Non possiamo evitare di iniziare la nostra presa di posizione con due citazioni, entrambe legate al municipale Badaracco, titolare del dicastero che solo sulla carta gestisce il Polo Sportivo e degli Eventi (PSE). Entrambe sono tratte del Corriere del Ticino dello scorso 12 settembre.
La prima è la seguente: «E a proposito di appalti, Badaracco ha precisato che sin qui sono stati assegnati tutti a imprese locali, in linea con la promessa in campagna elettorale di portare benefici al territorio». (sottolineatura nostra).
La seguente, invece, è emanazione dello stesso Badaracco: «Sappiamo ad esempio che a livello di tutela dal dumping salariale è stato fatto tanto: per accedere al cantiere bisogna avere dei badge (…), si sa chi entra e chi esce, c’è un controllo dei movimenti, nonché un addetto alla sicurezza. (…) La città mantiene sempre il ruolo di sorvegliante».
Si tratta di citazioni emblematiche, non solo per il loro contenuto diretto (come vedremo fra poco) ma perché traducono il problema di fondo: oggi il gruppo HRS controlla totalmente la gestione del PSE, sia per quanto riguarda gli aspetti progettuali che quelli produttivi. È un cantiere blindato. Il Municipio di Lugano e, a cascata quindi, il Consiglio comunale possono solo stare a guardare e, nel migliore dei casi, possono osare chiedere delle informazioni.
Di fatto, le autorità politiche luganesi si sono private di un reale potere di controllo e di gestione, delegandolo senza indugi al gruppo HRS. È forse il primo caso nella storia recente ticinese in cui un’opera pubblica di vaste dimensioni e di ingenti costi è interamente consegnato nelle mani degli interessi privati per quanto riguarda progettazione, realizzazione e controllo. Ma procediamo con ordine.
“100% di ticinesità”?
Questo è lo slogan che Badaracco, negli ultimi tempi, sta vendendo un po’ su tutti i media. Slogan che viene attenuato in chiave futura, in quanto – si dice – è possibile che alcune opere specialistiche saranno appaltate all’estero. Però, per quanto riguarda la situazione attuale, il municipale di Lugano ha garantito che tutti gli appalti – il 100%! – sono stati assegnati a ditte ticinesi.
Premettiamo che per noi la “provenienza geografica” non è il fattore decisivo. Fondamentale è il rispetto delle condizioni di lavoro, di sicurezza e di salute della forza lavoro impiegata. Conoscendo fin troppo bene il settore edile ticinese, sappiamo che il rispetto di questa condizione, ahinoi, non è legata alla provenienza territoriale. Troppo spesso, in occasione di operazioni di dumping salariale, i mandanti o coloro che si appropriano della fetta più grossa dei profitti così realizzati sono ditte nostrane, con una proprietà “ticinese doc”.
Il richiamo allo slogan “un 100% di ticinesità” ci interessa per illustrare alcuni aspetti.
Prima di tutto che Badaracco mente. Saremmo disposti a cambiare questo giudizio se Badaracco ammettesse pubblicamente che sul PSE, e in particolare sugli appalti e la loro aggiudicazione, lui e il Municipio non riescono a ottenere nessuna informazione di rilievo. Perché questo è l’aspetto più rilevante della nostra denuncia.
In secondo luogo mente perché l’appalto per la posa del tondino d’acciaio, una lavorazione fondamentale nell’edilizia moderna a base di cemento armato, è stato concesso alla società Daziani AG, come documentato dalle foto (scattate lo scorso 20 settembre 2024) che pubblichiamo unitamente a questa presa di posizione. Se è vero che quest’azienda agisce sul mercato edile ticinese da alcuni anni, la sua sede legale è a Celerina, canton Grigioni, a 2 ore 20 minuti (180 km) dall’Arena Sportiva di Lugano. La Daziani AG non ha neppure delle filiali in Ticino e non è firmataria del Contratto collettivo di lavoro per l’edilizia principale del Cantone Ticino, migliorativo rispetto a quello nazionale (CNM). I proprietari della società sono Romeo e Stefano Daziani, valtellinesi di Sondrio, con residenza a Celerina, anche se il primo, sui profili social, scrive di vivere a San Moritz, mentre il secondo a Lugano. Un po’ di confusione in merito al rispetto dei domicili e, forse, anche a livello fiscale. Ma tant’è.
La ditta Daziani AG impiega tra 25 e 30 ferraioli. Questi provengono in maggioranza dalla Valtellina, provincia di Sondrio (zona Forcola). I più lontani impiegano, tra andata e ritorno, quasi 4 ore al giorno per spostarsi dai loro domicili al cantiere del PSE, quelli più vicini “solo” 2 ore al giorno. Alla faccia della sostenibilità del cantiere!
