Conflitti economici e parate militari

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Premessa 

Non mi piacciono le sfilate militari, quelle di Pechino e di Mosca, ma anche quelle di Washington e dei Champs-Elisées; né mi piacciono quelle italiane del 2 giugno ai Fori Imperiali con un presidente della Repubblica che sembra troppo dimentico non solo degli enormi crimini compiuti dai paesi europei, (tra cui i misfatti del colonialismo, due guerre mondiali e l’invenzione dell’antisemitismo), ma anche di quelli più recenti dell’Unione Europea o di alcuni suoi  paesi, come l’aver trasformato il Mediterraneo in un cimitero o i 78 giorni di bombardamento di Belgrado quando Mattarella era il vice primo ministro del governo D’Alema, salvo poi accorgersi nell’ultima sua dichiarazione che, come nel 1914, “si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata”.  

Vecchi e nuovi attori imperiali

Molti eventi degli ultimi anni stanno configurando la nuova geopolitica delle nazioni e del mondo; come da copione storico (ma drammaticamente rinnovato al presente) si squadernano davanti ai nostri occhi le feroci dinamiche di confronto/scontro delle grandi potenze capitaliste e imperialiste, sia nella loro essenza economica e materiale, sia nei proclami politici ed ideologici e nelle immagini iconiche dei capi trasmessi dai media a miliardi di persone nel mondo.

Trump, mentre imprime negli USA un corso autoritario, repressivo ed anche fascista, in mille dichiarazioni ed atti riafferma la volontà degli Usa di mantenersi potenza mondiale dominante con ogni mezzo, sostiene il genocidio delle/dei palestinesi da parte di Israele, accelera la guerra commerciale dei dazi nel tentativo di contrastare il declino economico americano e, per non lasciare dubbi, trasforma  il ministero della difesa in ministero della guerra.

La Russia di Putin bombarda da 3 anni l’Ucraina per affermare il suo ruolo nello scontro imperialista, negandole il diritto all’autodeterminazione e rifiutando anche solo un cessate il fuoco per porre fine al massacro della guerra.  

Le potenze dell’Europa comunitaria, guidate da dirigenti che sembrano marionette impazzite, in difficoltà sia sul piano economico che su quello della centralizzazione politica, dopo 30 anni di politiche liberiste socialmente distruttive, cercano di sfuggire al declino dell’UE con un impressionante piano di riarmo, combinato a una totale subalternità all’alleato storico americano.

Sul proscenio del mondo si affermano però nuove grandi potenze economiche, paesi e nazioni che in vario modo nella storia sono stati assoggettati e brutalizzati dal colonialismo occidentale. Sono guidate da elites borghesi che in molti casi hanno imposto regimi autoritari e reazionari alle proprie popolazioni, che ricercano un proprio spazio diversificato dai vecchi imperialismi occidentali e una qualche forma di convergenza e/o di alleanza tra di loro di non facile realizzazione, essendo i loro sistemi economici tutti capitalisti con specifici interessi nazionali e geopolitici, molte volte contrastanti tra loro. 

Andando per ordine.

L’incontro del 6-7 luglio scorsi a Rio De Janeiro dei cosiddetti BRICS, (più di 20 paesi) sembra non aver fatto grandi passi avanti rispetto alla riunione dell’anno precedente, anche perché mancavano i massimi capi di Mosca e Pechino. L’assemblea si è conclusa con una  dichiarazione generica affermando che, sulla base dei risultati ottenuti nei precedenti vertici e nel quadro di un ambito BRICS più allargato, la cooperazione sarebbe stata ulteriormente rafforzata concentrandosi su tre pilastri: politica e sicurezza, economia e finanza, scambi culturali e tra i popoli. Vedasi anche  in particolare l’articolo di Eric Toussaint in cui l’autore spiega perché i Brics non denunciano il genocidio in Palestina: https://inprecor.fr/node/4947.

Più importante l’incontro (1° settembre) di Tiensin, (Tianjing) [1] in Cina del Consiglio dei Capi di Stato dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), con le immagini, inquietanti soprattutto per i capi di USA e UE, della presenza di Modi insieme a Putin a fianco di Xi Jimping che segnala la distensione tra due nemici storici la Cina e l’India, la seconda e la quinta potenza industriale del mondo [2] Vedasi https://ilmanifesto.it/tutti-alla-corte-di-xi-jinping-la-sfida-e-globale.

