Tempo di lettura: 6 minuti

La Svizzera, com’è noto, è un paese imperialista. Anzi, uno dei più importanti paesi imperialisti. Questo ruolo, tuttavia, è stato spesso offuscato dal fatto che non ha mai partecipato, in quanto stato e direttamente, né a esperienze coloniali né a interventi armati (anche se la partecipazione di commercianti svizzeri alle imprese coloniali ha fatto parlare di “colonialismo senza colonie”). Ma l’imperialismo, per chi come noi si muove in una prospettiva marxista, non si caratterizza solo e principalmente per il dominio militare. Certo, quest’ultimo è determinante, e da più di un secolo sono gli Stati Uniti, con la loro potenza militare irraggiungibile, a definire il quadro di forza entro cui il capitalismo mondiale esercita il suo ruolo imperialistico, con diversi livelli di coinvolgimento dei vari paesi capitalistici.
Senza voler scomodare Lenin, la cui analisi dell’imperialismo all’inizio del secolo scorso resta ancora oggi fondamentale sotto molti aspetti, basti qui ricordare due elementi centrali che definiscono l’imperialismo come sistema di dominazione economica globale: da un lato, la concentrazione del capitale bancario e la formazione del capitale finanziario; dall’altro, l’esportazione di capitali che genera un atteggiamento predatorio (in termini di sfruttamento delle risorse, della manodopera e, di conseguenza, di appropriazione del plusvalore).
Per comprendere quanto questo sia uno dei tratti distintivi del capitalismo svizzero e del suo ruolo imperialista, bastano alcuni dati forniti dalla SECO (Segreteria di Stato all’Economia), che descrivono così la proiezione internazionale del capitalismo elvetico:
Secondo la Banca nazionale svizzera, il valore statistico degli investimenti diretti realizzati da operatori svizzeri in sedi estere di produzione, distribuzione e ricerca ammonta a più di 1.400 miliardi di franchi. Non si tratta soltanto di grandi gruppi: tra questi operatori vi sono anche diverse migliaia di piccole e medie imprese (PMI), che complessivamente occupano quasi 2,2 milioni di persone all’estero. I redditi derivanti da investimenti diretti svizzeri all’estero ammontano a circa 100 miliardi di franchi.
Viceversa, gli investimenti diretti esteri in Svizzera ammontano a circa 1.000 miliardi di franchi e le imprese straniere occupano circa 550.000 persone nel paese. I redditi da investimenti diretti esteri superano gli 80 miliardi di franchi. Rispetto ad altri paesi, gli investimenti diretti svizzeri all’estero risultano particolarmente elevati, come dimostra il rapporto tra il loro valore e il Prodotto Interno Lordo (PIL). L’importanza degli investimenti svizzeri all’estero per l’economia nazionale è evidente anche osservandone l’evoluzione nel tempo: dal 2010 il volume dei capitali svizzeri investiti all’estero è più che raddoppiato (e quadruplicato dal 2000)”.
Crediamo che questi dati parlino da soli. Per contestualizzare ulteriormente il ruolo della “piccola” Svizzera rispetto alle grandi economie capitalistiche, basti aggiungere un altro dato fornito dalla SECO:
Con più di 1.400 miliardi di franchi di investimenti diretti all’estero (dati BNS), la Svizzera rientra tra i principali dieci esportatori di capitali a livello mondiale. Al tempo stesso, il paese rappresenta una piazza fortemente attrattiva per gli investimenti diretti di capitali esteri (circa 1.000 miliardi di franchi)”.
E allora, perché, anche a sinistra, l’idea di una Svizzera imperialista fatica a imporsi, nonostante l’evidenza dei numeri?
In un articolo del 2008, tuttora di grande attualità, lo storico Sébastien Guex definiva il ruolo imperialista della Svizzera come “mascherato” o “impercettibile”, spiegandolo in questi termini:
La borghesia industriale e bancaria svizzera si è mossa da molto tempo in modo mascherato: mascherata dietro la neutralità politica, ossia agendo nell’ombra delle grandi potenze coloniali e imperialiste (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti); mascherata dietro una propaganda onnipresente che cerca – e spesso riesce – a presentare la Svizzera come il paese della politica umanitaria, attraverso la Croce Rossa, i buoni uffici, la filantropia, ecc.; infine, mascherata da una narrazione complementare, quella della ‘retorica della piccolezza’, che raffigura la Svizzera come un Davide contro i Golia, un piccolo Stato debole e inoffensivo”.
È in questo contesto, come indica Guex, che deve essere inserita la discussione sulla cosiddetta neutralità svizzera, oggi tornata al centro del dibattito (soprattutto con l’iniziativa dell’UDC). La sua versione “armata” tradizionale serve in realtà a giustificare una politica di riarmo che, come dimostrano le recenti discussioni a livello federale, si tradurrà in un aumento della spesa militare a scapito di quella sociale. E serve, naturalmente e nel contesto delle nuove contraddizioni tra i maggiori paesi imperialisti, a garantire profitti su scala internazionale.
Per questo è più che mai necessario riaffermare l’urgenza di opporsi alla politica di riarmo, sia in Svizzera sia a livello europeo e globale (dove anche le potenze che si proclamano pacifiste, come Cina e Stati Uniti, non si sottraggono a questa dinamica). Occorre sostituire narrazione ufficiale sulla neutralità una politica che metta al centro i diritti dei popoli, i diritti sociali e democratici, e il principio di autodeterminazione – da Gaza all’Ucraina. Questa è la vera bussola che deve orientare la nostra azione e non la difesa di una “neutralità” tutta intesa a giustificare la continuazione della predazione dei salariati e delle salariate di tutto il mondo.

