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La Cina e Israele hanno una lunga storia di cooperazione in materia di “antiterrorismo”, diretta contro i palestinesi, gli uiguri e la popolazione più ampia. I due paesi hanno trovato una causa comune nello sviluppo di apparati di sorveglianza e di polizia, basandosi su tecnologie e metodi occidentali, nonché nell’applicazione di politiche di apartheid e crimini di massa.

I paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), voluta dalla Cina e della quale fanno parte anche Russia, Iran, India, Pakistan, Bielorussia e svariati paesi dell’Asia Centrale, hanno svolto il 23 luglio scorso, per la prima volta, esercitazioni antiterrorismo nella martoriata regione dello Xinjiang, dove 10 milioni di uiguri e altri musulmani sono stati sottoposti a micidiali repressioni, come la reclusione in campi di concentramento per un milione di essi e misure di sorveglianza senza pari (o meglio, con un “pari”, come vedremo sotto). Il tutto, perché Pechino, che li considera collettivamente dei terroristi, ha deciso di ridurli in schiavitù con l’obiettivo di annientarne l’identità nazionale. E’ la prima volta che i paesi della SCO effettuano esercitazioni congiunte con la partecipazione di tutti i paesi membri, in passato si erano tenute esercitazioni al massimo bilaterali. La partecipazione di potenze nucleari come la Russia in guerra e l’India a una tale esercitazione dà una dimensione più internazionale, “multipolarista”, a queste politiche genocide della Cina. Da notare che negli stessi giorni nello Xinjiang si sono svolte anche manovre militari congiunte tra l’esercito cinese e quello degli Emirati Arabi Uniti, che sottolineano ulteriormente questa dimensione “multipolarista”. Il tutto in una situazione in cui gli uiguri sono sempre più isolati dopo che la Turchia, uno dei principali paesi che offriva asilo ai loro esuli, il mese scorso ha effettuato un’esplicita quanto esibita svolta filo-Pechino riguardo alla questione dello Xinjiang.

Negli stessi giorni in cui nello Xinjiang si svolgevano le manovre della SCO, Hamas e Fatah hanno firmato a Pechino una Dichiarazione che mira a porre fine alle divisioni tra le forze politiche palestinesi e “l’istituzione di un governo provvisorio di riconciliazione nazionale”. Ritengo significativa questa coincidenza temporale tra l’iniziativa cinese di “padrinaggio” di una riconciliazione tra due forze palestinesi totalmente squalificate, omicide e che hanno recato negli anni enormi danni ai palestinesi, e le esercitazioni “antiterroristiche” nello Xinjiang di cui sopra. In Palestina era da tempo diffuso, in particolare tra i giovani, un sentimento di solidarietà nei confronti dei fratelli uiguri dello Xinjiang, viste le notevoli similitudini nella situazione di apartheid alla quale entrambi erano (sono) entrambi sottoposti. Ora tale solidarietà si è eclissata dietro la mera urgenza di riuscire a sopravvivere alle politiche genocide del governo israeliano, così come nello Xinjiang era passata in secondo piano rispetto all’urgenza di riuscire a sopravvivere all’inferno concentrazionario creato da Pechino. Va segnalato tuttavia qualche timido ma significativo segnale di solidarietà nei limiti angusti consentiti dalla situazione: a Pechino svariati studenti, in occasione delle sessioni di esame di inizio giugno, più o meno in coincidenza con l’”imbarazzante” anniversario di Tiananmen, si sono esibiti in atti di solidarietà con i palestinesi, probabilmente un’emulazione dei loro colleghi statunitensi.

Le analogie e gli intrecci tra le sofferenze degli uiguri e dei palestinesi sottoposti a regimi di apartheid sono numerosissimi. Riporto sotto questo articolo alcuni link utili per approfondire. Qui di seguito mi limito alla traduzione di alcuni brani che indicano come non vi sia alcun effettivo sostegno di Pechino al popolo palestinese, bensì solo un abile giocare di sponda tra l’amicizia con leadership arabe (a cominciare dalla stessa “Autorità palestinese” guidata da Mahmoud Abbas) che abbandono i palestinesi a se stessi e quella fruttuosa in termini sia economici sia di tecnologia e know-how per la repressione, con Israele. La Cina, in pratica, è una dei tanti amici stretti di Israele, così come Israele lo è del regime di Pechino.

Come riportato dalla Associated Press, Mahmoud Abbas un anno fa durante una visita a Pechino si è apertamente schierato con le politiche omicide del governo cinese quando ha firmato con quest’ultimo una dichiarazione nella quale si affermava che le politiche della Cina nei confronti dei fratelli musulmani dello Xinjiang “non hanno nulla a che fare con [la violazione de]i diritti umani e sono invece mirate a eliminare l’estremismo nonché a contrastare il terrorismo e il separatismo. La Palestina si oppone fermamente all’uso del problema dello Xinjiang come mezzo per interferire negli affari interni della Cina”.