Il terzo evento (3 settembre) è stato la grande e scenografica parata militare sulla Piazza Tienamen e l’inverarsi del connubio non solo politico, ma anche militare di Cina, Russia e Corea del Nord con un chiaro messaggio rivolto alle vecchie forze coloniali e al nuovo “bullismo” di Trump. 

Pechino infatti celebra l’anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale in cui la Cina ha avuto un ruolo determinante per quanto riguarda il conflitto nel Pacifico, (che i media occidentali sembrano voler  sminuire ed anche dimenticare)[3], con cui XI, ormai al potere da 12 anni, manda un doppio messaggio, verso l’interno al popolo cinese per affermare la stabilità e la centralità dell’ ”Impero di mezzo” e verso l’esterno per indicarne la potenza economica e politica e beninteso quella militare fortemente modernizzata, cioè il nuovo assetto della geopolitica del mondo. 

Così tutti i film del capitalismo girati nel secolo passato li vediamo riproporsi all’ennesima potenza: la dura concorrenza tra le diverse imprese capitaliste, la formazione di grandi conglomerati industriali e finanziari, l’indispensabile supporto del loro stato di riferimento, lo scontro commerciale e il ricorso ai dazi, la costruzione delle ideologie politiche nazionaliste, la formazione di grandi eserciti per la difesa degli interessi dei diversi capitalismi/imperialismi ed infine le guerre. Queste guerre sono talvolta specifiche, prodotte dalle tante oppressioni locali, ma molte volte sono anche guerre di procura, o possono diventarlo,  con cui si misurano i rapporti di forza tra gli imperialismi. [4]

Le pagine di E. Mandel sulla II guerra mondiale sono più che mai utili:” … ma gli esempi più brutali e criminali di aggressione imperialista, in realtà, sono una dimostrazione di relativa debolezza piuttosto che di forza. La conquista imperialista dl mondo non è solo, e nemmeno principalmente la volontà di occupare in modo permanente enormi territori con milioni di soldati. Il motore della seconda guerra mondiale fu, al contrario, la necessità dei principali stati capitalisti di controllare l’economia di interi continenti attraverso gli investimenti dei capitali, gli accordi commerciali privilegiati, le regole monetarie e l’egemonia politica. [5 ]

La Cina è uscita vincente dalla globalizzazione

Finita la guerra fredda ed esauritasi lo scontro tra i diversi sistemi economici e sociali tra l’URSS e gli USA e il cosiddetto occidente capitalista, con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS e della rete dei suoi stati satelliti, abbiamo assistito alla vittoria e al rafforzamento del Capitale in tutto il mondo, compresa la trasformazione capitalista della Cina e il lungo periodo della mondializzazione segnato dalla massima liberalizzazione dei mercati e dell’economia mondiale.

A uscire vincitrice da questa fase storica è stata proprio la potenza cinese, i cui successi industriali ed economici le permettono di intervenire in tutto il mondo e presentarsi come forza di stabilità e sviluppi tranquilli e a XI di chiedere a USA e Europa di scegliere tra la pace e la guerra, cioè di riconoscere appieno questo suo ruolo. 

Scrive il Manifesto : “Il pil degli Stati Uniti oggi è circa la metà di allora (1945 NdR), attorno al 26%, mentre Cina e India insieme rappresentano il 24%, senza contare gli altri paesi invitati (Russia, Turchia, Iran, Pakistan e altri). Il dollaro non è più la moneta di riserva incontrastata anche se conserva un peso preponderante: oggi circa il 54% degli scambi commerciali mondiali è denominato in dollari, mentre il 30% avviene in euro, il 4% in yuan, un altro 4% in yen giapponesi e il resto in altre valute. Specificando poi:  La brutalità con cui Trump sta estorcendo quattrini a Europa, Giappone, Canada e altri paesi “amici” ha avuto l’effetto paradossale di fare della Cina il campione del libero scambio, del rispetto delle regole internazionali, delle trattative al posto dei ricatti. Il che trascina nella sua orbita paesi che non hanno nulla a che fare con il “socialismo in salsa cinese” ma sono abbastanza grandi e nazionalisti per respingere le pretese neocoloniali di Washington: India e Brasile, per esempio”. [6]