***********************************


In occasione del lancio dell’iniziativa dell’UDC sulla neutralità (novembre 2022) avevamo pubblicato un interessante articolo (del compagno José Sanchez) che rispondeva in modo semplice ma preciso ad alcune delle tesi dei “neutralisti”, smontando i loro argomenti e mostrandone il carattere propagandistico. Lo riproponiamo qui di seguito. (Red)

Cosa significa difendere la neutralità della Svizzera?

di José Sanchez*

L’applicazione di questo concetto presente nella Costituzione federale è stato oggetto di numerose interpretazioni  a dipendenza dei momenti storici. Il mito della neutralità propone una rappresentazione del mondo e del suo funzionamento.

Dobbiamo interrogarci da un punto di vista globale e fondamentale: un paese imperialista, partecipe dello sfruttamento della forza lavoro e del saccheggio delle risorse naturali di altri paesi, in grado di estendere la propria influenza economica e finanziaria su gran parte del pianeta, può essere considerato come neutrale? In effetti, la Svizzera partecipa attivamente all’organizzazione e alla stabilità di un ordine mondiale capitalista, in modo significativo, attraverso l’estensione dei mercati per le proprie multinazionali e accogliendo sul territorio nazionale le grandi compagnie mondiali del commercio delle materie prime. Le attività del gruppo Nestlé, per non prendere che un esempio, modificano l’economia, la società e la politica dei paesi dove tali attività si sviluppano. L’intervento della SECO (Segreteria di Stato dell’Economia) lo scorso anno nei confronti dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), contro una legge sulla sanità pubblica in  Messico, emanava direttamente dalle preoccupazioni di Nestlé. Altri gruppi svizzeri si trovano tra i leader mondiali di vari settori economici: l’industria del cemento, la chimica, la farmaceutica, la finanza. L’insieme di queste attività determina le condizioni di vita di numerose popolazioni.

Con queste premesse risulta difficile associare la neutralità alla Svizzera, anche se assente direttamente da conflitti armati.

Neutralità = Prosperità?

Invocare la neutralità permette di occultare completamente questo ruolo nell’organizzazione dell’ordine mondiale e di evitare interrogativi sulle conseguenze di queste attività. Fare affari è un’azione pacifica, anche nelle peggiori dittature! Accogliere il denaro frutto del saccheggio della natura, dello sfruttamento del lavoro all’estero, della corruzione endemica, ecco cosa illustra bene come viene applicato l’articolo 54 della Costituzione quando afferma che gli “affari esteri” devono concorrere “al benessere del Paese”. Questa definizione occulta anche il carattere di classe della nostra società, in quanto l’accumulazione delle ricchezze è accaparrata dai capitalisti, principali beneficiari di questa neutralità e di questa prosperità.

La piazza finanziaria e il commercio delle materie prime non è neppure neutrale dal punto di vista della distruzione dell’ambiente e dell’aumento delle energie fossili.

Allineamento alla NATO

Sul piano militare questa neutralità ha qualcosa di curioso. Durante la guerra fredda, molti standard dell’esercito erano compatibili con quelli della NATO (sistemi d’armamento, munizioni, comunicazione). Dopo il crollo del Patto di Varsavia e dell’URSS, tutto ciò è continuato in modo del tutto  trasparente. Circondata da paesi membri della NATO, risulta difficile credere che questo spazio neutrale possa essere minacciato separatamente, per via terrestre o aerea. Il recente aumento di due miliardi del budget militare è del tutto ideologico. La guerra in Ucraina diventa un pretesto per rilanciare il nazionalismo militare dietro il paravento della neutralità. È d’altronde significativo, dal punto di vista della preservazione del capitalismo elvetico, che gli articoli 173 e 185 della Costituzione associno la neutralità alla sicurezza interna e alla difesa di fronte a “gravi turbamenti, esistenti o imminenti, dell’ordine pubblico o della sicurezza interna o esterna”.

Neutralità = Nessuna sanzione?

La pressione per allinearsi alle grandi potenze occidentali (USA, UE) spinge la classe politica ad adattarsi a nuove posizioni, come la presenza della Svizzera nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’applicazione delle sanzioni decise dall’UE provoca reazioni divergenti, nonostante queste misure siano applicate con parsimonia: ritardo nella decisione di aderire alle sanzioni, blocco insignificante dei beni russi nelle banche svizzere (6-7 miliardi su un totale di circa 150/200 miliardi), florido commercio di gas, petrolio e acciaio russi, commercio record di oro russo il mese d’agosto 2022, commercio record di carbone nel 2022 (la Russia è tra i primi produttori mondiali: 441 milioni di tonnellate nel 2019).

Si tratta semplicemente di continuare a fare affari con il cliente di turno (e i russi sono tra i migliori clienti) o di schivare la condanna dell’imperialismo russo. Ecco che diventa così perfettamente plausibile nascondersi dietro la foglia di fico della neutralità.

Noi siamo favorevoli ad ogni pressione che vada nel senso di una giustizia sociale, dall’espropriazione delle grandi fortune provenienti dal saccheggio dei popoli alla condanna dei responsabili delle guerre e dei crimini contro l’umanità. Restare neutrali, chiudere gli occhi sulle atrocità e le distruzioni, economiche e ambientali, significa diventare complici di un ordine mondiale profondamente ingiusto.

Usciamo da questa neutralità, impegniamoci attivamente per un avvenire senza oppressione né sfruttamento.

*Articolo apparso sul sito www.solidarites.ch il 2 marzo 2023.