In Ticino ci sono 7 ditte, che hanno domicilio legale nel Cantone, che si occupano della posa del tondino d’acciaio. Le elenchiamo: Edilfer SA (Locarno), Planfer SA (Mezzovico-Vira), Feralpi SA (Bioggio), Baufer Service SA (Bellinzona), AVFer Sagl (Minusio), Tecnofer Sagl (Lugano) e Lonfer Sagl (Lamone). Insieme, queste ditte impiegano circa 200 operai fissi. La maggior parte di queste, hanno almeno 15 anni di esperienza nella posa del ferro.
Ecco dunque che sorge automaticamente una domanda: perché HRS ha appaltato la posa del tondino d’acciaio a una ditta domiciliata nel canton Grigioni, quando in Ticino ci sono 7 ditte in grado di eseguire queste lavorazioni?
Un grosso appalto, ma a che prezzo?
Secondo le nostre informazioni, l’appalto per la sola Arena sportiva costituisce uno dei lavori più importanti assegnai in Ticino negli ultimi anni a livello della posa del tondino d’acciaio. Si parla infatti di 3’456 tonnellate di ferro da posare. Sempre secondo indiscrezioni raccolte, comunque molto affidabili, alcune ditte ticinesi hanno partecipato alla gara d’appalto, ma non sono state scelte. La ragione? Sempre secondo le informazioni che abbiamo potuto raccogliere, i prezzi da loro proposti in sede di concorso sarebbero stati “troppo elevati”. In assoluto? No, troppo elevati per i desideri di HRS. Rispettando gli obblighi legali contrattuali e calcolando un margine di profitto “sufficiente”, un’offerta coerente avrebbe dovuto essere di 41-42 centesimi al chilo. Il solo prezzo di costo (esclusivamente la copertura dei costi materiali e del lavoro) si aggirerebbe attorno ai 38 centesimi al chilo. Se questi prezzi sono considerati “elevati” da HRS, la ragione del ricorso a una ditta fuori cantone, in questo caso “grigionese”, appare evidente: la possibilità di ottenere un prezzo inferiore non solo a quello del mercato ma addirittura al prezzo di costo. Ancora una volta le informazioni che circolano indicano che la Daziani AG abbia ottenuto l’appalto a un prezzo di 35 centesimi al chilo. Di fatto insostenibile. A meno che si trovino altre “soluzioni” per compensare questi prezzi in perdita.
Di solito queste “soluzioni” potrebbero passare attraverso il mancato rispetto degli obblighi contrattuali nei confronti dei lavoratori: sottopagandoli, obbligandoli a riversare una parte del salario sul conto del titolare, non versando loro il salario nei periodi di mancanza di lavoro (una sorta di compensazione), ecc. Le varianti potrebbero essere molteplici, ma tutte tendono allo stesso risultato: dumping salariale e distorsione della concorrenza.
La storia recente della “posa del ferro” in Ticino lo ha dimostrato. Ricordiamo solo il caso del cantiere USI a Lugano dove, a causa del subappalto del subappalto, si è arrivati a un prezzo della posa ampiamento sottocosto; al punto che l’ultimo anello della catena, per poter realizzare un profitto, ha sottopagato i propri dipendenti, per poi, alla fine del cantiere e in gravi difficoltà, non ha più nemmeno versato il salario. La ditta appaltatrice è stata sospesa per 5 mesi dai mercati pubblici e adesso…sta lavorando al PSE!
A dicembre di quest’anno partirà un importante processo al cui centro c’è un’incriminazione per usura, sempre nella posa del ferro, con alla base le stesse dinamiche descritte più sopra.
Combattere il possibile dumping salariale con i badge?! Servono misure più decisive…
Tutta le misure per evitare il dumping al PSE sono concentrate sui badge (che regolano l’accesso dei lavoratori al cantiere) e nell’azione della società WorkControl Suisse AG, la quale vigila affinché la documentazione dei lavoratori sia conforme alle disposizioni di legge.
Queste misure sono vendute come grandi passi in avanti nella lotta al dumping. La realtà è ben diversa. In quasi nessun caso di “mala-edilizia” è stata riscontrata la presenza di lavoratori “in nero”. Riuscire a controllare chi “entra e esce dal cantiere” non esclude il dumping perché questo avviene, per quanto attiene, ad esempio, all’usura, fuori dai cantieri, quando il salario è stato versato sul conto del dipendente e poi questo lo “ristorna” al padrone. Non è con il badge che si evitano le ore supplementari a catena. Nel migliore dei casi queste saranno registrate, poi, se saranno pagate, il badge non può dirlo. Non è con il badge che si impedisce il mancato rispetto delle misure di sicurezza per la salute dei lavoratori, causato dalla volontà di lavorare più in fretta sul cantiere e aumentare così il rendimento. Alla stessa stregua, si può avere accesso a quintali di documenti assolutamente legali (buste paga, annunci all’AVS, permessi di lavoro, ecc.) che però non rilevano gli abusi commessi nei confronti dei dipendenti. Disporre dei contratti di lavoro e delle buste paga non significa assolutamente riuscire ad impedire il dumping, ma, troppo spesso, con questa azione leggera e insufficiente si fa credere di avere attuato il massimo sforzo per combatterlo.