Ma è anche il Sole 24 ore a scrivere “La festa per l’80° anniversario  del V.Day è diventata oggi la prova della centralità geopolitica della Cina di XI….l’unico in grado di coagulare intorno a se un quinto della popolazione mondiale, un quarto del PIL, dando impulso a una forza militare transnazionale emersa nei giorni scorsi a Tianjing per il 25° anniversario della Sco, l’organizzazione multilaterale nata per garantire la sicurezza euroasiatica“. [7]

In questo contesto i dazi, che possono essere stati uno strumento utile di difesa per paesi in sviluppo impegnati nella costruzione di una propria industria, sono oggi utilizzati dalla massima economia mondiale che si sente minacciata dai nuovi arrivati, ma che tuttavia detiene la massima struttura militare nel mondo. Difficile che i dazi possano risollevare le sorti dell’industria americana, ma nel frattempo le 900 basi americane in giro per il mondo sono ben presenti e il ministero della difesa diventa il ministero della guerra.

Il passato storico coloniale e neocoloniale 

I media e molti intellettuali, per non parlare dei dirigenti politici del cosiddetto occidente globale dimenticano più o meno volutamente quale sia stato il passato storico di sfruttamento e barbarie del loro colonialismo in tutto il Sud del mondo ed anche tutti i danni prodotti in epoche più recenti del neo colonialismo, sfruttatore di quei popoli in una diversa forma attraverso la corruzione delle elites locali e/o l’assassinio di quei dirigenti (vedi Lumumba e Sankara) che provarono a costruire una vera indipendenza politica ed economica che rispondesse alle esigenze delle loro popolazioni.   

Non può certo stupire che in Africa (per altro attraversata da nuovi terribili conflitti) governi più o meno democratici e giunte militari vogliano liberarsi della presenza di Francia e company e costruiscano un rapporto con la Cina, con il nuovo capitalismo che sembra offrirgli comunque qualcosa di meglio (almeno per ora) dei vecchi imperialisti.

La Cina è vicina?

Sulla base di questi dati geopolitici alcune formazioni della sinistra italiana e non solo giungono alla conclusione che il loro punto di riferimento, quasi la nuova bussola o le nuove speranze debbano essere rivolte verso queste nuove potenze emergenti,  in particolare la Cina e che queste anzi possano costituire la base per un nuovo ordine mondiale più giusto, rispettoso delle caratteristiche dei diversi popoli (ed anche dei diversi regimi politici), un mondo multipolare che ponga fine all’egemonia statunitense, un mondo tendenzialmente di pace. Qualcuno poi anche si inebria davanti al fatto che il partito unico della Cina si chiami partito comunista, come se più volte nella storia non si sia prodotta una forte dicotomia tra il nome di un movimento o di un partito e la realtà concreta: basti guardare al cristianesimo dopo Costantino.

Sarebbe poi necessario aprire una lunga pagina su quello che è il regime interno cinese anche perché “Nell’ultimo anno, la Repubblica Popolare Cinese ha consolidato un modello autoritario sempre più pervasivo, fondato su leggi repressive, sorveglianza capillare e controllo sociale diffuso.” [8] 

Questi paesi, tutti a economia capitalista e quindi potenzialmente concorrenti sul mercato mondiale (alcuni anche quasi in guerra come India e Pakistan); sono quindi assai poco omogenei; molte loro direzioni oscillano sulle scelte da fare e configurano alleanze a geometria variabile per cui non si possono escludere svolte drastiche ed improvvise negli scontri prodotti dalle contraddizioni capitaliste. Contestano legittimamente l’egemonia e molte scelte degli USA, ma, nonostante i tentativi fatti finora sono per ora lontani dalla costruzione di un sistema bancario e finanziario alternativo a quello del dollaro. Va da se che gli USA faranno di tutto per impedirlo.

