Un carpentiere di 59 anni malato che rimane disoccupato, una donna sola con due figli che non ha i mezzi per mantenersi. Due storie difficili ed estremamente reali raccontate nell’ultimo film di K. Loach “I, Daniel Blake”, nelle sale ticinesi a partire da giovedì. Storie talmente reali che ti sembra di riconoscere nei personaggi persone a te vicine, un tuo amico, un tuo parente, te stesso. Storie che ti appartengono.
Di fronte ad un problema, una malattia, la perdita del lavoro o la mancanza di denaro ti trovi di fronte ad un baratro. Percorsi lunghi e burocratici per ottenere i sussidi che ti spettano, addetti ai lavori immersi nella loro routine e poco propensi all’ascolto, assurde procedure e formalità da affrontare. Il sistema ti colpevolizza della tua situazione ed improvvisamente tutto diventa difficile. Difficile mantenere la propria dignità, continuare ad avere fiducia in sé stessi e negli altri. Faticoso trovare i mezzi e le modalità per continuare a dare un senso alla propria esistenza. Attraverso l’amicizia, il sostegno degli altri e la solidarietà tra semplici cittadini può riapparire una speranza per il futuro. Solo insieme siamo più forti di loro: un altro mondo è possibile, sembra volerci dire K. Loach.
Proprio su questo sito abbiamo di recente pubblicato una testimonianza di una neodisoccupata in Ticino alle prese con le assurde esperienze quotidiane del collocamento, simili a quelle alle quali è confrontato il protagonista del film di Ken Loach.
Il disoccupato diventa l’obiettivo di inserimento per il suo consulente URC (ufficio regionale di collocamento) che ogni mese deve dimostrare ai suoi superiori di aver fatto il possibile per il tuo ricollocamento. Anche lui subisce il sistema e deve raggiungere i suoi obiettivi. E se non ti sostiene lui, ci sono gli altri enti a cercare di farlo. Le misure attive del mercato del lavoro e il suo apparato che in Ticino è finanziato con circa 22 milioni di franchi all’anno . E allora, come nel film, ti ritrovi a dover elaborare i tuo curriculum vitae e a candidarti per i posti “vacanti”. Ma i posti vacanti in Ticino ci sono o non ci sono? Gli ultimi dati (agosto 2016) indicano 470 posti vacanti. Ma dove sono e come sono questi posti vacanti? Ogni mese, allo spuntare delle statistiche, riemergono gli stessi interrogativi sull’interpretazione dei dati. Il mondo reale, quello che raccontano e vivono le persone, sembra molto distante da questi dati. I posti di lavoro sembrano esserci, le persone devono e possono essere collocate sostiene il Cantone. Si disquisisce sul concetto di occupazione adeguata. Se sei disoccupato e ti viene proposto un qualsiasi posto di lavoro, lo devi accettare, perché tu devi cercare un lavoro, non il lavoro! Un lavoro che non per forza deve rispecchiare la tua formazione, la tua età, la tua ambizione e la retribuzione necessaria al tuo mantenimento. Deve essere un lavoro adeguato. Ed ecco che qui i riferimenti per definire quando un’occupazione è veramente adeguata, soprattutto per la questione economica, vanno presi nei vari contratti collettivi di lavoro delle varie professioni. Ma i contratti collettivi di lavoro come sappiamo coprono un numero limitato di lavoratori e spesso, e se ci sono, si fa quindi riferimento ai contratti normali di lavoro (i contratti emanati dal Cantone). Contratti che prevedono solari minimi miserabili (come quello proposto per la vendita di 3’220 Fr. lordi). Se sei disoccupato diventa un problema. Perché, ad esempio, dopo 18 anni di lavoro nella vendita, 2 figli e una famiglia da mantenere, diventa una complicazione accettare occupazioni “adeguate” a 3’220 Fr. lordi al mese. Quante famiglie sono costrette a richiedere delle integrazioni al salario al termine della disoccupazione? Famiglie e persone che sono spesso costrette a rivolgersi all’assistenza e a far la spesa al tavolino magico.
E anche in Ticino, come nel film di K. Loach in Inghilterra, in un attimo ti ritrovi in fila ad aspettare il tuo turno per poter fare la spesa immaginaria, senza soldi e lista spesa; ti viene dato quello che c’è. Ma è proprio in posti come questi, in fila con gli altri, nei vari uffici, che ti può capitare di incontrare la persona giusta, solidale, pronta all’ascolto che ti dà una mano, che ti guarda negli occhi mostrando comprensione ed aiuto anche se non lo chiedi.
La platea di Piazza Grande ha applaudito, con convinzione, di fronte a questo bellissimo film. E anche il Ticino ufficiale, attraverso i commenti dei suoi esponenti, i commenti dei giornali, non ha potuto non riconoscere come il film colpisca nel segno.
Ma questo Ticino ufficiale ha, naturalmente, fatto finta di niente sulla luce che questo film porta sulla nostra realtà economica e sociale. Dopo tutto, sembrano volerci dire, sono cose che succedono in Inghilterra, oppure in paesi socialmente segnati da sempre dalla disoccupazione, dalle difficoltà sociali, dalla miseria.
E invece il mondo della disoccupazione, i meccanismi illustrati, le dinamiche sociali, affettive ed economiche che il film ci presenta sono tali e quali a quelli di casa nostra. Il mondo che Ken Loach ci presenta, con i suoi drammi e le sue assurdità, somiglia in modo impressionante a quello ticinese perché ci illustra i meccanismi con i quali si organizza la gestione delle “risorse umane”, si gestisce il mercato del lavoro, si amministrano le prestazioni sociali: meccanismi simili in tutta Europa.
Per questo Ken Loach ha parlato anche al Ticino. E il suo messaggio ci ha fatto capire quanto “nostri” e “loro” siamo tutti nella stessa barca, vittime delle stesse politiche, messi in concorrenza da un capitale sempre più affamato di profitto.