Cosa dire poi della società WorkControl Suisse AG? A parte la debolezza intrinseca del suo intervento – nei fatti è una piattaforma dove i subappaltatori devono fornire tutta la documentazione valida richiesta che poi viene semplicemente verificata…-, facciamo sempre fatica a credere all’utilità di un sistema dove il “controllo di un cantiere” è demandato a una società privata, WorkControl Suisse AG appunto, che è controllata dalle principali società di costruzione e immobiliari svizzere, tra le quali anche HRS Real State AG. Nei fatti, queste società servono a organizzare un minimo servizio di controllo il cui vero obiettivo è quello di “tenere fuori” o limitare l’accesso ai cantieri ad altri soggetti di controllo che non ricadono direttamente sotto l’egida padronale, come i sindacati, l’ispettorato del lavoro e le commissioni paritetiche. Il messaggio è chiaro: non venite a controllare perché ci pensiamo noi…
Per la pubblicazione integrale di tutte le delibere degli appalti e per una totale libertà di accesso ai cantieri del PSE per i sindacati e gli altri organismi di controllo!
Chiunque abbia un’esperienza minima nell’ambito della cosiddetta “mala-edilizia” se che la lotta al dumping passa attraverso due aspetti fondamentali.
In primo luogo, il controllo sui prezzi degli appalti, quindi la necessità di una loro integrale pubblicazione e il loro libero e immediato accesso da parte di qualsiasi persona interessata. Gli esperti del settore edile sono in grado di determinare facilmente se l’appalto è sottocosto: il costo della forza lavoro e dei materiali, come il margine di profitto, possono essere calcolati in maniera assolutamente precisa. Da questo punto di vista, la situazione al PSE è quanto di più insano possa esistere. Persino il Consiglio di Stato ritiene che quelli del PSE siano cantieri pubblici, che, di conseguenza, devono sottostare alla Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb).In realtà, HRS gestisce gli appalti come una società privata, senza nessuna pubblicità, senza fornire informazioni, senza nessun controllo. Neppure il Municipio di Lugano è in grado di avere una minima possibilità di verifica, magari neppure se ne preoccupa. Ma noi sì. Per questo chiediamo che tutte le delibere concernenti gli appalti del PSE siano rese pubbliche, a cominciare da quella della Daziani AG, in modo che si esca dalle ipotesi, per quanto solide, per entrare nelle certezze. E questa condizione deve diventare permanente: i lavori al PSE, anche dopo la realizzazione dei contenuti sportivi, dureranno a lungo. È perciò fondamentale avere una forma di controllo reale e pubblica su tutte le attività che vi si svolgono e vi si svolgeranno anche in futuro.
Un secondo aspetto fondamentale della lotta al dumping è rappresentato dalla possibilità di un libero controllo e, dunque, di un libero accesso al cantiere da parte, soprattutto, delle organizzazioni sindacali. Fare emergere le situazioni di sfruttamento, di mala-edilizia, necessitano obbligatoriamente delle indicazioni, delle testimonianze e delle prove che solo i lavoratori possono fornire. Per arrivare a questo livello, è fondamentale costruire dei rapporti di fiducia con la forza lavoro, tanto più se questa proviene dall’estero o da altri cantoni. E questo obiettivo è realizzabile solo se i sindacati possono avere un accesso incondizionato, quindi totale, in termini di spazio e di tempo, al cantiere. In questo senso, la situazione è lungi dall’essere regolata sui cantieri del PSE. Secondo nostre informazioni, HRS e il Municipio di Lugano hanno avuto finora un solo incontro con i sindacati e la commissione paritetica cantonale dell’edilizia. Conoscendo il passato di HRS per quanto riguarda le relazioni con il mondo del lavoro e i rappresentanti dei salariati, non vorremmo che ciò traducesse nello sviluppo di un atteggiamento, più o meno velatamente, antisindacale, contraddistinto da varie forme ostruzionismo. Un atteggiamento che potrebbe inasprirsi in funzione dell’avanzamento dei lavori e delle difficoltà, tecniche e finanziarie, che potrebbe conoscere la realizzazione del PSE. Un’altra lezione impartitaci dalle esperienze pregresse è quella che quando bisogna abbattere i costi di produzione, le maglie del rispetto di leggi e di diritti dei lavoratori si allargano pericolosamente. E allora per praticare il dumping salariale – e altre scorciatoie – si rende necessario impedire l’azione dei sindacati.
In conclusione, tutto ciò si verifica quando un’opera pubblica diventa, di fatto, un affare privato. Quando il privato concentra tutti i poteri: progettazione, realizzazione e controllo su queste due attività. Quando le autorità politiche accettano di farsi estromettere della gestione di uno dei più grossi cantieri aperti in Ticino negli ultimi vent’anni. Occorre invertire prontamente la rotta. Aspettiamo con poca fiducia…