Non scegliamo tra Scilla e Cariddi, ma i movimenti delle classi oppresse

Alcune formazioni della sinistra sono così alla ricerca di un nuovo “campo” da sostenere, dopo che il vecchio “campo socialista” è venuto meno con la dissoluzione dell’URSS. Il campismo filo URSS del passato faceva riferimento a società post capitaliste rette da regimi burocratici e staliniani oppressivi. Era un grave errore subordinare le posizioni politiche ed ancor più le dinamiche dei movimenti di massa alle scelte delle direzioni burocratiche, ma oggi il “neocampismo” fa anche peggio perché sostiene semplicemente dei paesi capitalisti, molte volte segnati da regimi dittatoriali ed oppressivi, non riconosce i movimenti di massa contro i loro regimi e governi correndo il rischio di diventare sostenitore di nuovi imperialismi dietro la figura retorica del multipolarismo.

Noi collochiamo invece quanto sta succedendo dentro le contraddizioni del capitalismo e della concorrenza tra i diversi capitalisti.

Il problema di fondo per una forza anticapitalista è che per costruire una alternativa all’attuale dominio del capitale nel mondo non si deve partire dagli stati, dalle classi borghesi che li governano, chiunque essi siano, (esse sono le prime a sfruttare le loro classi lavoratrici ed estrarre da loro il plusvalore); si deve invece avere come punto di riferimento le masse popolari, le classi lavoratrici, le lotte per i loro obbiettivi economici e per i loro diritti sociali e democratici. Solo queste lotte e mobilitazioni possono creare le condizioni per sbocchi politici positivi, indebolire le classi dominanti, costruire una solidarietà tra i popoli, rilanciare la credibilità della costruzione di una società più giusta, la democrazia sociale politica ed oggi anche ecologica.

La lotta va fatta quindi contro tutti i capitalismi e tutti gli imperialisti. Meno che mai bisogna scegliere tra Scilla e Cariddi. Nessuna fiducia nelle nuove potenze e nessuna fiducia nelle borghesie europee e americane. Dobbiamo combattere la campagna ideologica delle borghesie europee che cercano di presentarsi come i difensori e baluardo della democrazia, cercando di convincerci che per “volere la pace occorre prepararsi alla guerra”.

L’Europa capitalista ci propone questa corsa forsennata al riarmo quando è già una delle regioni del mondo più armata un po’ a tutti i livelli, dagli uomini, ai carri armati, agli aerei, oltre ad avere sul suo territorio tante bombe atomiche della Nato. Naturalmente poi ci sono le armi americane.

L’UE con i suoi 450 milioni di abitanti e il terzo PIL del mondo 15% avrebbe potuto fare e potrebbe fare meglio se da tempo non avesse imboccato senza esitazioni il tunnel liberista.  

Ci propongono quindi questo percorso di guerra e di sacrifici, mentre stanno sempre più restringendo la democrazia, le conquiste democratiche e sociali e disgregando le Costituzioni sorte con la vittoria della Resistenza contro il fascismo. Lo fanno mentre sviluppano la guerra ai migranti, sostengono il genocidio dei palestinesi operato da Israele, e propongono un piano di riarmo realizzabile solo con uno sfruttamento insopportabile della classe lavoratrice.

Da dove veniva la credibilità dell’Europa

L’Europa ha potuto avere una credibilità non tanto per il ruolo delle sue classi dirigenti borghesi, ma perché le classi lavoratrici avevano saputo imporre un compromesso sociale  e condizioni di lavoro e di vita migliori e perché si facevano portatrici di un progetto di alternativa sociale, di pace e di democrazia reale, in sintesi di socialismo.

Ma questa realtà di contenimento del capitalismo è venuta meno per le sconfitte inflitte alle classi lavoratrici; se le prospettive di una alternativa sembrano essere decadute e la democrazia diventa sempre più solo formale, è inevitabile che le forze della destra salgano in primo piano e che a gestire questo futuro di riarmo e di guerra non sia neppure la borghesia liberale e liberista, ma direttamente le forze più reazionarie e nazionaliste.   

Una forza autentica di sinistra, e ancor più tutto il movimento operaio e sociale ampio non deve farsi arruolare in nessun campo, né da una mitica e fasulla alternativa delle potenze emergenti, né dalle vecchi potenze imperialiste dell’Occidente  che cercano di mantenere la loro egemonia e i loro profitti.

