Sosteniamo la proposta (e quindi il rapporto di minoranza). Vorremmo qui fare alcune considerazioni partendo dai documenti del governo e da quello del rapporto di maggioranza. Dopo aver sentito l’intervento del relatore di maggioranza, Galusero, ci chiediamo in quale mondo fantastico viva…
Nei documenti citati c’è un denominatore comune che rinvia all’insufficiente, e preoccupante, conoscenza reale dei meccanismi di fondo che regolano lo sfruttamento illegale della forza-lavoro nel nostro cantone. Questa ignoranza profonda è riscontrabile anche a livello della magistratura, fra la maggior parte dei procuratori pubblici.
Infatti, e lo vediamo nel rapporto di Galusero, quando si pensa ai reati relativi al mondo del lavoro si pensa sostanzialmente alla questione del caporalato. Un aspetto di fatto oggi marginale: basti pensare che l’ultimo importante caso è quello del LAC del 2012.
Oppure, ipotesi sulla quale si dilunga il rapporto di maggioranza, quello del lavoro nero. I dati riportati dalla stesso rapporto mostrano chiaramente la limitatezza del fenomeno.
In realtà i reati di natura penale che si stanno verificando con più regolarità e che dovrebbero essere al centro di un rafforzamento e di una specializzazione della magistratura sono quelli legati all’usura. Nell’ordinamento penale elvetico (art. 157 CPS), il reato d’usura colpisce «chiunque sfrutta lo stato di bisogno o di dipendenza, l’inesperienza o la carente capacità di discernimento di una persona per farle dare o promettere a sé o ad altri, come corrispettivo di una prestazione, vantaggi pecuniari che sono in manifesta sproporzione economica con la propria prestazione». L’interpretazione letterale di questo reato è un limite importante e, sfortunatamente, riscontrabile in tante, troppe, indagini condotte dal Ministero Pubblico. Lo è perché non permette di ricostruire l’intera articolazione di un fenomeno che è molto più vasto e dirompente, con molti più soggetti coinvolti di chi si rende colpevole del ricorso diretto all’usura. Detto altrimenti, perseguendo unicamente chi commette in maniera diretta il reato d’usura si limita la lotta nei confronti di un fenomeno più vasto e pericoloso, non si supera il primo gradino di una scala molto più lunga e complessa.
In troppe indagini, il procuratore pubblico ha limitato la sua azione inquisitrice al proprietario della ditta edile – per prendere un esempio – che ha impiegato una quindicina di lavoratori pagando un salario dimezzato (o ancora meno) rispetto a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro (CCL), sfruttando il fatto che questi lavoratori venivano da un lungo periodo di inattività (essendo, ad esempio, da molto tempo disoccupati in Italia). Possiamo considerare chiusa l’inchiesta, possiamo pensare che con l’incriminazione dell’impresario si sia risolto il problema? Sfortunatamente no. Se l’inchiesta si ferma a questo livello, non si è toccato neppure la metà del problema. Infatti, l’altro grande soggetto coinvolto nel reato, quello che svolge un ruolo oggettivamente determinante, rimane al riparo da qualsiasi conseguenza, pronto a rilanciare la sua azione. Facciamo riferimento al committente, privato o pubblico, piccolo o grande. Nelle derive del mercato del lavoro, con riverberi penali o meno, il ruolo dei committenti è assolutamente decisivo. Sono questi infatti che scelgono le imprese che offrono i prezzi più bassi dai quali nasce l’usura. Sono i committenti che reclutano, organizzano il sistema d’imprese attive sul cantiere che permette di offrire un prodotto finale del 30-40% inferiore al prezzo di costo.
È in questa direzione che si deve andare e le garanzie offerte dal PG (e riprese acriticamente dal rapporto) non servono a nulla. Di fatti, questa nuova impostazione, secondo il rapporto, si “sta rivelando positiva nell’istruzione dei reati e non si riscontrano più gravi ritardi”. Ma il rapporto non fornisce alcun dato in materia: quanti reati sono stati istruiti in relazione a reati penali direttamente collegati allo sfruttamento illegale (usura in primis) della forza lavoro? Quanti processi, sempre in questo ambito, sono stati iniziati e portati a termine? Quanti datori di lavoro sono stati processati? Attendiamo chiare risposte basate su riscontri oggettivi. L’affermazione secondo la quale non si riscontrano “più gravi ritardi” è di fatti totalmente gratuita, frutto di quell’atteggiamento che mira a mistificare la realtà. Chiediamo riscontri concreti e oggettivi che non sono certo quei due dati forniti nel rapporto e tutt’altro che espliciti e tali da chiarire la situazione.
Infine, che dire dell’affermazione del governo secondo cui “«creare un’apposita area specializzata come richiesto dai mozionanti, volta a contrastare i reati nell’ambito della “mala edilizia”, con un occhio di riguardo per i reati nell’ambito del lavoro, implicherebbe una settorializzazione accresciuta dell’attività all’interno del Ministero pubblico, ciò che non è auspicato a livello organizzativo per questioni di efficienza operativa”?
Con tali affermazioni si buttano alle ortiche decenni di progressi in ambito giudiziario. Ci pareva che proprio negli ultimi decenni si fosse capito che la specializzazione in seno alla magistratura dovrebbe essere invece il punto di partenza di uno Stato che intendesse seriamente combattere questi fenomeni! È solo specializzando delle figure, magistrati e poliziotti, in un determinato campo, che si possono creare le competenze fondamentali per combattere alcuni fenomeni. E questo vale per qualsiasi ambito che rientri nel raggio d’azione di una magistratura. È semplicemente decisivo per i reati di rilevanza penale nel mondo del lavoro.