi ha meno forza contrattuale. Quando si congelano salari, si comprimono organici e si riducono prestazioni, il prezzo lo pagano l’utenza e chi lavora nei servizi: aumenta lo stress, peggiorano le condizioni di lavoro, si perde personale qualificato, si abbassa la qualità della presa a carico. Difendere il personale non è difendere un privilegio: è difendere la qualità del servizio pubblico e la dignità del lavoro.

6. Perché dietro i tagli c’è una scelta di entrate e di priorità. Da anni si promette che sgravi e concorrenza fiscale “attrarranno” ricchezza e porteranno benessere diffuso. Se però l’esito è un Cantone segnato da salari bassi, povertà crescente, diseguaglianze di stipendio tra uomini e donne e ripartizione sempre più iniqua della ricchezza, allora è legittimo chiedere un cambio di rotta: non ulteriori tagli, bensì entrate adeguate e una fiscalità più equa.

7. Perché i tagli spingono verso un Cantone “a due velocità”. Quando il pubblico arretra, le alternative diventano private e a pagamento: cresce la distanza tra chi può comprare servizi e chi resta in lista d’attesa. È una trasformazione silenziosa del welfare: meno universalità, più disuguaglianza.

8. Perché la decisione di non riconoscere il carovita è grave. Si tratta di una scelta che significa perdita di potere d’acquisto per il personale dello Stato. È un arretramento salariale reale per una parte della popolazione ticinese, ma non solo: se è proprio lo Stato, che dovrebbe essere garante e riferimento, a legittimare l’idea che si può “recuperare” sulle spalle dei salari, allora anche il settore privato si sentirà autorizzato a fare lo stesso. Si innesca così una spirale tossica: ciascuno prova a reggere la competizione comprimendo il costo del lavoro, alimentando una gara al ribasso che impoverisce la maggioranza della popolazione, indebolisce i consumi, aumenta le disuguaglianze e, alla fine, danneggia l’intera economia cantonale.

9. Perché protestare è il modo più sano di riaprire un dibattito pubblico. Mobilitarsi significa chiedere trasparenza, rifiutare automatismi contabili, pretendere alternative: fine dei tagli lineari, rilancio degli investimenti in sanità, educazione e servizi sociali, tutela del potere d’acquisto e recupero del carovita, valorizzazione del partenariato e apertura di veri tavoli negoziali.

Si protesta perché il futuro non si “risana” impoverendo scuola, cura e protezione sociale – e nemmeno accettando che la perdita di potere d’acquisto diventi la norma. Si protesta per difendere dignità, diritti e qualità della vita. E per ricordare che un bilancio non è un destino: è una decisione, quindi può essere cambiato.

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Tagli proposti nel Preventivo 2026

1) Personale dello Stato

• Non sostituzione del 10% del personale che va in pensione/lascia, per i prossimi tre anni (misura generale; sono indicate eccezioni come il personale docente e OSC).

• Nessun importo previsto per l’adeguamento automatico dei salari al rincaro nel Preventivo 2026 né per il recupero del carovita degli anni passati.

2) Scuola e formazione

Nel pacchetto sul personale ci sono misure molto specifiche per la scuola, che comunque incidono direttamente su qualità, accompagnamento e carichi di lavoro:

• Scuola speciale / pedagogia speciale: riduzioni/nuovi criteri di “presa a carico” (meno risorse a parità di bisogni); rinuncia a specifici adattamenti d’orario per garantire coperture estese.

• Formazione professionale: riduzione del monte ore cantonale e di istituto nelle scuole professionali, riduzione delle ore attribuite al personale con statuto docente nel settore della formazione professionale.

• Scuola media: eliminazione dell’ora di sgravio aggiuntiva per i/le docenti di classe (collegata anche alle attività di orientamento); aumento del numero massimo di allievi nei corsi di inglese in IV media (classi più affollate).

• Personale non docente nelle scuole: riduzione della tariffa oraria dei “mensisti” (taglio netto della remunerazione per alcune prestazioni).

• Altro: soppressioni/abolizioni di piccoli sgravi e funzioni di supporto (ad esempio sul materiale sportivo), più riorganizzazioni interne.

3) Socialità, cura, enti e servizi

• Riduzioni sui contratti di prestazione: il messaggio indica “contenimenti” trasversali su più ambiti convenzionati e la prosecuzione della riduzione lineare dei contributi già applicata negli anni precedenti in settori sensibili (anziani, cura a domicilio, minorenni, disabilità).

• Assistenza e cure a domicilio: proposta di far partecipare maggiormente gli utenti ai costi, con risparmio per Cantone e Comuni ma onere spostato sulle persone.

• Settore asilo/migrazione: il pacchetto include misure che riducono l’intensità di alcune prese a carico e riorganizzano l’accoglienza.

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