Il problema è invece la costruzione del campo delle/gli oppresse/i e delle/dei sfruttate/i, cioè la ricostruzione di un movimento di classe e di resistenza al capitalismo di cui il carattere internazionalista e di solidarietà con i popoli oppressi deve essere il cardine politico strategico. Solo in questo modo si potrà combattere la passività di una classe lavoratrice oggi in difficoltà e che domani potrebbe cadere asservita ancor più agli interessi del proprio capitalismo. [9]

Per questo la campagna contro il riarmo e quindi contro la legge finanziaria dell’autunno è centrale, insieme alla solidarietà con la Palestina per fermare il genocidio.

*Sinistra Anticapitalista

1. Tiensin è la città dove le potenze europee imposero nell’800 alla Cina iniqui e vessatori trattati coloniali che spalancavano la porta alle merci francesi e britanniche. Anche l’Italia ebbe, per la sua partecipazione alla guerra contro la rivolta dei boxer (1899) che si opponevano alle ingerenze economiche e politiche delle potenze europee, un premio con la Concessione di Tiensin, cioè un piccolo possedimento coloniale dal 1901 al 1943.
2. Creata nel 2001, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai include Cina, India, Russia, Pakistan, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Bielorussia e altri 16 paesi affiliati come osservatori o partner di dialogo.
XI ha annunciato l’istituzione di tre piattaforme di cooperazione su energia, economia digitale e industria tecnologica verde. Il documento congiunto finale (la “dichiarazione di Tianjin”) somiglia a una vera piattaforma politica. indica una visione strategica di sviluppo per i prossimi dieci anni della Sco; si auspica la «rapida» creazione di una banca di sviluppo del gruppo. Pechino lo considera uno strumento cruciale per favorire l’interscambio e l’utilizzo delle monete nazionali nelle transazioni commerciali, al posto del dollaro statunitense. La Russia ha firmato senza problemi anche la parte del testo che afferma “i principi di rispetto reciproco per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’uguaglianza, il mutuo vantaggio, la non ingerenza negli affari interni e la non minaccia o uso della forza sono la base di uno sviluppo sostenibile delle relazioni internazionali”. !!
3. Molti storici ormai ritengono che l’inizio della seconda guerra mondiale sia da collocare nel 1937 con l’invasione giapponese della Cina. Il contributo della Cina in termini di vittime militari (4.100.000) e civili (15.500.000) alla seconda guerra mondiale è stato inferiore solo a quello sovietico e forse anche sottostimato.
Decisivo fu il fatto che la Resistenza cinese costrinse il Giappone a mantenere un enorme numero di forze sul continente, mentre avrebbe voluto utilizzarne molte di più nello scontro diretto nel Pacifico con gli USA.
La Cina è una delle 5 nazioni vittoriose che firmano la pace e che diventano anche i 5 paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU con diritto di veto. 
4. Ed infatti abbiamo scritto che il conflitto in Ucraina aveva due valenze che si sovrappongono. Quella della legittima resistenza del popolo ucraino per le propria indipendenza ed autodeterminazione, quella dello scontro interimperialista tra la Russa e la Nato.  
5. Ernest Mandel “Il significato della seconda guerra mondiale” vedi in particolare pag. 21-26, Edizioni Punto Critico.
.6 https://ilmanifesto.it/trump-consegna-alla-cina-le-chiavi-dellordine-globale Tonello anche aggiunge: “Al contrario degli inetti politici europei, da Giorgia Meloni a Emmanuel Macron passando per il cancelliere tedesco Friedrich Merz, i pur diversissimi leader di Delhi e Brasilia hanno tenuto la schiena diritta”.
7. Il Sole 4 settembre 2025
8. Vedasi https://mps-ti.ch/2025/09/sotto-il-velo-della-stabilita-repressione-diritti-umani-e-autoritarismo-nella-cina-contemporanea/ 
9. Sulle lotte della classe lavoratrice in Cina e sul rapporto a volte contradditorio del movimento operaio europeo con le lotte anticoloniali sarà necessario tornare con altri articoli di approfondimento.

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