Su Jacobin, l’attivista di sinistra hongkonghese Promise Li ha rilevato da parte sua quanto segue: “Dagli anni 2000, gli investimenti della Cina in Israele sono cresciuti in modo significativo. La Cina è diventata il secondo partner commerciale di Israele, con un valore degli scambi di oltre 24 miliardi di dollari solo lo scorso anno. Sebbene gli Stati Uniti continuino a essere il principale fornitore diretto delle sanguinose operazioni militari israeliane, gli investimenti cinesi stanno diventando sempre più cruciali per lo sviluppo economico, tecnologico e infrastrutturale di Israele. Nel 2021-2022, la Cina ha addirittura sostituito gli Stati Uniti come prima fonte di importazioni di Israele.
Israele e la Cina hanno anche trovato una causa comune nello sviluppo di apparati di sorveglianza e di polizia, basandosi su tecnologie e metodi occidentali. La “guerra popolare contro il terrorismo” della Cina contro gli uiguri e altri gruppi etnici dello Xinjiang non si è limitata a invocare retoricamente la “guerra al terrorismo” degli Stati Uniti, ma ha attinto attivamente al suo personale e alle sue tattiche.
[…] Mentre il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele rimane decisivo, il paese riceve un vasto sostegno da altre parti – tra cui il principale rivale globale degli Stati Uniti, la Cina.
Sebbene la Cina venga talvolta dipinta come un baluardo “anti-imperialista”, non è un alleato dei palestinesi. […] Lo Stato cinese non ha offerto un sostegno significativo alla causa della liberazione palestinese: i notevoli legami economici tra Cina e Israele significano che la Cina ha un interesse a difendere Israele. La lunga storia di triangolazione della Cina tra Israele e Palestina ha comportato l’approvazione di una strategia di “pacificazione” e “non allineamento” che le ha permesso di mantenere relazioni amichevoli con i paesi arabi, approfondendo al contempo i legami con Israele. La Cina ha a sua volta attinto alla tecnologia e ai metodi di controinsurrezione israeliani per reprimere la propria popolazione.
Le importazioni israeliane sono diventate cruciali per lo sviluppo militare della Cina durante gli anni ’90, quando le sanzioni occidentali contro Pechino dopo il movimento e il massacro di Tiananmen del 1989 minacciavano di limitare la crescita della capacità militare cinese. Ma Israele è riuscito ad aggirare queste sanzioni, diventando per la Cina una chiave di accesso alla tecnologia militare occidentale. L’ascesa della Cina come potenza globale negli anni Duemila ha ampliato il commercio dei due paesi al di là delle armi e ha approfondito la loro interdipendenza economica. Negli anni successivi all’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (“WTO”), la Cina ha iniziato a investire fortemente in Israele, in particolare nei settori dell’agricoltura, della tecnologia, delle costruzioni e del venture capital.
La crescita dei legami militari ed economici ha portato la Cina a perseguire una posizione sempre più moderata sull’occupazione israeliana della Palestina: passando dal sostegno alla “guerra di popolo” dei palestinesi contro Israele alla sponsorizzazione e alla difesa dello stato israeliano.
[…] Sostenere retoricamente la Palestina, rafforzando al contempo il potere di Israele e ispirandosi ai suoi metodi di guerra, è diventata una strategia redditizia per Pechino. Questo approccio le ha permesso di raccogliere i frutti dello sviluppo economico di Israele, mantenendo al contempo buone relazioni con i leader palestinesi e di altri paesi arabi, mentre le aziende statali e i partenariati pubblico-privati a guida cinese hanno approfondito i legami con i governi e le aziende israeliane e di altri paesi arabi trasversalmente ai blocchi geopolitici”.

A ciò va aggiunto quanto osserva il blog di sinistra cinese Chuang:

La Cina e Israele hanno una lunga storia di cooperazione in materia di “antiterrorismo”, diretta contro i palestinesi, gli uiguri e la popolazione più ampia. Ad esempio, la Cina ha fatto pubblicamente ricorso a esperti israeliani di antiterrorismo al culmine della sua repressione [contro gli uiguri dello Xinjiang] nel 2014. Analogamente, la Cina ha investito miliardi di dollari nel settore high-tech di Israele e negli ultimi anni è stata il secondo partner commerciale del paese (dopo gli Stati Uniti). Ancora oggi, le telecamere cinesi Hikvision contribuiscono alla sorveglianza di massa dei palestinesi e di altri membri della società israeliana”.

*articolo apparso il 20 luglio 2024 sul blog https://crisiglobale.wordpress.com/

– Il testo completo del dettagliato articolo di Promise Li sulle analogie tra Xinjiang e Palestina: https://jacobin.com/2023/10/china-israel-repression-military-trade-palestine-technology

– L’approfondita analisi di attivisti cinesi sullo stesso tema, pubblicata dal blog Chuang: https://chuangcn.org/2024/07/palestine-and-xinjiang-under-capitalist-rule/

– La testata pakistana Dawn sull’ipocrisia di chi, su un fronte, condanna la Cina accusandola di genocidio nello Xinjiang e allo stesso tempo sostiene Israele, e di chi, al contrario, condanna Israele accusandolo di genocidio a Gaza, ma giustifica la Cina dandole sostegno: https://dawnmena.org/lessons-on-genocide-from-xinjiang-and-gaza/

– Una panoramica del China Digital Times sulle voci cinesi solidali con la Palestina: https://chinadigitaltimes.net/2023/11/chinese-voices-seek-transnational-solidarity-in-israel-hamas-war/